La Pasqua di Cristo nel mondo religioso e culturale russo

MORS ET VITA DUELLO

CONFLIXERE MIRANDO

Sul “fronte russo” continuano a udirsi rumori di guerra, e di lì ci vengono im-magini impressionanti di rovine, lasciate sul territorio ucraino, anche se i morti e i feriti sono da entrambe le parti, in un conflitto dal forte sapore di scontro tra popoli “fratelli”, che hanno avuto una lunga storia in comune. È inevitabile inoltre che siano coinvolte anche le diverse confessioni religiose, le quali si rifanno al comune mondo cristiano: qui i credenti nel Signore, morto in croce e poi risorto, celebrano i medesimi misteri pasquali, pur con forme liturgiche diverse. E tuttavia essi non sanno superare le divisioni e ricercare l’intesa che deve impedire inutili distruzioni, ma più ancora i troppi morti, e più ancora sopire i risentimenti che si fatica a contenere e a impedire. Davanti ad un quadro desolante e sempre più imbarbarito da tanta violenza “gratuita” e selvaggia, non c’è molto spazio per discorsi di natura religiosa, per letture e visioni che parlino di rinascita, di risurrezione. Anzi, a volte anche simili auguri appaiono fuori luogo, intrisi di un sapore molto amaro. Come si fa a di-re che Cristo è risorto, in un quadro di devastazione, che pur si assicura di vo-ler ricostruire come prima? Non sarà più come prima! Non può essere come prima! Come si fa a ripetere l’augurio di pace del Cristo risorto? Raccontando l’evento della risurrezione e più ancora il suo farsi vedere ai discepoli il mattino di Pasqua nel cenacolo, dove entra a porte chiuse ed augura loro la pace, la sua pace, noi osiamo credere che tutto questo si rinnova anche oggi. Ma dove lui appare? Dove lui viene visto? Dove lui irrompe come allora con il suo augurio di pace? Se nel nostro non lontano oriente, invece di veder sorgere un nuovo sole di speranza, vediamo sempre più infittirsi le nubi tenebrose della disperazione, mentre noi vorremmo altre nubi cariche di pioggia, come facciamo a sperare? Ancora sentiamo a noi lontana questa guerra, come se non ne fossimo coinvolti. Ed invece il rischio di sentirci trascinati nel baratro è non molto dissimile da ciò che per le guerre precedenti si avvertiva, pur nella spensieratezza di chi non ci pensa mai, di chi si convince che non potrà mai succedere. Eppure è già successo. E può succedere ancora. Già a partire dalle esperienze passate di conflitti nel cuore dell’Europa ci siamo chiesti come siano stati possibili, laddove una civiltà secolare si era formata sull’umanesimo più che su altre considerazioni. Eppure anche allora si era scatenata l’assurdità del male, poi letta come “banalità”, nonostante la presenza di tanti pensatori animati dallo spirito umanistico. Leggi tutto “La Pasqua di Cristo nel mondo religioso e culturale russo”

LO ZARISMO

Lo zarismo è un fenomeno tipico del mondo russo, sia perché questo termine è stato coniato lì, sia perché la sola nazione che l’abbia espresso è appunto la Russia; e questo non solo nel periodo monarchico. Abbiamo visto che il termine emerge al tramonto dell’Impero di Bisanzio, quando, per un matrimonio calcolato, con l’intervento del Papa di allora, Paolo II, il granduca di Mosca, come allora si chiamava il principe della città, mai riconosciuto re, viene definito così, e lui stesso si considera l’erede di un Impero ormai decaduto e sepolto. Non viene ancora celebrato un rito solenne di unzione e di incoronazione ma già il riconoscimento esiste, anche se viene ignorato nel resto d’Europa. Non siamo ancora formalmente all’affermazione di un Impero, anche se, sostenendo di voler continuare il titolo usato a Bisanzio, almeno in Russia un tale potere viene stabilito. Se in precedenza chi aveva un’autorità sulle città e il territorio circostante, lo aveva a partire dall’esercizio delle armi e all’affermazione di sé in campo militare, ora, anche perché era scomparso l’imperatore bizantino da cui si ricavava ogni titolo regale o dignità principesca, questo potere appariva assunto per virtù propria, senza che qualcuno se ne facesse carico di trasferirlo. Così lo zarismo si afferma come un potere autocratico, cioè un’autorità che il titolare affermava di avere da sé, dalle sue stesse virtù, senza riceverlo da qualcuno e, soprattutto, senza doverlo condividere con qualcuno. Di fatto, a Mosca, attorno alla figura dello zar, si forma una aristocrazia terriera, che cerca in ogni modo di condizionare e di limitare il potere assoluto degli zar. È inevitabile che si scateni una lunga e sanguinosa lotta, soprattutto quando lo zar è debole, perché ancora giovane, perché incapace, perché senza risorse adeguate in termini finanziari, militari, strategici. Ovviamente è necessario mettere in campo un esercito ben strutturato e soprattutto fedele, e con questo strumento l’autocrazia è perfetta. Per assicurarsi poi il favore popolare è necessario avere una gerarchia ecclesiastica asservita: essa, anche con la cerimonia religiosa dell’incoronazione garantisce la benedizione divina e dunque una derivazione del potere da Dio stesso. Questo impianto appare ben strutturato con Ivan IV, e, a partire da lui, viene ereditato da chi se ne avvale per dare un ruolo imperiale alla Russia stessa. Questo succede anche oltre la fase monarchica: la stessa rivoluzione bolscevica, attuata da Lenin, togliendo di mezzo l’alone sacrale, si avvale comunque dell’appoggio essenziale dell’esercito, perché il potere è acquisito e gestito con esso.

Non di meno succede anche oltre questo fase: pur in un regime che noi consideriamo “repubblicano”, si fa strada un potere che di fatto risulta autocratico, pur se raggiunto con l’esercizio elettorale. Anche chi comanda oggi, per quanto dica di avere il favore popolare grazie alle elezioni, è riconosciuto con un potere che viene esercitato in modo autocratico, come un novello zar. E così viene definito, anche a non portarne ufficialmente il titolo. Leggi tutto “LO ZARISMO”

La Rus’ di Kiev

INTRODUZIONE:

UNA VISIONE STORICA “IMPERIALE

Gli eventi in corso nello scontro fra Russia e Ucraina si presentano come un insieme di fatti che non possiamo ascrivere alla storia, essendo ancora sotto i nostri occhi e senza una prospettiva che si possa dare per sicura e chiara. Tuttavia, anche senza entrare nelle polemiche che li accompagnano e che spesso dipendono da una visuale ideologica e soprattutto partitica, noi possiamo dire che qui è in corso un assestamento geopolitico, ereditato dal tracollo dell’URSS. Quel mondo, ovviamente non c’è più. Noi abbiamo cullato l’idea che l’assetto successivo fosse ormai consolidato e che la tensione derivata dalla divisione in due blocchi contrapposti si era esaurita e che non sarebbe più ricomparsa. Di fatto, al mondo considerato monolitico, perché tutto costruito sulla ideologia comunista e sulla preminenza del PCUS nelle 15 repubbliche sovietiche tra loro federate, con la caduta del comunismo si è fatto strada un sistema di Stati, che sono diventati completamente autonomi e riconosciuti indipendenti dalla comunità internazionale, anche ad aver avuto secoli di cammino in comune con la Russia.

Ciò che era noto come Russia e che di fatto si estendeva dal Baltico agli Urali, aveva dato origine ad una nuova federazione di Stati, comprendendo tanti territori autonomi, ma comunque sempre integrati al potere centrale di Mosca, aggiungendo a questa realtà anche il vasto mondo della Siberia, che alcuni hanno considerato come una sorta di territorio coloniale alle dipendenze da Mosca. A ben considerare questa realtà così composita, dove non ci sono i soli russi ad abitare, per quanto essi siano prevalenti sulle altre popolazioni, c’era da aspettarsi che dopo il turbamento creato dalla caduta del mondo sovietico, ritornasse a galla la visione del mondo russo che si era formata con lo zarismo e che non era affatto tramontata con la Rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917. La Russia, nella sua storia, è sempre stata di fatto una potenza imperiale, proprio per la presenza nello Stato zarista e bolscevico di popolazioni di-verse, aggregate a viva forza più che per consenso. La politica imperiale della Russia si è anche trasformata in una politica imperialista quando la medesima visione del mondo voleva essere portata fuori dei suoi confini, già imperiali, per arrivare a quegli sbocchi, soprattutto sul mare, che avrebbero consentito una visione ancora più ampia. Insomma, non è mai morta nei Russi la convinzione di essere chiamati nella storia ad avere un ruolo “mondiale”: la perdita degli Stati confinanti, che avevano da tempo condiviso la storia con la Russia appariva come una decurtazione territoriale, come la volontà degli altri Stati, soprattutto di quelli occidentali, di intervenire a limitare le aspirazioni di grande potenza della Russia. Anche a non voler ripristinare le forme istituzionali precedenti, e cioè la monarchia zarista e il bolscevismo dell’Internazionale, si è fatto strada un disegno di tipo imperiale che permettesse alla Russia di trovare il suo ruolo nel mondo. Soprattutto in presenza di un nuovo assetto, che sem-brava far nascere ai propri confini l’Unità europea, per quanto ancora filo-atlantica, e dall’altra una Cina sempre più “tigre aggressiva e rampante”, diventava e diventa necessario ribadire quel ruolo imperiale che fa parte della storia della Russia. Questo sembra essere il disegno oggi prevalente nella politica russa, che non si può pensare sia di un solo uomo, come Putin, ma di fatto espressione di una Russia profonda, la cui visione e lettura storica si muove un po’ da sempre in una simile direzione.

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