Figure del mondo spirituale russo: Pavel Alexandrovich Florenskij

INTRODUZIONE.

PAVEL FLORENSKIJ è un religioso e un uomo di scienza, un prete e un padre di famiglia felicemente sposato, un uomo a tutto tondo e di notevole levatura spirituale, che merita di essere conosciuto per la grande passione che ha animato la sua esistenza, facendolo divenire un grande innamorato dello Spirito divino, e nello stesso tempo un raffinato ed esperto ricercatore degli elementi naturali, dentro i quali vedeva all’opera Dio Creatore. Ogni suo percorso di natura scientifica, vissuto con notevole acribia, non gli impediva affatto di scoprire e di sentire lo Spirito divino; come pure ogni sua riflessione sul mondo divino gli permetteva di valorizzare ancor di più il mondo naturale. Si potrebbe dire che non esiste campo dello scibile umano che egli non abbia cercato di accostare con perizia scientifica e nello stesso tempo con finezza di natura spirituale, perché dovunque lo sguardo della mente e del cuore si mette a scrutare, lì trova Dio e trova il meglio per l’essere umano. Anche nei momenti drammatici della sua esistenza non ha mai perso di vista questo sguardo profondo che lo ha immerso in Dio e nello stesso tempo nella natura, che lui considera la migliore espressione del divino. Anche ad essere rigoroso nelle questioni scientifiche e nelle applicazioni della tecnologia, non ha mai perso quel tipo di sensibilità, tutta interiore, che gli ha permesso di elevare la sua mente a Dio e al mondo divino che lui avverte come realtà affascinante e assolutamente necessaria al vivere dell’uomo. Anche a sentirsi travolto dagli eventi non cerca nella fuga la possibilità di sopravvivere, ma vive intensamente la sua testimonianza di fede in una serenità dav-vero sorprendente. Il suo rifugio nella preghiera e nella spiritualità non è affatto una evasione alla ricerca di quella forma di pace che lo tiene al riparo dai mali. Nella sua fede cristiana egli ritiene che la propria passione, quella che vive nelle sofferenze inferte dalla persecuzione, altro non è se non partecipazione piena al vivere di Cristo, che egli ama intensamente e che vuol servire e seguire fino in fondo. Il rifiuto dell’ateismo dominante e di una fede cieca nella scienza senza “anima umana” non si tra-sforma mai in ostilità e in una contrapposizione sterile. Anzi, la sua forte spiritualità, sempre vissuta anche nel pieno della cieca e pregiudiziale persecuzione, cresce più che mai e si rivela quanto mai vivace nei suoi scritti, soprattutto di natura filosofica e teologica, messi a disposizione dei fedeli frequentatori della chiesa, e anche di coloro che hanno a cuore la medesima cultura russa, così intrisa per lui di fede ortodossa, da espor-re, da chiarire, da rendere sempre più luminosa

La cultura in Russia non può prescindere affatto dalla sua immersione nella fede religiosa, che ha sempre accompagnato il corso della storia del popolo russo.

La cultura è la lotta consapevole contro l’appiattimento generale; la cultura consiste nel distacco, quale resistenza al processo di livellamento dell’universo, è l’accrescersi della diversità di potenziale in ogni campo che assurge a condizione di vita, è la contrapposizione all’omologazione, sinonimo di morte. Ogni cultura è un sistema finalizzato e saldo di mezzi atti alla realizzazione e al disvelamento di un valore, adottato come fondamentale e assoluto e dunque fatto assurgere a oggetto di fede. I primi riflessi di questa fede nelle funzioni imprescindibili dell’uomo determinano i punti di vista sui settori inerenti a dette funzioni, ossia sulla realtà oggettiva nella sua interazione con l’uomo. Tali punti di vista sono, sì, categorie, ma non categorie astratte, bensì concrete (si veda la Kabbalah); la loro manifestazione nella pratica è il culto. La cultura, come risulta chiaro anche dall’etimologia, è un derivato dal culto, ossia un ordinamento del mondo secondo le categorie del culto. La fede determina il culto e il culto la concezione del mondo, da cui deriva la cultura. (Il simbolo e la forma in BeL, p. XXVI-XXVII)

LA SUA VICENDA UMANA

Chi è stato e che cosa ha dato PAVEL FLORENSKIJ alla cultura del suo popolo, ma anche al percorso storico della “nostra” Europa negli anni sconvolgenti dei nazionalismi guerrafondai e delle rivoluzioni travolgenti che sembravano accendere la speranza con il sorgere del “sol dell’avvenire”?

Per quanto sia stato un astro emergente nella cultura scientifica russa all’inizio del Novecento e contemporaneamente una bella figura di cultore dello spirito religioso per il rinnovamento della fede nel suo stesso popolo, travolto dalla furia dell’ideologia marxista, Florenskij, dimenticato nel suo mondo religioso e radiato dall’apparato staliniano, sembrava destinato all’oblio; ed invece, soprattutto con il tramonto del comunismo in Russia, è stata avviata la riscoperta dell’uomo con la pubblicazione dei suoi scritti, che hanno valicato anche i confini del suo mondo russo, nel quale lui voleva farsi sentire per il suo risveglio religioso, culturale e umano. Questa rinascita avrebbe dovuto portare la Russia a far parte integrante del cammino europeo, da cui in parte viene emarginata e in parte sembra volersi contrapporre, allontanandosi. Ma così non è e non può essere!

PAVEL FLORENSKIJ nasce presso Yevlax, entro i confini dell’attuale Azerbaigian, il 9 gennaio 1882, primogenito di sette figli che il padre Alexsandr Ivanovic e la madre Olga Pavlovna Saparova, avevano messo al mondo. Il padre era un ingegnere addetto alle ferrovie, soprattutto nella tratta transcaucasica; la madre è originaria di una nobile e colta famiglia armena. I primi studi sono seguiti a Tblisi, capitale della Georgia. Di qui il giovane si allontana per trasferirsi a Mosca e frequentare l’Università. Sono numerosi anche i viaggi fra le varie città occidentali e nel contempo nei territori sterminati del mondo orientale. Nel 1899 lo coglie la prima crisi spirituale, soprattutto a partire dalla lettura di Tolstoi. Quindi si avvicina alla fede cristiana, che abbraccia sempre più convinto e soprattutto pienamente convertito. A Mosca frequenta la facoltà di Matema-tica subendo l’influenza di N.V. Bugaev (1837-1903), considerato uno dei mate-matici più quotati della Russia e presidente della Società Matematica di Mosca. Ma non disdegna neppure i seminari di filosofia antica. Nel 1904 si iscrive alla Facoltà teologica nei pressi del monastero della Trinità di San Sergio. Vi passa anni intensi, dedicati interamente agli studi di storia della filosofia, della Sacra Scrittura, della Teologia fondamentale, come pure di mistica, di logica simbolica e di lingua ebraica. Ma la passione travolgente è per la matematica e la scienza in genere, che lui comunque vuole studiare non senza quel genere di attenzione “umanistica”, che coltiva abbinando la scienza con la visione di fede religiosa. Nel 1908, anno della morte del padre, consegue la Licenza in Teologia. Il 23 set-tembre dello stesso anno assume la cattedra di Storia della Filosofia. Il 25 ago-sto 1910 sposa Anna Michailovna Giacintova, dalla quale avrà l’anno successivo il primo figlio. Il 24 aprile 1911 viene solennemente ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa. E nel 1912 consegue il Dottorato in Teologia. Nello stesso anno svolge una intensa attività pastorale.

Come testimoniano alcuni appunti sparsi, scritti il 10 settembre 1916, la chiesa stessa nella quale svolgeva le sue funzioni era rivolta non verso Oriente, ma verso Occidente. Florenskij pare leggervi un segno del suo interesse per il paganesimo e per l’antichità, scoprendovi oltre al significato simbolico una incessante contemplazione della bellezza davanti al tramonto e alla Lavra.

Tra il 1912 e il 1913 tiene un ciclo di lezioni e conferenze presso l’Accademia Teologica Moscovita: le sue parole sono tracciate attraverso l’alternarsi di intuizioni filosofiche, logiche, ontologiche, estetiche, mistiche. Lo stile della sua produzione, impressionista e dalla tonalità talvolta rapsodica, è un dato caratteristico del suo pensiero nomade, del pensiero che travalica le culture, le lingue, le epoche, le società. Un pensiero dove quella stessa cultura appare come una decisiva germinazione del culto”. (da Wikipedia)

Tra il 1918 e il 1922, anno in cui l’amico filosofo e teologo Sergej Nikolaevič Bulgakov accetta la scelta dell’esilio parigino, tiene alcuni cicli di conferenze all’Accademia libera di cultura spirituale. Ormai è scoppiata la Rivoluzione bolscevica, ma lui decide di rimanere, anche se la vita si fa sempre più difficile soprattutto per i religiosi. Dal 1921 lavora anche all’interno del laboratorio di ricerca della Glavèlektro, l’Amministrazione Centrale per l’Elettrificazione della Russia. Pubblica alcuni studi sulla tecnica, brevetta alcune invenzioni, viene impiegato dalla Goelro, l’Istituto Elettrotecnico di Stato. Dal 1927 al 1933 dirige il progetto dell’Enciclopedia Tecnica: si reca più volte nel Caucaso per ricerche scientifiche e di mineralogia, nel 1925 e, dopo l’arresto, nel 1931.

Il 26 febbraio 1933 Florenskij viene arrestato e condannato a dieci anni di gulag. Più tardi viene trasferito in un campo di prigionia presso le isole Solovki, nel Mar Bianco. Qui, al posto di un antico monastero, era stato eretto il primo campo di detenzione e “rieducazione” comunista. Continua a portare avanti le ricerche di sempre, provato ma instancabile, come quelle sul gelo perpetuo o sull’estrazione dello iodio. Realizza alcune scoperte scientifiche, come quella identificata nella produzione di un liquido anticongelante. Continua a scrivere, due o tre volte al mese secondo i permessi, lettere appassionate e struggenti ai familiari, alla moglie, alla madre e ai figli. Si verrà a sapere anni dopo che l’8 dicembre 1937 viene fucilato nei pressi di Leningrado.

Venne fucilato dopo anni di detenzione nel campo delle Solovki, in tempi in cui il numero degli individui sottoposti dal regime a una condizione simile, in luoghi e in modi diversi, raggiungeva la soglia dei due milioni nell’intero territorio dell’Unione Sovietica. Il rinvenimento nel cuore del bosco di Sandormoch, 60 anni più tardi, di alcune fosse comuni, potrebbe nascondere e celare per sempre le stesse spoglie di Pavel Florenskij. Già emblematica è una delle leggende, poco credibili seppure altamente significative, sorte intorno alla dinamica della sua scomparsa: avendo oltrepassato, immerso nei suoi pensieri, il limite invalicabile della recinzione del lager, sarebbe stato fucilato da una guardia all’istante”.

(da Wikipedia)

Sono numerose le opere scritte da Florenskij, alcune tradotte anche in italiano. Naturalmente hanno un forte impatto quelle che sono dedicate alla sua ricerca spirituale e quelle che riflettono il suo mondo umano, laddove egli conserva la comunicazione epistolare con le tante persone che conosce e che stima, in modo particolare la moglie e i figli. Da qui ricaviamo la notevole figura umana e spirituale che ci consente di scoprire quell’anima russa di cui tanto si parla e che, in modo particolare in Occidente, si fatica a capire …

CULTO E CULTURA

Introducendo il suo pensiero religioso, che egli ritiene fondamentale per capire il mondo russo di cui fa parte e che vuole esaltare di fronte ad un mondo diffidente nei confronti della Russia stessa, Florenskij si pone il problema di spiegare la divina liturgia come viene vissuta nel mondo russo e come questa liturgia, contrassegnata dalla bellezza, dall’armonia, dalla elevazione al mondo divino, sia veicolo per una fede sempre più profonda e sia anche strumento di elevazione della mente umana al mondo stesso di Dio. Le sue riflessioni sono condensate in

BELLEZZA E LITURGIA

Scritti su cristianesimo e cultura

Oscar Mondadori

Gli scritti qui raccolti, pur essendo il frutto di circostanze diverse e differenti occasioni, abbracciando un arco temporale che va dal 1902 al 1923, si propongono in tutta la loro unitarietà di senso e prospettiva, mostrando in filigrana il progressivo affinamento dell’ortodossia slavo-russa e del contesto antropologico, spirituale e culturale dal quale essa trae nutrimento … Con un linguaggio sobrio, essenziale, a tratti di estrema purezza, padre Pavel Florenskij ci dona di partecipare a quella “Bellezza cristica” così acutamente avvertita dalla spiritualità russa, ma senza alcuna mistificazione, senza eludere la drammatica complessità e drammaticità della vita, le ferite della storia, lo scandalo della divisione tra gli stessi discepoli di Cristo. L’oro lucente delle icone, le luci sfavillanti delle candele, la dol-cezza del rito liturgico, la misericordia e la compassione della pietà po-polare russa non intendono certo nascondere le ombre del nazionalismo e le fratture interne alla Chiesa russa, come pure i fanatismi e il dolore della reciproca incomprensione fra le diverse confessioni cristiane. L’in-sieme di questi scritti, in gran parte ancora inediti e ormai difficilmente reperibili ci restituisce … l’ardore del padre spirituale e dell’acuto inter-prete dell’ortodossia, portando alla luce (in modo chiaro e inequivocabile l’autentica passione per l’ecumenismo e la ricerca dell’unità dei cristiani. (BeL, p. VII)

Va rilevato a questo proposito che Florenskij viene citato nell’enciclica “Fides et Ratio” (1998) di Giovanni Paolo II “quale coraggioso esempio del fedele incontro tra ragione e rivelazione, ricerca filosofico-scientifica ed esperienza di fede”.

Ma viene anche sostenuto dal patriarca moscovita Alessio II: “L’opera di padre Pavel Florenskij smentisce l’idea ben nota dell’apparente incompatibilità tra lo spirito scientifico da una parte e la concezione cristiana del mondo dall’altra. L’erronea contrapposizione della ragione alla fede, che ha raggiunto il suo massimo sviluppo durante l’Illuminismo, arrecò non poco danno tanto alla comunità scientifica quanto alla Chiesa e, in definitiva, a tutta l’umanità. Sono convinto che nel XXI secolo il dialogo tra scienza e fede non solo si svilupperà proficuamente, ma sarà la base di una concezione del mondo rinnovata e integra. E il contributo del nostro genio russo e figlio fedele Pavel Florenskij alla formazione di una tale concezione del mondo non può essere dimenticato”. (BeL, p. X)

Qui cerchiamo allora di conoscere il pensiero di Florenskij in riferimento a quella fonte di cultura che è il culto stesso: il contributo culturale in qualsiasi parte del mondo non può prescindere da ciò che l’uomo ha conosciuto e sviluppato mediante il suo innato senso religioso, e in modo particolare con quelle forme di religiosità che noi troviamo nelle cerimonie dove cielo e terra si incontrano. E qui si incontrano sia le forme “naturali” derivate dalla natura stessa, sia quelle “culturali” che si impongono storicamente e in determinati contesti a partire da ciò che gli uomini sviluppano. Ovviamente nell’ambito cristiano la liturgia come si è creata e come si è nei secoli modificata, senza mai snaturarsi, non può non essere considerata: essa rappresenta per Florenskij l’espressione più vera e più alta che va conosciuta …

È davvero fondamentale per il giovane pope dare molto risalto alla divina liturgia, quella radicata nella storia e nella vita del popolo russo: la liturgia non è solo cerimonia rituale, non è solo uno spettacolo che eleva la mente in Dio per le modalità espressive che vi si riconoscono, con i canti, i lumi, le vesti sontuose, le icone: tutto questo è stato significativo fin dalle origini della storia russa. Gli inizi coincidono con il battesimo del granduca Vladimir I, il santo: in occasione del suo battesimo, si ha pure il battesimo della Rus’ di Kiev, e quindi l’avvio di una nuova era storica per questa terra e per il suo popolo. La scelta, secondo i racconti storici coevi, sarebbe maturata in presenza di una forma liturgica, quella ortodossa, ritenuta più vicina a far partecipare l’uomo al mondo divino, rispetto ad altre forme rituali, che pure si erano accostate per cercare la forma religiosa migliore. Rimane ancora oggi valida questa particolare visione di una liturgia divina nel mondo bizantino. Così si esprime Florenskij a questo proposito:

Quando i messi mandati da Vladimir a studiare le diverse fedi fecero ritorno a Kiev, gli riferirono del culto dei greci, di quanto bello e armonioso esso fosse, dei suoi canti angelici, e conclusero dicendo che nella liturgia dei greci Dio era tra la gente, forse alludendo alla visione del Bambino Gesù offerto in sacrificio eucaristico a cui avevano assistito nella chiesa di Aya Sofia. In altre parole, la religione cristiana, che tanta impressione suscitò sui messi, aveva in sé la forza per trasformare una vita inutile e informe in bellezza, armonia divina e, per quanto di rado, in vita come celebrazione, ma di fatto univa l’uomo a Dio. Divenuto cristiano, Vladimir dimostrò di aver accolto con tutta l’anima i due principi del cristianesimo di cui è stato appena detto: si diede a costruire chiese, a battezzare i suoi sudditi salvando le loro anime dal potere del demonio, e a costruire scuole; ma i suoi biografi indugiano in special modo su un altro aspetto del suo operato: “Più di ogni altra cosa Vladimir si diede alla limosina, (…) ogni povero e misero il principe lo portava a palazzo e davagli da man-giare e da bere”, e per chi, malato, non poteva presentarsi, Vladimir creò degli appositi carri su cui venivano portati per la città “pani, carne, pesce, verzura d’ogni specie, miele in bocce e in altre kvas”. Donazioni che si estendevano anche alle campagne e “per tutta la terra russa”. Questo è il terzo tratto che Vladimir colse nel cristianesimo: che fosse una religione della carità. Vladimir introdusse il cristianesimo senza che il suo popolo lo desiderasse, anzi spesso contro il loro stesso desiderio, ma nella grande causa della scelta della fede e del battesimo della Rus’ egli seppe misteriosamente intuire le sorti del cristianesimo in Russia. Vladimir è morto da tempo, ma a tutt’oggi quando gli ortodossi, come allora il loro principe, si ritrovano in una chiesa o in un monastero, guardano con grande timore l’icona delle pene dell’inferno e bramano d’essere tra chi sta “alla sua destra”; nelle loro misere chiesette come nelle cattedrali della capitale, così come i messi di Vladimir essi vedono metà del senso cristiano nella liturgia, nell’unione in preghiera con le forze dei cieli che officiano – invisibili – nel tempio, e uscendone essi rammentano anche la seconda metà; la carità. (p. 11)

Il culto, dunque, e in particolare quello orientale, derivato da Costantinopoli e poi conservato nella Russia di Mosca, la Terza Roma, deve costituire l’essenziale per il vivere umano e deve diventare, secondo Florenskij l’essenziale perché ci possa essere nel popolo russo la cultura, quella vera, quella che aiuta l’uomo ad essere maggiormente umano, e ad esserlo in comunione con Dio, con il Dio che si è fatto uomo in Gesù. Così il culto non è affatto sovrastruttura o qualcosa di aggiuntivo e superfluo …

Il culto non solo non è estraneo al mondo, ma esiste grazie alle cose del mondo in tutta la sua concretezza materiale, santifica il mondo e l’essere umano che è nel mondo, luogo della pienezza della gloria di Dio come si canta nella liturgia eucaristica: “I Cieli e la Terra sono pieni della Tua gloria”. Non è certo casuale il fatto che proprio dalla liturgia traggano alimento le più autentiche esperienze di santità maturate dalla cristianità russa, tutte attraversate dalla luce trasfigurante della bellezza interiore, quale loro tratto distintivo.

(BeL, p. XXVIII)

Per questa visione del mondo e del vivere, Florenskij elabora la sua riflessione sulla liturgia ortodossa russa, che non intende solo come celebrazione rituale, ma un vero e proprio modo di essere e di vivere, che segna profondamente il vivere dei Russi, i quali costruiscono la loro vera anima, a partire da come sono partecipi alla liturgia, che è la sorgente essenziale ed esistenziale di quella armonia che permette al vivere di diventare davvero più umano. Naturalmente questa sua visione risulta “ideale”, non perché non sia realizzabile, ma perché in essa si insinua la fragilità umana, la debolezza che deriva dal peccato, quella sorte di inquinamento demoniaco che serpeggia, quando si perde l’attaccamento vivo alla tradizione per inseguire quelle forme considerate “di modernità”, che fanno cercare la cosiddetta omologazione al mondo occidentale. Ecco allora l’importanza di recuperare le origini, per la giusta miscela nel popolo e nella storia russa fra ciò che il popolo stesso aveva acquisito nel suo sentirsi immerso dentro il mondo naturale (quello derivato dal fatto di essere inse-rito nella steppa, nel mondo dei fiumi e delle foreste, nella taiga …) e nel contempo ciò che con la mediazione del suo fondatore Vladimir, aveva acquisito a partire dalla visione del mondo cristiano fatto pervenire nella maniera “bizantina” di celebrare.

Il contadino russo, che ora professa l’ortodossia in piena e franca convinzione, crede in Dio, nella Chiesa e nei sacramenti, ma crede anche con fermezza non minore negli spiriti dei boschi, in quelli malvagi della casa e della stalla, negli scongiuri ecc., ed è, quest’ultimo un elemento necessario quanto il primo alla sua fede, alla sua condotta e alla sua visione del mondo. Egli guarda in modo mistico non solo al mondo dei santi, ma anche alla natura, non solo a Dio, ma anche al diavolo. L’ambito religioso, inoltre, non è per lui circoscritto alla Chiesa e alla natura; la terza branca della sua vita religiosa è il quotidiano, che comprende il lavoro nei campi, i rapporti familiari, il mangiare, il dormire, il vestirsi e a vita di tutti i giorni in genere.

Esamineremo perciò l’ortodossia russa in tre ambiti: la Chiesa, il quotidiano e la natura, intendendo con quest’ultima non solo i fenomeni naturali in senso lato ma anche il mondo degli spiriti pagani. Per un ortodosso la Chiesa non è un’autorità esterna come per i cattolici; gli ortodossi non hanno mai avuto cara quell’unità della Chiesa che i fedeli conquistano a scapito della propria libertà, ma sono altrettanto lungi dall’interpretazione protestante, per la quale “Chiesa” è una parola vuota. Il cattolicesimo tende a identificare la Chiesa con il clero, a opporre il clero ai laici. Nell’ortodossia la Chiesa non è pensabile senza la gente e il popolo dei credenti è la Chiesa. (Bellezza e Liturgia, p. 12)

Appare così evidente quanta importanza abbia il culto nel vivere del credente, ma non solo per esso: esso non è solo una componente fondamentale della religiosità che ha questa particolare modalità per esprimersi. Il culto è in realtà l’elemento principale perché si sviluppi una cultura; e questa è la componente che caratterizza un popolo, che gli dà l’anima, che lo fa essere davvero “umano”. Ecco perché la liturgia va pienamente vissuta e va considerata basilare, molto di più della dottrina e della morale. Esse, invece, assumono, secondo lui, un ruolo primario nella visione cattolica del vivere. A vigilare su queste componenti, perché siano assolutamente ben presenti e siano sempre operative, sta la gerarchia cattolica, più che la coscienza, mentre, di per sé, al sacerdote compete la presidenza della liturgia per far “da ponte” (“pontefice”) fra cielo e terra. Più che un maestro di dottrina, il prete va considerato come un pastore che guida il suo gregge; e questo lo si riconosce nella sua presidenza liturgica, ed eucaristica in particolare. Florenskij ci tiene a sottolinearlo marcando la differenza con la maniera con cui il prete cattolicesi pone nella sua missione. Si deve presupporre che sia ben nota la questione della funzione della liturgia nella vita della Chiesa nel suo insieme e nella vita del singolo cristiano, rispetto a ciò che appare diventata in modo particolare a partire dalla riforma liturgica conciliare. Le polemiche, tuttora in corso e tali da far ricercare un indietreggiamento con il recupero della liturgia proposta a partire da Trento, nascono evidentemente con la contrapposizione fra conservatori e innovatori. Ma in realtà c’è ben altro, perché da noi si deve chiarire che cosa significhi propriamente la liturgia nella vita della Chiesa e se essa sia qualificante il vivere medesimo della Chiesa. Non per nulla noi dobbiamo riconoscere il valore “costituzionale” al testo della riforma liturgica varata nel Vaticano II, e come tale essa deve risultare capace di dare forma alla Chiesa stessa e non semplicemente limitarsi ad offrire modalità celebrative, magari più vicine ai gusti moderni o alla sensibilità di una gente, che oggi fatica a comprendere il vero valore della liturgia stessa e della sua funzione “spirituale”, per introdurre l’uomo, il credente, nella vita di Dio a partire dalla comunione con il Cristo, quello storico e quello mistico della storia della Chiesa. Anche la riflessione di Florenskij potrebbe servire a dare anche in occidente il vero senso che deve avere la liturgia nella vita, facendo trovare soprattutto un elemento culturale, che ha il suo forte valore non soltanto all’interno della Chiesa e della sua storia, ma anche all’interno di una civiltà, come quella europea, che sta perdendo le sue radici, o almeno quegli elementi che costituiscono parte integrante del suo percorso storico.

Un’altra peculiarità del rapporto tra ortodossia e Chiesa è il primato del culto e della liturgia in particolare, sulla dottrina e la morale cristiana. turpiloquio, zuffe, ubriachezza sono un peccato minore rispetto a un digiuno violato; un confessore perdona più facilmente un peccato di lussuria che una celebrazione mancata, prender parte alla liturgia avvicina alla salvezza più che la lettura del Vangelo; l’esercizio del culto è più importante della beneficienza. Non per nulla il nostro popolo ha assimilato il cristianesimo non dal Vangelo ma dal prologo (delle vite dei santi), è stato edotto non dai sermoni ma dalle liturgie, non dalla teologia ma dal culto e dalla devozione delle cose sacre. Menti avvezze a concedere il primato alla ragione, all’intelletto e all’analisi si scandalizzano della cosiddetta fede liturgica degli ortodossi; ma il loro scandalo altro non è che un malinteso. Forse che un malato farebbe meglio a studiare medicina invece di prendere un farmaco e curarsi? La religione non è mai figlia della ragione; a infastidire chi non la ammette non è solo la fede liturgica, ma anche la filosofia religiosa; chi la religione la ammette, invece, riconoscerà che essa non è propriamente ragione, né conoscenza, ma relazione concreta con Dio; la religione non è speculazione sulle cose di Dio, ma accoglimento del divino nella sua essenza. Perciò la preghiera – durante la quale Dio scende nel cuore dell’orante – è per chi crede financo superiore alla lettura della Bibbia o alla devozione per le reliquie, dalle quali, come da un vaso ricolmo, si riversa la grazia: è più importante del far propria la saggezza teologica. L’Eucaristia, l’accoglienza del Corpo del Signore nel proprio, è infinitamente più importante di qualunque sermone, di istituti di beneficenza, scuole, ospedali da fondare ecc. L’ortodossia ritiene graditi a Dio non solo gli atti suddetti: le formule di preghiera pronunciate in chiesa, le melodie che vi si cantano, i lumi, i ceri accesi non sono solo parole e gesti, ma cerimoniali, ossia formule e atti che – per quanto somiglino a parole e gesti concreti – se ne distinguono per una forza misteriosa, mistica, sovrannaturale. Esteriormente l’acqua santa non è diversa dalla normale, ma scaccia i demoni, guarisce dal malocchio ed è d’aiuto contro i malanni. Si comprende, così, l’ostinato conservatorismo dell’ortodossia russa, che non consente di modificare una sola lettera, un solo gesto della liturgia. Sono quelle formule ad aver dato la salvezza, e non è dato sapere se le nuove possono fare altrettanto. (…) Il conservatorismo ortodosso, del resto, non è incondizionato. La coscienza ortodossa accoglie volentieri – quando non con gioia – il nuovo, ma solo se in esso scorge il marchio palese del santo. Nuove preghiere di particolare efficacia, nuove icone e, infine, nuovi santi vengono accolti con viva letizia e senza tentennamenti di sorta, se è chiaro che in essi è la grazia. In questo caso il popolo orto-dosso è fin troppo credulo, e credendo facilmente all’inganno scambia spesso per sacro quello che sacro non è  umano. E rimane sempre qualcuno che lo conserva vivo, che lo propone come realisticamente possibile, che ne fa la ragione del proprio vivere. Nel contempo anche a presentarsi raffreddato, il vivere cristiano ha pur sempre dentro di sé l’anelito al vero, al bello, al santo, a ciò che è autenticamente divino e proprio per questo può diventare uno stimolo a ricercare ciò che è effettivamente uno spirito e quindi un vivere, più che non un sistema da ripetere, spesso senz’anima.

Questo cristianesimo “raffreddato” ha, tuttavia, un lato buono. Le forze di un’umanità incapace di rivolgersi direttamente a Dio si sono adoperate nell’ambito della speculazione, della teologia, dell’arte. La luce bianca dell’estasi si è scissa nei raggi multicolori della poesia, della scienza, della teologia, della pittura e dell’architettura cristiane. In quanto sfere dell’operato umano, esse hanno dato vita a correnti distinte, staccate le une dalle altre e tra loro spesso ostili, e hanno generato confessioni diverse: la Chiesa cattolica, la orientale (ortodossa) e – in seguito – la protestante. Povere di opere proprie, tutte queste Chiese (in particolare il cattolicesimo e l’ortodossia) vedono – va da sé – il proprio scopo nella conservazione delle cose sante della propria tradizione. (p. 5-6)

L’ORTODOSSIA E LA RUSSIA

L’analisi condotta da Florenskij circa la religiosità, e l’ortodossia in particolare, mentre coglie lo specifico dell’ortodossia stessa, ne mette in risalto la funzione nella storia russa, soprattutto in quei passaggi decisivi che fanno della Russia una protagonista nella storia.

E l’autore è ben consapevole che in quel momento epocale, che vede la Russia al centro per essere la patria della rivoluzione che dovrà divenir mondiale, egli deve più che mai riflettere sulla missione dell’ortodossia in questa radicale trasformazione che esige anche da parte della Chiesa ortodossa una riflessione seria per accompagnare e sostenere il cammino del credente. È vero che la rivoluzione è comunista e come tale è dominata dall’ateismo, vero demone che proviene dal mondo occidentale; e tuttavia in presenza di questa realtà è necessario che anche la Chiesa si rinnovi pungolata dalla rivoluzione stessa, perché ritrovi la forza e il coraggio di realizzare il suo compito sulla terra. Per quanto composta di peccatori, essa ha pur sem-pre una missione importante per il compimento del Regno …

La forza del vero pastore nello spirito di Cristo … non sta nel rigore e nella salda organizzazione dei suoi uomini, non nel fatto che essi occupino ogni ambito della società, non nell’abbondanza di mezzi materiali, e nemmeno nei sermoni che tanto ripugnano alla saggezza umana; no, dice il santo apostolo, non è per la carne che combattiamo; le armi del nostro esercito non sono di carne, ma hanno la forza in Dio; sono la corazza della giustizia, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, la spada dello spirito, il verbo di Dio e la preghiera”. Le parole citate esprimono con chiarezza sia il disprezzo per le forze umane di lotta, sia il timore di scambiare per divine quelle che sono gesta umane. Ciò non significa che l’ortodossia neghi tutte le opere dell’uomo, ma più d’ogni altra cosa essa teme di confondere il divino col terreno. Siamo agli antipodi del luteranesimo che ritiene compito della Chiesa, o meglio degli uomini, sia gli uffici religiosi che la predicazione e la beneficenza. L’ortodossia non nega la beneficenza; vestire gli ignudi, sfamare gli affamati, visitare i malati sono virtù antiche dei russi, ma hanno senso solo in quanto atti d’amore, di carità, e non quale mutamento del mondo da “valle di lacrime e pianto” in paradiso terrestre. Laddove in Occidente l’attività sociale e la beneficenza religiosa si prefiggono di rendere più normali le condizioni di vita e assumono perciò le forme neutre e meccaniche (ospizi per i poveri, eliminazione della povertà, pensioni di Stato per gli anziani, assistenza), pur provando grande compassione per chi soffre, l’ortodossia non crede nella possibilità di cambiare le cose per tramite di sforzi umani, e dunque la beneficenza in Russia ha carattere personale di aiuto a una determinata persona, senza intermediari e solo per amore nei confronti del singolo uomo, e non perché si creda – con ciò – di cambiare le condizioni di vita dell’umanità. Il mondo dell’uomo è incommensurabile con quello di Dio, poco in questo mondo sarà detto grande nel Regno dei cieli; le vie del Signore sono infinite, l’uomo non è in grado di intendere il senso del processo storico nella sua totalità, e se ne possono trarre due conclusioni: irrazionalismo e ubbidienza. C’è qui, di nuovo, una contrapposizione nettissima con il cattolicesimo e il luteranesimo. Da una parte c’è la fede nella mente umana, la voglia non solo di conoscere ma anche di sottomettere il divino alle leggi della ragione; e non solo nel luteranesimo, la cui essenza è il razionalismo, ma anche nel cattolicesimo. Nell’ortodossia accade il contrario: la fede è nelle cose meno razionali e più assurde, è una fede intesa come rifiuto – autentico rifiuto – della ragione nelle questioni religiose, e perciò come libera, serena ammissione di quei fatti contraddittori e inaccessibili dell’intelletto che fanno fremere un razionalista. (p. 23-24)

Florenskij parte da una visione religiosa che avrebbe voluto conciliare con il “mondo” e far prevalere le ragioni dello Spirito, rispetto a quelle umane. Riconosce che anche nelle diverse confessioni c’è la presenza essenziale dello Spirito. Poi però fa prevalere quell’anima russa, che troviamo nella cultura locale come ciò che qualifica il mondo russo, anche quando la religiosità non è dominante o non è vissuta nella maniera più autentica. E tuttavia, proprio perché egli viene dal mondo russo e poiché vuole salvaguardare questo mondo, che invece sembra essere travolto dagli eventi dominati dal materialismo, Florenskij ribadisce ciò che per lui è assolutamente essenziale e vitale. Al centro va posto quel Cristo, che i tanti demoni di origine occidentale stanno cercando da tempo di rendere irrilevante, non tanto da eliminare. E così ribadisce con maggior lucidità …

quel Cristo che è vissuto con i peccatori e le prostitute è anche tra noi, nel nostro vivere da filistei. Viene da credere che di tutte le confessioni cristiane nessuna senta proprio Cristo come l’ortodossa. Nel protestantesimo Cristo è un’immagine lontana senza nulla di individuale; nel cattolicesimo egli è fuori del mondo e fuori dal cuore dell’uomo. I santi cattolici lo vedono dinanzi a loro, come modello a cui somigliare fino alle stigmate, le ferite dei suoi chiodi, e solamente l’ortodosso – non solo il santo, ma qualsiasi laico devoto – lo sente dentro di sé, nel proprio cuore. (p. 24)

LA CHIESA E LO STATO IN RUSSIA

Prevale, dunque, nel pensiero di Florenskij, il suo attaccamento all’ortodossia. 

Ma egli va ben oltre le sole questioni di ordine religioso e quindi non solo vuol far recuperare il terreno alla Chiesa ortodossa dentro la Russia, ormai devastata dai “demoni” di origine occidentale, decantati nel romanzo di Dostoevskij, ma vuole anche risvegliare l’anima spirituale che si è fatta strada in Russia nel corso dei secoli, dal suo “battesimo”. Anche per Florenskij l’allontanamento della Russia dalla sua anima profonda viene fatta risalire al momento dell’Illuminismo, che in Russia ebbe una sua versione, non certo di stampo liberale, al tempo di Pietro il Grande, prima ancora che si imponesse nella cultura occidentale. Il grande zar che voleva a tutti i costi un forte timbro europeo alla sua Russia, se voleva che essa facesse parte della storia europea e starci in maniera dominante: era quanto mai necessario cambiare radicalmente il sistema e proprio per questo occorreva intaccare la posizione dominante della Chiesa ortodossa, che proprio con Pietro I viene asservita alla Stato, che trovava la sua quintessenza nella figura dello zar, quanto mai imponente e autocrate. Di lì incomincia quel declino della Chiesa, che non appare più determinante per la stessa politica della Russia, come lo era stata fin dalle origini.

I Vecchi Credenti hanno preso le distanze dall’ortodossia proprio all’apice del mutamento culturale della società russa, alla fine del Seicento, cioè durante le innovazioni culturali negli abiti e nella quotidianità in genere che hanno preceduto l’epoca di Pietro il Grande. Immiserendo la quotidianità russa, la riforma di Pietro fu un duro colpo per l’ortodossia e la privò, almeno nelle città e nel ceto colto, della carne: il quotidiano. Gli effetti del secondo colpo che la storia ha inferto all’ortodossia – la rivoluzione – non sono ancora stimabili. Quel che è certo è che la rivoluzione ha sicuramente peggiorato la decadenza e lo sfacelo della quotidianità ortodossa – e dunque anche dell’ortodossia – che da tempo si compie per mano del capitalismo, delle città e delle fabbriche. Per quanto lento sia il moto della storia culturale (e non della politica), l’ortodossia è comunque vicina al limite in cui o si sfalderà del tutto, oppure, mutando, risorgerà. Se diciamo “mutando” è perché l’ortodossia è legata alla vita per tramite del quotidiano; la vita muta e mutando cambia questa quotidianità, trasformando anche l’ortodossia. D’altro canto, l’ortodossia è legata saldamente e intrinsecamente alla storia politica per tramite dell’autarchia. La fede nell’autarchia zarista, il rapporto mistico nei suoi riguardi sono uno degli elementi imprescindibili dell’ortodossia, e dunque i mutamenti nel governo del paese sono stati un nuovo colpo per la fede ortodossa. La terza crepa nell’ortodossia può essere ritenuta la disorganizzazione sempre più evidente della Chiesa, la sua non-canonicità, la violazione dei canoni principali.

Si apre qui una contraddizione clamorosa tra il conservatorismo dell’ortodossia e le effettive deroghe allo stesso, deroghe che volgono verso un crollo del sistema ecclesiastico. Una contraddizione che è già stata rilevata e che è pronta a diventare forza motrice. (p. 26)

Da una parte il suo ragionamento porta a ritenere che l’ortodossia racchiuda l’anima profonda, di cui è imbevuto il popolo russo nella sua storia millenaria; dall’altra però egli è anche convinto che questa tradizione può essere conservata nella misura in cui essa viene meglio vissuta ed esprime non semplicemente l’esecuzione formale dei gesti rituali, ma piuttosto la compenetrazione nel mistero, che non è mai assicurata dalla sola comprensione logica, dal solo sapere dottrinale. Del resto, anche l’asservimento allo Stato della Chiesa ortodossa non è necessariamente la garanzia della sopravvivenza dell’ortodossia stessa e della sua missione spirituale. E però, il processo storico ha creato di fatto questo stretto rapporto con l’autarchia, incarnata nello zarismo. Anche se questo non “risuscita”, l’autarchia appare invece il terreno fertile per la rinascita della Russia, soprattutto nella sua visione “imperiale”. Lo si avverte anche nel modo con cui viene concepita e attuata la politica in questo periodo, in questo passaggio d’epoca, dove ormai si gioca “il tutto per tutto” per riportare la Russia alla sua posizione di preminenza nel concerto delle nazioni. In questa visione che vuol recuperare il processo storico, mai del tutto dimenticato, l’ortodossia ha un compito non indifferente. Da una parte Florenskij ha a cuore la religiosità nel popolo russo e la riconosce come fonte di vita essenziale per quel popolo, e dall’altra, in relazione alla vicenda storica del popolo russo, deve ritenere che la religiosità russa, come di fatto si incarna nell’ortodossia, è talmente essenziale che non può essere strappata via, sia per l’incuria della Chiesa stessa, sia per l’avversione che ne prova il sistema statale introdotto con la rivoluzione. Di qui una difesa ad oltranza della religiosità del popolo russo e quindi dell’ortodossia, che egli studia come fenomeno di carattere culturale da non sradicare affatto, pena lo sradicamento del medesimo popolo russo e della sua successiva irrilevanza nella storia del mondo. Ecco come egli concepisce il legame indissolubile del Cristianesimo con il popolo russo.

i due elementi principali dell’ortodossia in Russia sono: da un lato, la psicologia e la conformazione spirituale e sociale del popolo russo, dall’altro l’ecumenicità che il popolo russo ha ricevuto dai Greci. Gli uomini tendono sempre a costruirsi idoli per sbarazzarsi della fatica di servire l’eterno … Idoli fra i più diversi.

Per gli ortodossi russi l’idolo è sovente il popolo russo stesso e le sue peculiarità, che essi pongono su un piedistallo e che venerano alla pari di un Dio. La fede nella vita quotidiana travalica le esigenze della vita spirituale; per quanto diverse, deviazioni come ritualismo, slavofilia e populismo finiscono per guadagnarsi il posto d’onore, mentre l’ecumenicità resta in secondo piano, quando poi non viene accantonata. Alla base di tutte queste correnti c’è la fede – segreta o manifesta – che, senza uno sforzo dello spirito e in virtù delle proprie peculiarità etniche, il popolo russo sia cristiano per nascita, particolarmente vicino a Cristo e con Cristo in grande confidenza, così che anche Cristo, nonostante tutto, non potrà essere troppo distante dal popolo russo. (p. 46)

LA CHIESA A SERVIZIO DELL’AUTARCHIA O DELL’ECUMENICITA’

Sono già indicate le deviazioni a cui stiamo assistendo oggi non solo in riferimento al popolo russo, perché certe forme di populismo, presenti e magari anche infarcite di componenti religiose, come segni di riconoscimento derivate dalla tradizione per affermare la propria identità come popolo, dà poi origine a forme aberranti, anche per la vera ragione d’essere della religione come spiritualità. Ecco perché Florenskij parla della componente di ecumenicità, che richiama evidentemente l’universalità o “cattolicità”, senza dare a questo termine l’appartenenza alla Chiesa “cattolica” romana. Non dobbiamo mai dimenticare che i termini “ortodosso” o “cattolico”, oggi sono divenuti come richiamo ad una appartenenza di parte, mentre, nella loro origine semantica, esse servono a qualificare la religiosità come universale, come aperta a confini sempre più allargati. Così dovrebbe essere intesa la religiosità, così dovrebbe essere vissuta la fede cristiana, soprattutto se essa appare insita in un popolo, come è quello russo, che secondo Florenskij è cristiano fin dalla nascita. Evidentemente l’episodio storico del battesimo di Vladimir, che è pure il battesimo della Rus’ di Kiev, segna profondamente la Russia, che deve riconoscere di non esserci mai stata e di venire al mondo proprio in questa circostanza. Quindi prima c’è un ammasso di popolazioni divise e senza … anima; mentre poi esse si identificano e diventano un popolo solo.

Il popolo russo ha ricevuto gratuitamente – in straordinaria abbondanza e senza la minima fatica – ciò per cui altri popoli hanno faticato per secoli e che si sono guadagnati con il sangue.

Il popolo russo è cresciuto quale figlio di genitori assai facoltosi, e si è abituato ad avere non solo più di quanto si fosse guadagnato, ma anche più di quanto fosse già suo: sin dalle fasce la sua naturale indolenza è stata soffocata dalla ricca, raffinata superiorità dell’atmosfera che lo circondava. Ci veniva dato prima ancora che facessimo in tempo a desiderare qualcosa; perciò non abbiamo mai imparato a desiderare e non sappiamo farlo. Certo, è un grande privilegio non sbagliare mai e non vedere mai esempi di cattivo gusto. Ma la conseguenza di questo privilegio è stata che il popolo russo non ha mai capito, e continua a non capire che i tesori di cui è circondato sono frutto di fatiche altrui e necessitano di grande cura. Esso è abituato a darli per scontati e, nel migliore dei casi, nella persona dei più ragionevoli, si sforza di salvare quei tesori dai predatori. È assai raro, inoltre, che i rappresentanti del popolo russo comprendano di essere tenuti ad accumularne anch’essi. Il popolo russo ha speso la propria eredità – raramente con parsimonia, molto più spesso sperperandola – pensando sempre che il dono ricevuto alla nascita fosse parte integrante di sé e in quanto tale non potesse esaurirsi. E invece la storia russa è stata un continuo esaurirsi. E la condizione attuale della Russia non è quella di una malattia occasionale o di un’occasionale mancanza di mezzi, ma di un profondo colpo inferto a un patrimonio dilapidato da molte generazioni. Eppure il popolo russo ha fatto fatica ad accorgersi della rovina che incombe su di esso: è talmente abituato a ritenere una sua parte integrante l’ecumenicità ricevuta senza sforzo alcuno, che non si sa distinguere da essa, anzi, con essa si confonde. La rovina della Chiesa, perciò, non è stata ritenuta una catastrofe, ma ha significato piuttosto una lenta sostituzione dei principi ecclesiali con principi etnici, e di questi con altri chiaramente peccaminosi. (p. 47-48)

Si può notare in queste riflessioni quante siano state le aspettative di Florenskij nei confronti del popolo russo, dotato di quella spiritualità, che ha ricevuto nel suo battesimo e che lo ha contraddistinto nel suo processo storico. Ciò che succede un po’ a tutti, e che è successo così anche al popolo russo, è di vivere “dando per scontato” che quanto si possiede come retaggio storico possa durare per sempre. Manca però quella forma di “cultura” che permette di coltivare quanto si è acquisito e che è divenuto patrimonio “nazionale”. Si è invece creato l’esaurimento che ha portato la Russia a vivere di rendita e a trovarsi così sprovvista e sprovveduta.

Florenskij nel saggio del 1923 Cristianesimo e cultura si sofferma su alcune questioni cruciali di smarrimento e disagio della cultura contemporanea, mostrando come l’origine di queste problematiche vada ricercata nella crisi profonda della cultura, qui intesa come capacità di dare un senso unitario alle cose, abbattendo il muro di separazione “tra sé e la Sorgente della vita eterna”.

L’interruzione irreparabile del rapporto tra Dio e la coscienza umana, trasformatosi poi in “rivolta contro Dio”, costituisce una delle forme estreme del disagio vissuto dalla cultura moderno-contem-poranea … (p. XXIX)

Anche Florenskij si immette in quella cerchia di “profeti” contemporanei che denunciano la morte di Dio nella coscienza umana o comunque la sua riduzione a entità astratta che non ha rilevanza alcuna nel vivere umano. C’è chi dice che Dio non c’è, o, se a volte è esistito, ora non c’è più. E c’è chi afferma che anche ad esserci egli appare irrilevante e che dunque l’uomo può vivere “come se Dio non ci fosse”.

E’ solo un insopportabile concetto astratto, un sinonimo di quell’impotenza in virtù della quale viene tollerato. È tempo di smettere di illuderci con gli esempi di devozione di molti grandi uomini di cultura e con le tante loro opere probe, è tempo di prendere piena coscienza della tendenza dominante della nuova cultura! Singole persone e singole loro gesta possono essere splendide, ma nella sua totalità la nuova cultura è il malessere cronico della rivolta contro Dio. E se non lo ammetteremo, non potremo fare nulla per cambiare lo stato delle cose. Il sistema culturale è determinato dalla legge spirituale proclamata da Nostro Signore: “Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”. E il tesoro è il valore spirituale, ciò che noi riconosciamo quale significato oggettivo e giustificazione della nostra vita. Nel linguaggio biblico il cuore è il fulcro di tutte le nostre forze e di tutte le capacità del nostro spirito, il nodo che tiene insieme la persona. E il Salvatore dice che la persona e, di conseguenza, tutte le sue manifestazioni, sono determinate in tutto e per tutto dal nostro tesoro; dunque è la nostra conoscenza è determinata da ciò che noi affermiamo essere la verità, a dispetto della filosofia kantiana – fulcro dell’epoca moderna – secondo la quale non è la verità a determinare la coscienza, ma la coscienza a determinare la verità. Proclamando l’autonomia dell’uomo, le culture dell’Evo moderno hanno posto quale tesoro, quale oggetto di fede non passibile di giudizio, noi stessi. Al posto di Dio è stato eretto un idolo, l’uomo che si autodeifica. (p. 51)

Florenskij richiama alla spiritualità in un mondo che l’ha persa. Richiama alla religiosità come un elemento ineludibile del vivere, perché questo possa essere più umano. E lo è nella misura in cui la religiosità non si riduce alla sola morale e neppure alla devozione, ma mediante il culto ci si introduca al mistero, che ci fa presenti a Dio, perché sia Dio a far divenire l’uomo veramente più umano.