La Cina al tempo di Matteo Ricci.

INTRODUZIONE.

Ci rendiamo conto che nei nuovi equilibri geopolitici la Cina vuol essere una presenza sempre più forte e sempre più riconosciuta, con un suo ruolo, che sta cercando di ritagliare. La sua immagine è quella che si è costruita nel corso dei secoli, anche sotto diverse forme istituzionali: è, e rimane sempre, un “impero”: questo termine non sta più a indicare una forma monarchica, come spesso la intendiamo, ma la rappresentazione di un mondo che ingloba al suo interno popoli diversi, culture e lingue differenti, magari anche con il disegno politico di poter allargare più che lo spazio geografico, lo spazio di potere che ogni impero vuole sentire riconosciuto. Noi oggi vediamo la Cina con un sistema politico che sembra sopravvissuto al crollo del comunismo in Russia, dove quel fenomeno si era per primo affermato. Essa è indubbiamente gestita da un apparato che si richiama a quel sistema di governo, anche se viene da osservare quanto sia sopravvissuto del marxismo nella sua ideologia e quanto rimanga del leninismo nella sua gestione di potere. Queste sovrastrutture persistono, soprattutto se si pensa che uno Stato siffatto richiede una struttura di potere da esercitare secondo le forme “autocratiche” del passato, secondo le rigidità di un sistema ideologico che il recente passato ha costruito e contribuito a rafforzare. Ma il sistema imperiale, che poi diventa “imperialistico” appartiene alla storia cinese, che noi conosciamo poco, non avendo costruito, nella scuola, una visione del mondo nella sua integralità, se non per gli addetti ai lavori; e soprattutto ci siamo costruiti una conoscenza indiretta, che spesso legge la storia di quel Paese, come di altri, secondo le categorie occidentali. La stessa Cina, anche nel recente passato, vuol essere considerata secondo le sue proprietà e non secondo uno schema di pensiero “occidentale”: l’incontro fra i due mondi (ma i mondi sono plurali e non semplicemente duali!) richiede una conoscenza e un rispetto reciproco, che deve valere da ambo le parti. Il recente tentativo di ripensare alla famosa “via della seta”, quella che ha consentito nel passato di avviare rapporti, anche di tipo commerciale, fra i due popoli, ci obbliga a considerare meglio la Cina dentro il corso della storia e nel suo rivelarsi a noi non solo in riferimento ai rapporti umani e commerciali che si sono sviluppati, ma anche per la funzione che la Cina si è ritagliata portandola fino ai nostri giorni.

Certe analisi storiche che leggono la Cina dentro una visione eurocentrica, portano inevitabilmente a considerarla sulla base di ciò che l’Europa (ed oggi l’Occidente) ha sviluppato nei suoi rapporti con essa. Noi abbiamo, in genere, una lettura storica che privilegia il nostro punto di vista, mentre la Cina andrebbe scoperta e riscoperta dentro la sua collocazione geografica e per quello che essa ha saputo creare e costruire. Le fonti, da cui trarre informazioni per conoscere la Cina a partire dalla Cina stessa, sono indubbiamente quelle degli storici cinesi o quelle che risultano scritte nel corso della millenaria storia di quell’Impero, che è stato denominato celeste. Se vogliamo qualcuno che, pur uscito da noi, si è talmente fatto cinese da penetrarne il pensiero e il mondo, allora dobbiamo rivolgerci a Matteo Ricci, il gesuita di Macerata, il quale, vissuto per circa un trentennio in Cina, ne ha davvero assimilato lo spirito, da sentirsi uno di loro e da essere nel contempo avvertito da quel mondo come il più attento conoscitore e il più rispettoso ed integra-to personaggio, da farsi cinese. Così è stato riconosciuto, e così ancora lo è in Cina, anche se oggi quel Paese vuole presentarsi come un mondo ateo e un mondo che, anche a sviluppare ampi rapporti con il mondo occidentale, non vuole sudditanza alcuna di tipo coloniale, e men che meno autorità, come quella religiosa nell’ambito cattolico, che sia avvertita esterna ed estranea al mondo cinese. Di qui la necessità di un incontro e di una conoscenza che siano rispettosi del ruolo storico che ha la Cina: essa è davvero un mondo che pretende di essere al centro del mondo stesso …

MATTEO RICCI (1552-1610)

Matteo Ricci è il miglior sinologo per il suo particolare approccio con il mondo cinese e può introdurre al meglio dentro quella realtà. Più che tracciarne una biografia, è il caso di capire la ragione e la modalità con cui il giovane gesuita, formatosi a Roma, sia stato destinato a penetrare in quel mondo, già accostato da S. Francesco Saverio, alla vigilia della sua morte avvenuta nel 1552, proprio nell’anno di nascita del maceratese. Il suo desiderio di farsi religioso, perseguito anche contro la volontà del padre, lo introdusse nel nuovo Ordine, messo in piedi da Ignazio di Loyola. Il cofondatore, Francesco Saverio, partito per le Indie, mandava relazioni dall’immenso territorio in cui sorgevano qua e là comunità cristiane. Forse queste relazioni, spesso connotate da spirito di avventura, hanno determinato la vocazione “missionaria” di Matteo Ricci.

Non esistono scritti di Ricci sui suoi anni romani e non sappiamo quindi cosa lo abbia spinto verso le missioni. Indirizzate al generale della Compagnia, le lettere, dette Indipetae, esprimevano con i toni dell’implorazione l’ardente desiderio dei candidati di partecipare alle missioni (…) Anche Ricci desiderava il martirio? A giudicare dalle sue missive e dalle attività sul campo degli anni a venire, non vi sono tracce della passione che portò altri alla ricerca di una morte violenta. Forse in lui il desiderio di avventure e di viaggi conviveva con l’aspirazione alla propria salvezza: il suo scopo poteva essere dunque “aiutare gli altri aiutando se stesso”, per citare un altro adagio gesuitico. La maggior parte dei compagni di studio di Ricci rimase in Italia … Altri invece condivisero il desiderio di Ricci. (Po-Chia, p. 32-33)

Matteo Ricci in abiti cinesi indica la Cina al centro della mappa del mondo

Di fatto Ricci si aggrega a coloro che puntando verso l’Oriente, devono prima passare da Lisbona, e poi, di qui, passare da Goa in India, e successivamente a Macao in Cina, dove i Gesuiti pongono la loro base di partenza per penetrare in Cina. Naturalmente in questi passaggi il giovane prete non sta inerte. Si dedica piuttosto a quelle conoscenze preliminari con le quali garantirsi un accesso più facilitato. Intanto egli ha modo di studiare il territorio e di capire, già da questo, quale sia il ruolo della Cina nel contesto geografico e più ancora quale possa essere il suo ruolo geopolitico. È molto interessante notare che nelle note storiche, da lui redatte, e che accompagnano il suo cammino in Cina, ha un rilievo non indifferente la descrizione della Cina, sotto il profilo geofisico con una notevole considerazione di carattere storico. È la dimostrazione che egli vuol conoscere bene questo Paese e che vi vuole entrare non solo per l’immagine che dà al suo presente, ma anche per quello che appariva agli occidentali, quando ne trattavano e per quello che esso comunicava quando si creavano contatti con l’esterno.

IL NOME DELLA CINA

Già nel capitolo II, dopo una introduzione di carattere metodologico nel suo modo di concepire e di scrivere di storia, Ricci ha cura di rappresentare quel gran mondo con l’essenziale della sua geografia.

Capitolo II

DEL NOME, GRANDEZZA E SITO DELLA CINA

Questo ultimo regno orientale venne a notitia de’ nostri europei sotto diversi nomi. Il più antico del tempo di Tolomeo fu di Sina, di poi, nel tempo di Tamorlano, come di poi chiaramente si vedrà, vi fu data notitia di essa da Marco Polo con nome di Cataio. (Ricci, p. 7)

Sono poche battute che riguardano tempi diversi, laddove qualche informazione riguardante la Cina arriva in Occidente, se non altro per il nome che viene dato a quel mondo, noto, ma di fatto non ancora contattato in maniera stabile. Qui si parla di Claudio Tolomeo (100-168 d.C.) che parla della “Sina” più volte nella sua opera conosciuta come “Almagesto”, come viene indicato nella versione araba. E’ qui che troviamo l’impostazione geocentrica del sistema solare, che poi viene definita “tolemaica”.

Viene pure ricordato un altro personaggio storico famoso, Tamerlano, (1336-1405) capo del Turkestan, che ha conquistato e creato un vasto impero fra l’Europa e la Cina, senza riuscire a conquistare quest’ultima, solo perché muore alla vigilia di questa impresa. In mezzo ci sta pure la figura, a noi ben nota, di Marco Polo (1254-1324), il quale nella sua famosissima opera ci parla del viaggio in quel paese, che chiama appunto con il nome registrato da Ricci. Il veneziano fece il suo viaggio dal 1271 al 1295 nel periodo in cui la Cina era dominata dai Mongoli e naturalmente ci ha fatto conoscere quel tipo di realtà, che i Cinesi considerano con diffidenza, essendoci stata l’invasione ed essendosi questa trasformata in una occupazione. Non per nulla la figura di Marco Polo non ha in Cina la fama che invece riveste da noi, diversamente da Matteo Ricci, considerato dai Cinesi come uno di loro, ma da noi ben poco conosciuto.

Ma il più celebre di questi tempi è questo di Cina, divulgato da’ Portoghesi, che per lunghi e pericolosi viaggi per mare arrivorno a essa e mercanteggiano nella sua parte più al mezzogiorno, nella provincia di Quantone (Guandong), se bene i nostri Italiani et altre nationi pensino chiamarsi China, ingannati dalla pronunciatione e scrittura spagnola, che non segue nel loro vulgare, in alcune lettere, la pronunciatione latina. Ed è cosa degna da notare che tutti questi nomi furono apportati ai nostri con aggiunzione di Grande, poscia che sogliono chiamarla magna sina, e Marco Polo la chiama il gran Cataio, e gli Spagnuoli la Gran Cina, di dove si vede l’essergli debita e connaturale la sua magnificentia e grandezza del suo nome. (Ricci p. 7)

L’autore vuole dunque soffermarsi sulla questione del nome in tutti i suoi aspetti, perché già da questo, che sembra un dettaglio, si può riconoscere che sia ad intra sia ad extra c’è consapevolezza di trovarsi davanti ad un mondo considerato grande e tutto da scoprire per la sua grandezza. Una simile visione (che è pure una sorta di autocoscienza dei Cinesi stessi) appartiene alla storia cinese e nel contempo passa da una generazione all’altra anche nei mutamenti inevitabili dei regimi politici. Questa visione di “Potenza” appare già presente a quanti vi giungono dall’Occidente, compresi i colonizzatori portoghesi, che si rendono conto di dover risalire nella Cina interna e di scoprire dunque un Paese molto vasto sotto il profilo geofisico e nel contempo un Paese che può avere in tal modo la coscienza di qualcosa che si estende e che, anche a partire dalle città, allora, e ancor di più oggi, densamente popolate, si dimostra di notevole grandezza e fatta per andare sempre oltre i propri confini.

Di qui l’imperialismo che domina la storia della Cina e che arriva come eredità anche alla Cina di oggi, per quanto essa non si presenti secondo le modalità imperiali che noi pensiamo di raffigurarci con personaggi di grande livello e soprattutto dotati di un potere veramente alto. Presentata così da Ricci, la Cina arriva in Occidente con la considerazione di qualcosa di veramente grande e che tale deve essere riconosciuta, rispetto ad un mondo come quello occidentale che dovrebbe puntare su un altro genere di grandezza.

LE PECULIARITA’ DELLA CINA

Poi Ricci entra in alcuni dettagli, che nella visione sua e dei suoi lettori devono essere considerati come peculiarità dei Cinesi. Queste particolarità diventano anche qualificanti circa il loro vivere e il loro operare: il fatto, ad esempio, che essi mangino la carne di cavallo è in sé una annotazione marginale; ed invece dovrebbe far pensare che proprio su questo animale punti in modo speciale la popolazione locale, non solo per avere nutrimento, ma per tante altre attività collaterali. Così, se nella nostra civiltà occidentale, a partire dall’Egitto, il bue “Api” costituiva il punto di partenza in diversi campi per coloro che in quel Paese e dal quel Paese volevano creare qualcosa di grande, nel Catai invece va dato rilievo al cavallo. Dal bue “Api” viene fatto iniziare il mondo religioso dell’Antico Egitto, così come di lì proviene la prima lettera del sistema geroglifico che poi diventa il nostro sistema alfabetico.

Né vi è anco dubio l’essere questa terra il regno degli Hyppofagi perché in tutta essa, sino ai nostri tempi, si mangia carne di Cavalli, come tra noi la vaccina. (Ricci p. 7)

Ovviamente non può mancare il riferimento a ciò che nell’immaginario collettivo di sempre caratterizza la Cina nella sua attività lavorativa specifica, cioè la produzione della seta. La via stessa, che viene formata e che viene frequentata nel corso dei secoli, è proprio quella che serve a trovare e ad acquistare qui per l’uso che se ne fa in Occidente, anche se poi, lo sappiamo bene, in modo particolare dalle nostre parti, troviamo un’attività analoga anche da noi. Come sempre, qui è una attività su larga scala.

E l’istessa anco è la Serica, poiché in nessuna di queste terre al ponente vi è seta se non in essa, e questa in grandissima abondanza, tanto che non solo la vestono grandi e piccoli, poveri e ricchi, ma anco ne mandano a tutte le genti circonvicine, et i Portoghesi la miglior mercanzia di che caricano le sue navi, o per il Giappone o per l’India, è di seta e di pezze di seta. L’istesso avviene agli Spagnuoli, che stanno nelle Filippine caricando le sue navi per la Nuova Spagna (il Messico). E ritruovo ne’ suoi libri l’arte della seta 2636 anni inanzi alla venuta di Christo benedetto al mondo, e pare che questa arte da questo regno si sparse al restante dell’Asia e a tutta l’europa et Africa. Là onde non è meraviglia esser detta e tenuta per grande, giaché vediamo quattro o cinque grandi regni al presente come uniti già in uno. (Ricci p. 7-8)

È evidente l’esaltazione di questa attività, che appare presente nella sola Cina e da qui raggiunge il resto del mondo con i suoi prodotti; l’autore li presenta non come riservati a persone di alto rango o comunque in grado di spendere tanti soldi. Questo genere di stoffa è usata ovunque e diventa un po’ la caratteristica del “vestire cinese”. Si dà poi informazione circa la commercializzazione di questo prodotto, rimarcando che sono i Portoghesi a farlo pervenire negli altri Paesi asiatici, mentre gli Spagnoli introducono il prodotto nel Nuovo Mondo. Con questa particolare segnalazione di fatto si dà ulteriore forza ad una visione del Paese che lo vede al centro, mentre gli altri attorno si avvantaggiano di un prodotto che noi dovremmo considerare “di nicchia” e che invece appare molto diffuso e ben noto e ricercato. Ricci, infine, segnala un testo da cui ricava la notizia che l’arte serica sarebbe entrata in Cina molti secoli prima di Cristo. Si tratta di una “notizia semileggendaria che colloca in questo anno (come lo vediamo segnalato nel testo di Ricci) l’invenzione dell’arte di lavorare la seta da parte di Lei Zu, moglie del leggendario imperatore Huangdi, passata alla storia come Xian Can, ovvero “Prima Sericultrice”.

LA SUDDIVISIONE DELLA CINA

Nella sua esaltazione della Cina come realtà grande, non solo per la vastità del suo territorio, Ricci vuole anche dire che questo Paese ha conosciuto la divisione e gli scossoni politici di diverse dinastie reali ed imperiali; e tuttavia questi fenomeni storici, pur sempre dannosi per ogni regno e soprattutto per ogni impero, non incrinano di fatto la grandezza della Cina, anche se, in certi periodi, essa viene a trovarsi in piena decadenza; nel contempo, superate le crisi, torna ad essere grande grazie alle sue ri-sorse umane, soprattutto legate alle attività economiche, che la fanno ricercata nel mondo per questo.

Quello che a me mi fece più meravigliare fu il sapere che tutti questi nomi sono alla stessa Cina incogniti et inauditi; e non sanno l’esser chiamati così, né la causa di tali nomi a loro imposti, avendone mutati molti e stando anco esposta ad altre mutanze. La causa è per il loro antichissimo custume che, quando il regno si muta di una famiglia in altra, si muta anco il nome del regno a voglia del primo Re di quella famiglia, il quale ordinariamente elegge qualche bello e grave nome. (Ricci p. 8)

Se esistono dunque diverse Cine, o meglio, diverse immagini della Cina, questo dipende dal fatto che si susseguono dinastie diverse, le quali contribuiscono a dare una particolare fisionomia per quel periodo, lungo o breve, che noi possiamo cogliere nel susseguirsi non solo dei secoli, ma persino dei millenni. E qui Ricci elenca una serie di dinastie a riprova che si è ben documentato circa la storia cinese. Queste diverse dinastie non sono tali comunque da indebolire la Cina nel suo insieme, perché se i passaggi sono, come un po’ ovunque, momenti di decadenza, poi si instaura un periodo di ripresa, nella quale la Cina ha sempre la possibilità di offrire una immagine di sé continuamente segnata dalla grandezza.

E così fu chiamata Than, che vuol dire largo senza termine; In che vuol dire riposo; Hia, che vuol dire grande; Sciam che vuol dire ornato; Ceu, che vuol dire Perfetto; Han, che vuol dire la via lactea nel Cielo con altri molti. Et dall’anno del Signore 1236, che regna la famiglia Ciù, si chiama Min che vuol dire chiarità; e, per durare anco adesso in questa famiglia, gli aggiungono una sillaba Ta, che vuol dire grande, e si chiama Ta min, cioè grande chiarezza. I popoli vicini puochi sono che sappino queste mutanze, e così le chiamano anco con varij nomi, e penso che ciascheduno con il primo di che hebbero notitia. I Cocincinesi, i Siami di dove imparorno i Portoghesi, la chiamano Cin, i Giapponi la chiamano Than; i Tartari la chiamano Han, et i Saraceni la chiamano Cathai. (Ricci p. 8-9)

LA CINA COME “TERRA DI MEZZO”

Dilungandosi sulla questione del nome, Ricci non vuole complicare le cose, ma far intendere la coscienza che i Cinesi hanno del loro mondo e della loro visione del mondo: essi evidentemente intendono la Cina al centro del mondo e tutto il resto va considerato periferia. Essendo al centro la Cina è il “paese di mezzo”, e nel contempo è la realtà più grande, appunto perché centrale.

Ma in questo modo anche tutto ciò che vi è all’esterno, va inglobato, se essa è davvero il cuore del mondo, del globo. E perciò è necessario che essa si qualifichi sempre al meglio per questa sua posizione e sia sempre più in grado di assimilare la realtà che la circonda. Lo specifica con chiarezza il missionario gesuita, quando arriva a sostenere che, nella coscienza del Paese e quindi nei suoi abitanti, c’è questa impostazione che la fa sentire davvero come il cuore del mondo creato, come colei che deve tenere l’universo aggregato a sé.

Ne’ libri della Cina, oltre il nome di quel secolo corrente, si chiama Ciumquo (letteralmente = il Paese del Centro), che vuol dire regno nel mezzo, e ciumhua, che vuol dire Giardini del mezzo, et il Re che ottiene tutta la Cina lo chiamano signore di tutto il Mondo, pensando che la Cina eminentemente tiene tutto l’universo; il che, se paresse strano a qualcuno de’ nostri, imagini che più strano parrebbe alla Cina il chiamarsi i nostri antiqui imperatori con questo titolo, senza essere signori della Cina. (Ricci p. 8)

E qui giunge a sostenere che, in presenza di altri imperatori, di altri sovrani che così si qualificano, c’è come una sorta di Paese alternativo e quindi anche antagonista e come tale da sentire ostile. Come è possibile allora che esistano imperatori, quelli romani e quelli successivi che pur derivano dall’antico impero il loro titolo, che possano essere tali senza essere pure signori della Cina? Sulla base di questa sua maniera di consi-derare la cosa si dovrebbe concludere che possano esistere imperatori che non siano cinesi di origine; ma essi, se sono tali, non possono non essere anche i signori della Cina e considerare comunque quel Paese come cen-trale al mondo, come punto costitutivo del mondo nel suo insieme. Evi-dentemente si riconoscono altri Paesi e altri popoli; e non potrebbe essere diversamente; ma va riconosciuta la centralità della Cina, per la quale dunque è importante e necessario che si entri effettivamente in dialogo riconoscendo questa sua posizione centrale. Dovremmo di qui capire come Matteo Ricci, nel suo accostamento alla Cina, abbia ben compreso una simile visione, e, rispettandola, abbia cercato ogni possibilità di dialogo aperto al fine di penetrare in essa per portarvi poi la luce del Vangelo: questo non può giungere ai Cinesi come qualcosa di estraneo ad essi, ma come un messaggio di vita intrinsecamente legato alla Cina per la modalità stessa con cui la religione cristiana si presenta, volendo essere davvero universale e non tanto il prodotto di una cultura locale in termini geografici e cronologici.

E va riconosciuto che il suo approccio con la Cina è stato quanto mai positivo, assolutamente non condotto secondo i criteri di stampo colonialista, come succedeva nel medesimo periodo altrove, e come, per tanti versi, è stata pure condotta l’azione missionaria, in molti momenti della storia e in molte parti del mondo. Questa stessa visione è quanto mai opportuna oggi nell’accostare, da parte cattolica e quindi da parte dei missionari, i Paesi extraeuropei, che non possono essere assimilati allo schema culturale europeo. Più che mai questo atteggiamento è da tener presente nell’accostamento della Cina: ciò che ha fatto Ricci, va riletto e considerato oggi nei confronti di un mondo cinese che appare guardingo ad aprirsi in modo particolare al mondo cattolico, che pur ha conosciuto, che pur si è già affermato nel Paese, visto che esiste una forte comunità, per quanto sia sempre minoritaria. Occorre evidentemente la saggezza che Ricci ha cercato di usare nel suo approccio alla Cina, perché non c’è solo la remora politica a costituire un ostacolo nei rapporti fra la Cina e la Chiesa cattolica rappresentata dal Vaticano. Quest’ultima non rinuncia affatto a dialogare con essa. È però necessario comprendere la visuale cinese che lo stesso Matteo Ricci, nel suo testo e soprattutto nella sua testimonianza di vita, cerca di illustrare e di far capire al mondo occidentale e soprattutto alla Chiesa Cattolica: questa deve ancora molto considerare nel rapportarsi con le nuove terre e le nuove popolazioni che accosta mediante i viaggi esplorativi del Cinquecento. Va riconosciuto che il sistema messo in campo dai Gesuiti, pur con tutte le debolezze di un accostamento iniziale e mai prima operato, è indubbiamente di gran lunga più rispettoso dei popoli rispetto a ciò che fanno altre congregazioni religiose nel medesimo periodo. Quanto si evince da ciò che si operava in Cina e da ciò che contemporaneamente si faceva nell’America meridionale, sempre da parte dei Gesuiti, è indicativo di un metodo missionario sempre da verificare e da revisionare. Le famose “reducciones paraguayane”, per quanto siano state fallimentari, potevano costituire un esem-pio di approccio alle popolazioni indigene, nel pieno rispetto delle loro peculiarità. Anche in Giappone l’accostamento sembra inizialmente giusto, e tuttavia non mancano le incomprensioni: qui i missionari gesuiti arrivano per la prima volta e, per quanto essi tentino un accostamento rispettoso, risultano travolti dalla bufera di una persecuzione sanguinosa. Perciò l’analisi e lo studio del metodo messo in campo da Matteo Ricci sono quanto mai importanti anche oggi per comprendere meglio la sua azione missionaria e per accostare meglio, soprattutto la Cina.

LA CARTOGRAFIA

Sappiamo che ogni missionario gesuita doveva inviare a Roma relazione delle proprie attività. Queste sono ancora oggi raccolte e schedate. Matteo Ricci non è da meno, e nelle sue relazioni appare anche minuzioso e soprattutto dotato di capacità specifiche che danno un notevole valore scientifico ai suoi scritti. In modo particolare emergeva la sua perizia di geografo e di cartografo, costruita negli anni della formazione a Roma. Lo si può vedere già dalle prime battute della sua monumentale opera circa l’entrata della Compagnia di Gesù in Cina, che non è solo opera sua. Lui qui si dimostra davvero abile nel proporre per iscritto una descrizione geofisica della Cina, secondo gli schemi di quel tempo.

CARTINA DELLA CINA CON LE SUDDIVISIONI PROVINCIALI

Quanto al sito e alla grandezza di essa, al mezzo giorno comenza in 19 gradi del equinoziale nel Insola di Hainan, e va a finire in 42 gradi fuora de’ muri settentrionali dove comenza la Tartaria. Dal levante comincia nella Provincia di Iunnan in 112 gradi dell’Insole fortunate, e finisce in 131 nel mare di levante, e quasi viene a fare un quadrato perfetto, un puocho magiore in larghezza di quello che è lungo (la posizione geografica della Cina, qui definita da Ricci, venne ritenuta esatta da D’Elia, che la vede come il punto di arrivo di numerosi calcoli, via via rettificati e attestati nell’epistolario ricciano. In realtà Ricci non poteva essere in grado di effettuare dei calcoli precisi, data l’impossibilità, ai suoi tempi, di ottenere un esatto calcolo longitudinale. Egli aveva a sua disposizione solamente metodi molto approssimativi, come il calcolo delle eclissi lunari o l’uso delle effemeridi. Il problema venne risolto solo nel 1761 con la messa a punto di un cronometro da installare sulle navi. In epoca Ming la Cina si estendeva dal 18° dell’estremità sud di Hainan al 42° nord, dal 70° al 125° a est di Greenwich). E la magior parte di essa sta nella zona temperata e comprende tutti gli Climi che stanno dal fine di Diameroe siano all’ultimo de’ Diaromi (Le espressioni “Diameroe” e “Diaromi” si riferiscono alla suddivisione della sfera terrestre, operata nel XIII secolo da Giovanni Hollywood, in sette zone dette climi astronomici; in particolare quella definita Diameroe prendeva il nome dall’antica città di Meroe in Nubia, mentre la fascia climatica Diaromi prende il nome dalla città di Roma): di dove si vede excedere in grandezza a tutti gli altri regni del mondo, se bene non è sì grande quanto alcuni scrittori moderni la facciano, estendendola al settentrione sino a 53 gradi, che vengono a farla un terzo magiore di quello che è; ma questi termini di essa habbiamo noi verificati con astrolabi jet altri strumenti in varij luoghi di essa dove passassimo e stessimo, con l’osservationi di varie eclissi, con i loro Calendarij, dove molto puntualmente sono calculati i novilunij e Plenilunij, e sopra tutto per molti e varij libri di Cosmografia stampati, ne’ quali esattamente si descrivono le provincie, regioni e confini del Regno. (Ricci, p. 9-10)

Questa particolare lettura della Cina sotto il profilo geografico, quello che inquadra il territorio secondo coordinate scientifiche, in uso allora, rivela che Ricci aveva acquisito una formazione egregia, frutto del suo ingegno e dei suoi studi, ma nel contempo anche di una educazione scolastica di pregio. È quella che lui ha ricevuto nel Collegio Romano, istituzione scolastica fondata e gestita dai Gesuiti.

Forte di alcune delle migliori menti della Compagnia il Collegio Romano godeva di un’impareggiabile reputazione. Montaigne stesso, colpito dalla stima di cui i gesuiti godevano, reputò che non fossero mai esistite fino a quel momento “altra confraternita o comunità del pari potenti o capaci di produrre effetti quali produrrà questa, potendo realizzare i propri intenti: in poco tempo avrà in suo potere tutta la cristianità, essendo un vivaio di grandi uomini d’ogni sorta e quella – fra le nostre istituzioni – che più minaccia gli eretici attorno a noi”.

(Po-Chia, p. 22-23)

Ricci in questo collegio e in questo momento si appassiona un po’ a tutto, dedicandosi in modo particolare alla retorica e alla filosofia. Ma poi finiscono per prevalere gli interessi scientifici, e in particolare egli si dedica alla geometria.

La geometria era alla base della matematica studiata dai gesuiti, ed Euclide ne rappresentava la massima autorità. In aggiunta alla spiegazione dei testi degli antichi, Clavio (Cristoforo Clavio (1538-1612) è un gesuita tedesco, matematico e astronomo, l’ideatore del calendario gregoriano), professore di Ricci, fu fonte di grande ispirazione per gli studenti, grazie al suo originale lavoro, specialmente nell’ambito delle osservazioni astronomiche e dei calcoli geografici. Oltre all’ap-prendimento dei testi e della teoria, gli studenti imparavano a utilizzare i quadranti, i globi, le sfere armillari, gli astrolabi e i sestanti, sapevano prevedere le eclissi e misurare la posizione del sole per determinare la latitudine e la longitudine. Nel 1572, quando Ricci era da poco novizio. Clavio riuscì ad osservare, insieme ai suoi studenti, una nova, una scoperta tal-mente emozionante da spingere l’astronomo tedesco a scrivere “Sono convinto che la nova sia stata creata da Dio nell’ottava sfera come presagio di qualche grande evento (sebbene la natura di questo evento potrebbe essere tuttora sconosciuta)”. Era forse un segno che annunciava la nascita di una nuova stel-la nel firmamento gesuita? Uno dei nuovi studenti di Clavio? La geometria non forniva solo gli strumenti per lo studio dello spazio celeste, ma facilitava anche i progressi della cartografia. (Po-Chia, p. 24)

Proprio sulla cartografia Ricci va a puntare i suoi interessi. E quanto lui apprende gli serve poi nel viaggio che progressivamente lo porta al cuore della Cina, non solo perché arriva alla capitale, ma perché ha modo di in-contrarsi col sapere cinese, proprio a partire da uno degli interessi più coltivati in Cina. Evidentemente a partire dai suoi stessi studi operati sui banchi di scuola, egli ha modo di dialogare con più fiducia su interessi comuni. E la fiducia è ricambiata. D’altra parte la scienza cartografica aveva pure un suo affascinante sviluppo in Occidente a partire dai viaggi di esplorazione che erano in corso in quel secolo e che richiedevano carte sempre più aggiornate: è del 1570 il primo mappamondo che risultava più preciso rispetto alle carte disegnate nel Medioevo e ancora utilizzate, anche se si rivelavano inadatte. Gli studi di questo genere appaiono dav-vero utili a Ricci, perché al momento della sua entrata in Cina si trova ammirato dai Cinesi e ben accolto proprio per questa sua abilità e per l’uso consolidato di rappresentare il mondo mettendo al centro la Cina, che diventa così la “Terra di mezzo”. La prima biografia, scritta dal gesuita bresciano Giulio Aleni (1582-1649), che arriva in Cina dopo la morte di Ricci e di cui fornisce una bella immagine di missionario nel grande paese asiatico, mette in risalto il contributo che Ricci dà in questo particolare campo:

35.

Durante la permanenza a Duanzhou, Maestro Ricci aveva già prodotto una mappa del mondo che in seguito finì in possesso dell’onorevole Zhao Xintang, al quale piacque tanto da trasporla su pietra con delle spiegazioni, nonostante che egli non avesse ancora conosciuto Maestro Ricci di persona. (Aleni p. 41)

36

Quando l’onorevole Zhao fondò la prefettura di Gusu, il ministro Wang arrivò con Maestro Ricci a Nanchino. L’onorevole Zhao offrì al ministro Wang dei doni tra cui la mappa del mondo. Il ministro mosso da meraviglia la mostrò a Maestro Ricci. E mandò una risposta all’onorevole Zhao scrivendo: “Il disegnatore della mappa è ora qui da me”. L’onorevole Zhao fu oltremodo pieno di gioia per la sorpresa, e volendo invitare Maestro Ricci a casa sua, mandò una carrozza. E fu un incontro assai piacevole per entrambi. (Aleni p. 42)

L’interesse, che noi riconosciamo particolarmente spiccato per la materia da parte di Matteo Ricci, non gli deriva solo dai suoi studi in Italia, ma anche dal fatto che il dialogo con i sapienti della Cina gli abbiano mostrato un terreno comune su cui continuare gli studi e approfondirli anche. Addirittura egli mette in risalto di aver pure letto libri cinesi sull’argomento e di aver così accresciuto il suo sapere. Perciò se può parlare del territorio cinese e della sua suddivisione in “province”, egli lo deve alle letture fatte, dimostrando in tal modo che il sapere scientifico si deve sviluppare a partire dai testi, soprattutto locali, che possono essere di maggiore utilità per capire al meglio la Cina stessa. Proprio per la sua estensione non sarebbe più facilmente alla portata di chi vuole non solo penetrarvi, ma più ancora conoscerla non senza aver dialogato con chi può far meglio conoscere. E parlando del libro da lui consultato fa riferimento ad un atlante, che in Cina era particolarmente conosciuto e utilizzato.

Et acciocché non pensi alcuno che, per esser così ampio questo Regno habbi qualche gran parte di esso spopolato e deserto o manco pieno di gente e Città, porrò nel fine di questo capitolo, quello che ho trovato in un libro, per il quale si suon stampato nel anno 1579, della descrittione della Cina, voltato parola per parola nella nostra lingua, che è questo (Forse Ricci si riferisce all’edizione del 1579 del Guangyutu, un importante atlante cinese di derivazione mongola, risalente alla fine del XIII secolo, successivamente ampliato e dotato di nomi topografici Ming. Fu l’atlante cinese più diffuso fino alla meta del XVII secolo.): “Ha la Cina due Provincie curiali, Pacchino e Nanchino, et altre tredici Provincie di fuora. (Le due province chiamate “curiali”, Pechino capitale dell’Impero e Nanchino capitale secondaria, erano aree metropolitane: l’area metropolitana di Pechino (beizhili) comprendeva tutto l’attuale Hebei, riferendosi alla città di Pechino si diceva Shuntianfu. L’area metropolitana di Nanchino (Nanzhili) comprendeva l’attuale nord dell’Anhui e il Jiangsu, per riferirsi alla città si diceva Yinguanfu. Ambedue erano sedi di ministeri e uffici imperiali. Le altre province sono: Shandong, Shanxi, Shaanxi, Henan, Huguang, Jiangxi, Fujian, Zhejiang, Guizhou, Sichuan, Yunnan, Guangxi e Guangdong.) In queste quindici Provincie (che possono fare altrettanti regni ben grandi) vi sono 158 Regioni che loro chiamano fu (che sono come Provincie piccole, sebbene alcune di esse fra di noi farebbono grandi Provincie, per comprendere dodici e quindi Città, oltre altre terre e fortezze. (Ricci, p. 10)

Qui veniamo a conoscenza delle due capitali e della suddivisione in province, come sono definite dagli stessi Cinesi, anche se esse non corrispondono affatto a ciò che in Occidente noi consideriamo “province”; qui addirittura per alcune di esse si dovrebbe pensare a Regni, che da noi si configurerebbero come Stati. In effetti anche in Cina si deve parlare di entità che presentano una popolazione ben diversa da quella cinese, anche se qui non si gode dell’indipendenza, ma piuttosto si ha una totale sottomissione, che fa essere questi ampi territori assimilati di fatto alla Cina. In questo modo comunque prende piede la visione che la Cina vuol avere e vuol dare di sé, come di una entità vasta, che tende a inglobare il mondo a partire dalla sua posizione centrale. Se ancora non raggiunge questo risultato, essa comunque coltiva questa prospettiva e proprio questo genere di suddivisione tende a mostrare questo maniera di intendere il rapporto fra ciò che è veramente centrale e quanto si muove a livello periferico, per le popolazioni e i territori che sono in questo momento nella Cina stessa, ma in posizione periferica.

Ovviamente gli abitanti di questo immenso territorio non si possono considerare nel loro insieme tutti appartenenti all’etnia cinese, anche se tutti ruotano attorno alla “Terra di Mezzo” e come tali ne fanno parte, anche e non essere propriamente cinesi. Questa considerazione sulla popolazione locale, spinge Ricci ad una analisi non solo geofisica della Cina, ma anche alla sua componente antropica, che evidentemente è da considerarsi la più importante, anche in una lettura che si vorrebbe scientifica e coltivata con gli strumenti scientifici. Non può dunque mancare una annotazione di carattere demografico, che qui Ricci aggiunge per i suoi lettori occidentali. Essi devono conoscere e riconoscere la vastità della Cina e come questa aspiri sempre più ad inglobare ciò che le sta attorno. E tuttavia la sua potenza non è data dalla sola vastità dei territori, ma dal fatto che in essa vi sia una notevole quantità di persone e queste appartenenti a etnie diverse, che comunque si riconoscono inseriti nel grande mondo cinese. Il computo della popolazione viene fatto non sulla base della sola registrazione che le persone esistono, ma vengono enumerate a partire dal censo, quello che si rileva significativo perché lì si può esercitare una esazione fiscale. Le persone sono dunque contate sulla base del fatto che si possa esigere una imposta e che essi possano contribuire. Così la potenza dello Stato si riconosce sulla sua ricchezza di mezzi e di beni. Accanto sono pure conteggiati coloro che appartengono al mondo militare, perché evidentemente si riconosce pure in loro un contributo di cui lo Stato ha bisogno per mostrare la sua potenza.

Gli huomini adulti, che pagano tributo personale sono 58 milioni e 550801 capi; oltre le donne che sono altre tanti, i fanciulli e giovani e i soldati che sono più di un milione, perché vi sono alcune mezze provincie come di Leatun (Liaodong, considerata la prima area di frontiera a est, controllata da Comandanti Regionali e facente parte dello Shandong dal punto di vista amministrativo ) et altre, dove tutti sono soldati, et parenti del Re, eunuchi et altri molti esenti dal tributo (Risulta difficile stabilire quale fosse la popolazione cinese alla fine del XVI secolo … ). Regni che danno obedientia alla Cina per il levante sono tre; al Ponente cinquanta tre; al mezzogiorno cinquantacinque; al settentrione tre. È vero che questi né tutti vengono adesso, e, venendo, apportano più dallo alla Cina che guadagno, e così puoco si cura essa che vengano o lascino di venire. (Ricci accenna al rapporto con i paesi stranieri, regolati dal sistema dei tributi, che non era semplicemente l’espressione di un rapporto di vassallaggio, ma una istituzione complessa con cui gli imperatori cinesi inserivano i paesi stranieri in un sistema gerarchico, riflesso dell’ordine sociale confuciano presente all’interno della Cina.

Il tributo abbracciava le relazioni estere in ogni loro a-spetto, dalla protezione militare al privilegio di commercio con la Cina. Gli Stati tributari accettavano il rapporto di sottomissione: i monarchi per salire al trono, richiedevano l’investitura imperiale, e usavano nei propri documenti la datazione del calendario cinese.) (Ricci, p. 11)

Il capitolo che Ricci dedica alla geografia cinese si conclude con una annotazione che riguarda le fortificazioni, naturali e costruite, con cui la Cina cerca ai suoi confini la difesa e la definizione di sé per essere inquadrata come Terra di Mezzo. Ovviamente ciò che sta oltre sono i nemici, considerati come i possibili invasori. Esiste anche l’accenno alla grande costruzione della muraglia, concepita per tener testa ai Mongoli invasori

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UN’IMMAGINE DELLA MURAGLIA CINESE

Oltre l’esser sì grande e piena, la Cina è assai fortificata dalla natura e dal arte. Percioché dal mezzogiorno e dal Levante tutta è diffesa dal mare che la Cinge; dalla parte di tramontana, oltre i monti, vi fecero per molte centinaia di miglia muri fortissimi (la Grande Muraglia, lunga oltre 5000 km, risultante dall’unione di antichi tratti di mura difensive, unificati sotto l’imperatore Qin Shi Huangdi (221-206 a.C.)), che impedono gli insulti de’ tartari, e dal ponente nella parte più settentrionale viene difesa da’ persiani con un deserto di arena (il deserto del Gobi), dove né possono habitare né anco passare molti insieme; e più al mezzo giorno tutto è pieno di monti e confina con regni piccoli de’ quali puoco se può temere. (Ricci, p. 11)

CONCLUSIONE

La ricerca fatta sul testo di Matteo Ricci, che di per sé si propone di curare la parte storica e di raccontare come sia avvenuta la penetrazione dei Ge-suiti nel grande mondo cinese, può sembrare qualcosa di assolutamente marginale, come è spesso anche tutto ciò che riguarda il grande campo delle geografia. Fa specie rilevare che l’autore vi dedichi il capitolo introduttivo, non solo per raccontare ai suoi lettori occidentali di questa grande area del mondo, di fatto sconosciuta, in gran parte d’Europa, ma anche per introdurre una particolare attenzione che si deve avere quando si accosta la Cina: sembra quasi che la componente geografica sia quella più interessante e rilevante, quella più apprezzata e più ricercata dagli stessi Cinesi, anche perché qui si riscontra la ben precisa consapevolezza che la Cina, sia a partire dai singoli abitanti, sia e soprattutto a partire dalle autorità politiche e culturali, ha della propria grandezza in riferimento al mondo che la circonda. Se essa è in effetti la “Terra di Mezzo”, essa va ritenuta al centro; e più ancora è comprensibile che essa, da quella posizione intenda inglobare il resto. Matteo Ricci diventa sempre più consapevole di questa impostazione, e si premura di accostarsi con l’atteggiamento più rispettoso, perché poi l’approccio sia fruttuoso. Il suo fine, ovviamente, rimane quello “missionario”; e quindi egli ha presente come scopo del suo viaggio la predicazione del vangelo. Ma non vuol partire, si direbbe oggi, “lancia in resta”, come se si trattasse di una conquista, ma di avviare un incontro, che sia una effettiva “incarnazione” di Cristo e del suo vangelo dentro il mondo cinese. Da quanto si legge nel suo testo si deve riconoscere che l’approccio darà poi i frutti sperati, ma è importante fare i passi giusti, quelli che, in realtà, non saranno compresi in Occidente e neppure del tutto dentro la sua stessa Compagnia religiosa, che pur l’aveva formato e sostenuto in questo suo modo di operare.

Qui è già importante rilevare come la visione minimalista della geografia, quella che si dedica alla scoperta e alla presentazione del territorio, ha un grande rilievo nella strategia del missionario che si dedica con fervore alla sua opera. Ed anche le sue parole in questo ambito rivelano la modalità giusta nel suo entrare con rispetto e con attenzione nei confronti di un mondo quanto mai diffidente verso i tentativi con cui l’Occidente ha cercato l’accostamento e la penetrazione. Come altre popolazioni dell’Estremo Oriente, pur in presenza di forti pressioni colonizzatrici da parte delle potenze occidentali, la Cina ha sempre fatto quadrato per resistere a questa forma di penetrazione secondo gli stili e i metodi coloniali. Ha invece reagito in modo costruttivo all’azione messa in campo dal missionario gesuita, che ancora conserva nel Paese un bel ricordo, segno di un tentativo di dialogo apprezzato e ricambiato. Anche nel nostro modo di cercare di intendere questo Paese, sempre più potente e rilevante, dobbiamo costruire un approccio che permetta di capire meglio questa realtà, e soprattutto la popolazione cinese, che oggi si muove sempre di più e che sta penetrando in Europa, in numero crescente, senza che questa modalità sia guardata con quella preoccupazione e paura che invece si ha per altro genere di popolazione e di immigrazione. Già è sviluppato lo scambio soprattutto nell’ambito commerciale; non altrettanto lo è per altre forme di conoscenza e di collaborazione. Per questo diventa utile imparare da chi ha vissuto un accostamento e un rapporto significativo!

BIBLIOGRAFIA

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DELLA ENTRATA DELLA COMPAGNIA DI GIESU’

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UN GESUITA NELLA CITTA’ PROIBITA

Matteo Ricci, 1552-1610

Il Mulino – 2012