Storia dell’Africa: la fase dei grandi imperi

MALI, GUINEA, NUBIA …

INTRODUZIONE

SISTEMI TRIBALI

E SISTEMI IMPERIALI

Abituati come siamo ad una cartina geografico-politica dell’Africa frazionata in diversi Stati. i cui confini sono stati stesi “a tavolino” dalla spartizione che ne hanno fatto i paesi coloniali europei, non riusciamo a immaginare altre possibilità, rispetto a quella forma di equilibrio che non prevede altre soluzioni per le attuali strutture. Eppure, prima dell’arrivo degli Europei, l’Africa presentava ben altro quadro, con la presenza di imperi, i quali avevano nomi, che oggi ritroviamo in alcuni Stati; questi, anche ad avere oggi istituzioni diverse, si richiamano alle realtà del passato. La storia di questo continente, per quanto privo della documentazione classica, fatta di fonti scritte, ha sviluppato un patrimonio orale, perché, a viva voce, nei secoli si sono tramandati racconti che ci possono apparire non molto diversi da certi racconti di natura mitologica, che pur fanno la loro comparsa nella nostra tradizione. Quando lo storico Tito Livio affronta nella sua opera “Ab urbe condita” quella parte di storia romana, che vede protagonisti i re, stilati dalla tradizione in numero di sette e ciascuno regnante per la media numerica fissa di 35 anni, costui ovviamente si rifà alla tradizione orale, fornendo racconti dal forte sapore mitico e scrivendo ripetutamente che di costoro è possibile raccontare con le formule solite del “si dice, si racconta, si tramanda, ecc.”. Con queste espressioni che introducono i racconti, per nulla documentati e desunti da ciò che gli anziani raccontavano a viva voce, lo storico patavino lascia intendere che lì la storia viene fatta con la tradizione orale. Lo stesso fenomeno è riscontrabile nei racconti delle terre africane: qui prevalgono i miti con personaggi le cui vicende vengono “affabulate”, e quindi, di volta in volta, caricate di elementi che ingigantiscono e creano attorno un atmosfera da racconto leggendario. Ciò che colpisce poi in questi racconti è il fatto che essi, anche a parlare di luoghi ben precisi, non ci offrono solo storie locali, o comunque limitate ad una etnia, ma coinvolgono etnie ed aree geografiche a più ampio raggio, facendo pensare a un mondo effettivamente molto più allargato. Ecco perché si tende a parlare di “imperi”, entro i quali possiamo trovare popolazioni di tribù diverse, le quali si trovano associate in una sorta di confederazione o per una conquista di tipo economico e soprattutto militare.

Spesso poi il collante diventava di natura religiosa, in modo particolare quando soprattutto nella regione sahariana si diffonde la religione musulmana che integra, senza mai del tutto sconfessare quelle forme animistiche, presenti anche in Arabia, quando Maometto cerca di comporre in unità le tribù di beduini sparsi nel deserto, volgendoli a credere in un unico Dio. Non è da meno quello che succede nell’Africa sahariana molto affine alla regione arabica. Mentre le tribù arabiche si muovono oltre la terra d’origine, portando con sé la nuova religione, perché altre popolazioni affini, si convertano, superando la complessità delle dottrine cristiane, che invece conducono allo scontro e alla divisione, le tribù africane non si rivelano con questo spirito di proselitismo, ma nello stesso tempo usano la religione per creare nel convincimento una base comune.

Naturalmente non si parlerà di tutti i regni e gli imperi che si sono succeduti nella storia africana, perché sarebbe un’impresa troppo lunga e complessa, ma solo di alcuni di essi, che si sono susseguiti in tre aree molto importanti e significative, cioè il Sudan Occidentale, l’Etiopia e l’Africa Australe. Si tratta in pratica di poco più che esempi, perché tanti altri sono gli stati di cui si dovrebbe parlare, basti pensare al regno di Kanem Bornu, al Benin, al Dahomey, al Kongo, al regno degli Ashanti, solo per nominarne qualcuno. Si intenderà per “regno” uno stato indipendente, con un monarca riconosciuto da tutti i cittadini, con leggi accettate dalla maggior parte di essi, un’organizzazione amministrativa e giudiziaria, anche decentrata, un esercito, un territorio riconosciuto dagli stati intorno, anche se non sempre erano presenti regolari confini, così come noi li intendiamo oggi. L’unità era garantita, nella maggior parte dei casi, anche da una religione, una lingua e una cultura comuni. In pratica ciò che, parlando degli stati europei, chiamiamo “stato nazionale”, mentre chissà perché, quando si parla dell’Africa Nera al termine “nazione” viene sostituito quello di “etnia”. Per “impero” di intenderà invece un concetto leggermente diverso: uno stato più vasto di un regno, che incorporava più etnie, talvolta erano presenti diverse religioni, e l’organizzazione politico-amministrativa era presente, ma nelle periferie non veniva eccessivamente rispettata, e spesso le comunità più periferiche si limitavano a pagare un tributo annuale all’imperatore. Inoltre, in genere il re sapeva che oltre i territori da lui controllati c’era un altro regno, e un altro re, e si regolava di conseguenza. Invece, l’imperatore non riconosceva nessuna entità statale pari al suo impero. Chi voleva trattare con lui doveva comunque portare dei doni, o prostrarsi, ma il suo primato, magari solo simbolico, doveva essere sempre riconosciuto. L’imperatore aveva sempre un’origine leggendaria e divina. Questo stesso concetto si ritrova nella storia romana e nella storia cinese. (Paderi, p. 7)

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Sulla base di queste sommarie indicazioni, dobbiamo riconoscere che nell’area sahariana, con la presenza di un deserto che si amplia in continuazione, la vita umana appare sempre precaria e perciò anche l’organizzazione in società e in strutture statuali risulta quanto mai difficile ma non impossibile. Gli spazi che vedono la presenza più numerosa di popolazione sono evidentemente quelli percorsi da fiumi, o corsi d’acqua. Nell’area che viene considerata nella storia come “Sudan”, ben oltre il Paese che ancora oggi porta questo nome e che diventa di fatto l’area più meridionale del Sahara, dove ci sono corsi d’acqua, come, ad esempio, il fiume Niger, si concentra la popolazione che ha sfidato l’ambiente ed ha comunque sviluppato una storia notevole, che ha nel centro di Timbuctù, l’espressione migliore di una cultura riconosciuta di grande valore. Nell’area si è sviluppato un impero, quello del Mali, che insieme con quello del Ghana sot-tostante e con quello della Nubia, a sud dell’Egitto, dove oggi si trova il Sudan, costituisce qualcosa di unico non solo per l’Africa. Queste costruzioni che si sono prodotte e conservate per alcuni secoli, prima dell’arrivo degli Europei con la loro colonizzazione, sono esperienze da conoscere, perché anche qui si è prodotta una storia africana, che, in gran parte nell’area sahariana, si è accompagnata alla presenza della cultura araba, la quale viene assorbita in modo particolare nella sua espressione religiosa musulmana.

La storia di questa parte dell’Africa è documentabile, oltre che attraverso testimonianze archeologiche, mediante un ricchissimi patrimonio di fonti scritte in lingua araba che coprono il periodo fra il secolo X e il XVI dell’era volgare e sono opera di viaggiatori e dotti musulmani sovente assai noti … Il processo di formazione dello Stato in queste aree è strettamente connesso allo sviluppo del commercio transahariano (oro dal meridione in cambio di sale, rame, manufatti dal nord) e al controllo acquisito dai gruppi dirigenti locali sui tratti intermedi e terminali delle vie carovaniere provenienti dall’Africa mediterranea. L’archeologia ha evidenziato che forme di organizzazione sociale definibili come di “Stato incipiente” sono già identificabili fra l’800 e il 600 a.C. nell’area di Tichitt, nell’odierna Mauritania. La statualità compare forse nel I secolo d.C. nella regione del Tekrur, sul Senegal (fiume). Ma il Ghana è il primo in ordine cronologico dei regni sudanesi di cui si hanno notizie certe. (Novati – Valsecchi, p. 57)

I regni e gli imperi che si sono sviluppati in questa area dell’Africa hanno avuto un notevole sviluppo, nonostante che la scoperta dell’oro e la sua notevole produzione, a partire dal XVI secolo abbiano suscitato gli appetiti di numerosi Paesi europei, che hanno cercato di aprire punti di approdo, secondo lo schema operativo dei Portoghesi.

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Costoro già nel circumnavigare l’Africa stabilivano porti commerciali di facile accesso e soprattutto di buona recettività. La parte interna invece non veniva mai penetrata: mancavano i mezzi e soprattutto si considerava pericolosa anche per la facilità a contrarre malattie tropicali. La presenza di Europei nel corso dei secoli, prima che l’Africa diventi terra di conquista nel XIX secolo, non impedisce agli Imperi, che si sono sviluppati con la presenza araba, di pro-seguire il proprio cammino.

IL GOLFO DI GUINEA

Mentre dalla Spagna si andava verso ovest alla ricerca dell’India, finendo per “scoprire” l’America, nel tratto di mare sull’Atlantico, dove attracca-vano le navi europee, che, navigando attorno alle coste cercavano di puntare ad est, si affacciano oggi tre Stati che portano il nome di Guinea, e che erano, la prima, colonia portoghese, la seconda, colonia francese, la terza, sotto il Cameroun, colonia spagnola. L’intera fascia costiera oggi si presenta ricca di giacimenti petroliferi; e nel passato offriva lo spettacolo della tratta degli schiavi, insieme con altri prodotti locali e in modo particolare l’oro, che si trovava abbondante nel territorio definito in età coloniale, come “Costa d’Oro”. Oggi ha ripreso il nome di Ghana, uno degli imperi africani che si sono sviluppati in questa area geografica al confine sud del Sahara.

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IL GHANA

Probabilmente per la riserva aurifera che possedeva il Ghana ha solleticato gli appetiti europei. Ma questo Paese esisteva anche prima che si affacciassero gli Europei, e tra gli Imperi africani, che si sono sviluppati in questa area geografica, oggi definita Africa occidentale, godeva già di un certo rispetto e anche di una impostazione che lo rendeva un Paese solido, ma più ancora potente.

Ancora una volta è un Arabo che ci parla per la prima volta del regno del Ghana: si tratta di al-Fazari, uno scrittore dell’ottavo secolo. Ma sono molti i viaggiatori arabi che ci parlano di questo regno. (…) Ne parlano come di un regno particolarmente potente. L’altra fonte principale per lo studio del Ghana è la tradizione orale. Il regno era situato a nord delle due anse divergenti dei fiumi Senegal e Niger. Le popolazioni erano molte, probabilmente c’erano stati anche popoli di origine maghrebina che si erano mescolati con i neri. I gruppi principali erano i Bambarà, i Sanhadja, gli Wolof, i Songhai e i Soninke. L’economia del regno era probabilmente anche agricola, perché le ragioni del Sahel sudanese beneficiava allora di un clima umido che favoriva l’agricoltura e la pastorizia. Ma l’economia era soprattutto commerciale: il regno sfruttava la posizione tra la zona maghrebina e la zona sudanese.

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Una delle principali attività del regno era la raccolta di oro tra le popolazioni situate più a sud e lo scambio dell’oro con il sale del Sahara e con manufatti dell’Africa del nord portati dai Tuareg. (…) L’oro fu alla base della ricchezza dei regni che si succedettero nella regione, ma essi non avevano il controllo delle miniere d’oro di Wangara: la loro fonte di guadagno fu il controllo del commercio transahariano e le tasse che essi facevano pagare ai commercianti per poter passare nelle strade commerciali.

(Paderi, p. 43-44)

Per il solo fatto che qui “si navighi nell’oro”, c’è da supporre, anche senza particolari documenti scritti al riguardo, che tali paesi, per noi identificati con il Ghana e tutti i territori rivieraschi del golfo di Guinea, costituiscono una vera potenza, certamente nell’ambito commerciale. I primi ad approfittare sono i musulmani, soprattutto coloro che provengono dall’attuale Maghreb. E lì poi essi rafforzano anche il traffico più vantaggioso, cioè quello degli schiavi. Ovviamente, già praticato dai mercanti arabi, il fenomeno cresce con la “scoperta” dell’America e soprattutto la scoperta del fabbisogno di mano d’opera per lavori che nessuno faceva e che fornivano materiali a prezzi più bassi sul mercato. Nonostante la proclamazione di principi umanitari, il fenomeno ingigantisce senza scrupolo alcuno, a partire da queste aree geografiche che mettevano in rapporto diretto con la costa atlantica dell’America dove le navi negriere si dirigevano. Indubbiamente questo è un capitolo doloroso della storia africana. Su questo argomento è opportuno far chiarezza. Ma nel contempo è pure necessario scoprire quanto gli Africani di questa regione hanno prodotto per l’Africa nel suo insieme, contribuendo a dare una immagine ben diversa da quella che noi pensiamo di avere di loro, ignorando totalmente questo capitolo, come se essi non avessero contribuito a nulla nel percorso della storia umana. La storia degli imperi è poco conosciuta, anche agli Africani stessi, che pur sviluppano miti come se ne trovano nella nostra civiltà: lì hanno il sopravvento i valori umanistici che ritroviamo qui con figure di notevole spessore e vicende che avvicinano questi Africani a noi, se sono essi pure segnati dall’umanesimo che li qualifica. Anche i loro miti devono essere conosciuti e messi a confronto con i nostri …

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L’IMPERO DEL MALI

Oggi il Mali, che si presenta esteso in due parti a forma triangolare, una verso il nord dentro il cuore del Sahara e abitato da Tuareg, e una, che, dopo la stretta di Moptì, si dilata a sud nella savana, abitata da popolazione di pelle nera, è un Paese lacerato e sull’orlo della dissoluzione. Nel Millennio precedente era invece il cuore di un impero molto più esteso, che comprendeva due fiumi, il Senegal e il corso centrale del Niger, e le popolazioni che vivevano lungo i fiumi. Anche a non avere l’attrattiva della ricchezza rinvenuta in Ghana, cioè l’oro, il Mali custodisce una storia, che di fatto ha le sue radici avvolte nella leggenda con una configurazione che lo fa essere il centro di una cultura di tutto rispetto. La sua storia esce allo scoperto con l’influenza mussulmana, quando in un periodo di siccità, come spesso succede nei Paesi africani e soprattutto nell’area desertica, interviene un “marabutto”, cioè un santone del mondo islamico, a garantire la pioggia come dono dall’alto.

Da molto tempo era ormai in corso un processo di integrazione politica: già nell’XI secolo al-Bakri accenna alla conversione all’islamismo del re del “Mallel”, forse lo stesso Baramanda che Ibn Khaldun cita come il primo a essersi convertito grazie al padre di Abu Bakr (1030)

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Esasperato per il lungo periodo di siccità e l’insuccesso degli olocausti di buoi che rischiavano di privare la regione di tutto il bestiame, questo sovrano finì per rivolgersi a un marabutto lamtuna estremamente devoto, il quale, dopo averne ottenuto la conversione, lo condusse su una collina dove trascorsero la notte a pregare “affinché la volontà di Dio sia fatta”; il re si limitava a ripetere: “Amin”, “Amin” a ogni invocazione del sant’uomo. Era di venerdì: all’alba del giorno successivo una pioggia abbondante cadde su tutta la regione e il sovrano fece distruggere gli idoli animisti. Questa conversione probabilmente attirò verso il sud i commercianti e i letterati arabo-berberi. (Ki-Zerbo, p. 159-160)

Successivamente si registra una lotta epica per il potere, da cui emerge la figura mitica e nel contempo storica di colui che è il personaggio più famoso nella storia del Malì.

SUN DYATA (1217c-1255c)

Fino a metà del XII secolo non ci è dato di conoscere l’evoluzione del regno. (…) Sogolon Konte … questa donna malata diede alla luce un figlio, anch’egli infermo, che si trascinò a quattro gambe fino all’età di sette anni: il suo nome è Sun Dyata o Mari Jata, che significa “il leone del Mali”. (Ki-Zerbo, p. 160)

Inizia così la storia-leggenda di questa figura che dalle sue origini deboli e precarie è destinato a divenire il leader di quella regione, ma soprattutto il mito su cui viene costruito il Malì e la sua storia millenaria. Come succede anche in altri Paesi e in altre civiltà, vengono costruite figure particolari, che anche ad appartenere alla storia, perché effettivamente vissute e di cui si possono avere documenti, appaiono nelle fonti storiche aureolate con la prospettiva di risultare figure di riferimento per un popolo intero con vicende che lo fanno divenire un eroe, un mito che permane anche oltre il suo segmento di vita.

Secondo la tradizione, alla fine, dopo un prolungato periodo dei guerra, i Keita portarono sul trono un re, Sundjata, che rovesciò Sumanguru e procedette alla presa della capitale del Ghana, ponendo così le fondamenta del nuovo impero del Malì. Sundjata, che si ritiene abbia regnato tra il 1230 e il 1255 circa, è un archetipo dei re sudanici di quel periodo. Da un lato è il grande eroe, protagonista delle leggende mandé, e fra l’altro molti dei suoi successi sono attribuiti alla sua padronanza della magia.

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D’altro lato a Sundjata viene anche attribuita un’origine musulmana. In effetti è ragionevole supporre che i Keita, in quanto mercanti si fossero convertiti all’Islam, e comunque l’immediato successore di Sundjata, suo figlio Uli (1255-1270), fu il primo dei molti Mansa (titolo dato ai sovrani, equivalente a imperatore, re) del Malì che gli succedettero a fare il pellegrinaggio alla Mecca.

(Fage, p. 94-95)

Questo personaggio è alla base della fortuna dell’impero del Malì e tutti gli storici dell’Africa lo rivelano come una figura centrale, una sorta di “padre della patria”, che rimane imperituro nella memoria non solo del Malì, assurgendo ad una fisionomia mitica, per quanto egli sia un personaggio di sicura autenticità storica. Il contesto in cui vive è caratterizzato dalla violenza, sia perché sono in corso le guerre destinate ad allargare l’influenza del Malì attorno, sia perché il potere assoluto del sovrano è minato dalla presenza di concubine e di numerosi figli, che fanno vivere la famiglia allargata nel sospetto e nella rivalità dei suoi membri. Emerge colui che appare più debole, anche fisicamente, ma che ha il coraggio di imporsi e di costruire un sistema di governo destinato a durare nel tempo.

Arciere del Mali al tempo di Sun Dyata

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In ogni caso fu proprio questa sua infermità che consentì al figlio di sfuggire al massacro degli altri undici principi che dopo la conquista del Manding Sumanguru fece morire senza pietà. Un giorno però, stanco delle bravate del signore del Soso, come spronato dalle misere condizioni della patria calpestata Sun Dyata decise di alzarsi in piedi e prestarle aiuto: secondo la leggenda egli chiese una sbarra di ferro per alzarsi sulle gambe, ma questa si piegò in due sotto il suo peso fin quasi a spezzarsi, e altre due più robuste fecero la stessa fine. Allora qualcuno esclamò: “Dategli lo scettro di suo padre, in modo che possa rialzarsi appoggiandovisi sopra”. E facendo leva sull’insegna reale Sun Dyata si mise finalmente in piedi. Fu l’inizio di un’augusta storia. (…) Intanto le usurpazioni di Sumanguru continuavano. Il consiglio degli anziani finì per inviare una delegazione a Sun Dyata per chiedergli aiuto, e questi molto prontamente radunò un esercito … , per poi trovarsi nel 1234 a capo di una vasta confederazione di popoli uniti a un giuramento che traduceva una violenta volontà liberatrice; la prova di forza con il monarca del Soso non poteva più tardare, ma questa dapprima si risolse in una serie di sconfitte cocenti. Allora intervenne un episodio di preparazione magica e diplomatica. Magia dell’amore, intanto. La sorella di Sun Dyata … fu offerta in moglie da Bela Faseke a Sua Maestà in segno di fedeltà … La notte delle nozze “egli pose la mano su di lei”, ottenendo però un rifiuto che sarebbe durato finché la sposa non fosse stata edotta di tutti i segreti del suo beneamato; dopo qualche giorno di esitazione, con l’aiuto dell’idromele (poiché il Soso è animista) e malgrado le solenni insistenze della madre, Sumaguru finì per svelare il segreto: poteva essere ucciso soltanto per uno sperone di gallo bianco. (…) Fu in queste circostanze che si svolse la battaglia di Kirina, tra Bamako e Kangaba, sulla riva sinistra del Niger. (…) Nella mischia furiosa che ne seguì fu scoccato lo strale fatale contro Sumanguru, le cui truppe si sbandarono davanti al nemico, ma sul campo di battaglia il cadavere di Kante non fu trovato, probabilmente perché rimosso dai suoi, o forse semplicemente perché era fuggito alla vista di un tale disastro. Di qui la leggenda della magica scomparsa del sovrano: si sarebbe trasformato in turbine.

(Ki-Zerbo, p. 160-162)

Con l’avvento al potere di questa figura destinata ad una fama che travalica i tempi, si fa strada questo impero africano che ha fatto indubbiamente la storia non solo per questo territorio, ma anche per l’Africa che annovera tra i suoi personaggi più importanti Sun Dyata e fra i suoi Paesi più significativi, proprio il Mali, oggi confinato e destinato a non contare affatto.

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Anche ad aver avuto il potere per 25 anni, la struttura messa in piedi sopravvisse a lui, grazie alla forza dell’esercito che gli era fedele, ma grazie anche ad una struttura economica che portò benefici duraturi alla gente locale e soprattutto ad una organizzazione di carattere sociale, che favoriva il sistema tradizionale, e nello stesso tempo la collaborazione tra le diverse etnie. Per questo motivo il Malì era diventato un impero, e poteva essere un esempio di governo anche per altre parti. Di fatto, pur esteso, non andò oltre il medio corso del Niger.

Sun Dyata aveva fissato i diritti e i doveri di ogni etnia associata al regno; furono formati trenta clan, cinque di artigiani, quattro di guerrieri, cinque di marabutti e sedici di uomini liberi chiamati però “gli schiavi della collettività” ton dyon. Erano dei contadini-soldati che in caso di guerra formavano la decima umana di fanti. Le conquiste fecero proliferare rapidamente la categoria degli schiavi, la maggior parte dei quali lavorava come servi della gleba, artigiani o contadini per il sovrano. Essi erano altresì legati all’endogamia e soltanto il re poteva concedere loro l’autorizzazione di contrarre matrimonio al di fuori della casta, affinché i figli nati dall’unione rimanessero servitori del suo dominio. Sun Dyata fu un grand’uomo nel senso più complesso del termine, portatore di un destino collettivo, ma capace di reazioni e debolezze talvolta eccezionali. Un giorno, durante la sua assenza la consorte preferita, Diurundi, venne molestata da un fratello di Su Dyata; questi, come spinto da un richiamo interiore, fermò immediatamente tutto l’esercito. “Ritorniamo – disse – perché sento le grida di dolore di Diurundi”. Questo episodio è l’oggetto di una strofa, tra il satirico e il romantico, cantata dagli stregoni. Forse è proprio in questa grandezza mista a umanità il segreto del ricordo imperituro di Sun Dyata nell’animo degli abitanti del Mali.

(Ki-Zerbo, p. 163-164)

Bisogna riconoscere che anche nella storia da noi genericamente definita africana si fa strada un singolo eroe che assurge a mito, ma soprattutto diventa la fisionomia con la quale ci si può confrontare, se chiamati a fare ciascuno la propria parte in favore della comunità, visto che ancora non esiste un concetto di Stato paragonabile a ciò che possiamo trovare in Europa. Anche qui si deve riconoscere che la storia non è solo un susseguirsi di episodi o di avvenimenti, ma è riconoscibile nella presenza di una figura umana che si può immaginare come una sorta di “salvatore” a cui ci si affida per un cammino positivo.

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MANSA MUSA (1280-1337)

MANSA MUSA I

raffigurato su un Atlante catalano

L’impero messo in piedi dal primo “mansa” (= imperatore) era evidentemente costruito bene e ben organizzato, se riesce a durare oltre quattro secoli; e soprattutto la sua notorietà uscì dai propri confini, divenendo famoso in modo particolare nel mondo arabo e nel contempo anche dentro il mondo europeo. Non sempre i sovrani erano all’altezza del loro compito, ma la costruzione messa in campo e soprattutto l’influenza religiosa di un Islam, per nulla fanatico, riuscirono a conservare l’unità dell’Impero e nello stesso tempo un certo sviluppo, per il quale la riserva aurifera giocava un ruolo decisivo. Il Mali sembrava diventare una specie di Eldorado, anche se forse la sua stessa collocazione geografica nel cuore del deserto impedì una presenza rovinosa dall’esterno. E tuttavia si sapeva delle sue enormi riserve di oro, a partire dal pellegrinaggio di Mansa Musa verso i luoghi santi dell’Islam, dove egli portò ed ostentò le sue ricchezze. Si ha un racconto particolareggiato di questo suo viaggio che ha contribuito a dare fama all’Impero del Mali, anche se il suo protagonista non riuscì mai in quelle terre ad oscurare la fama di Sun Dyata.

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In mezzo deve essere ricordato il nipote di quest’ultimo, vissuto all’inizio del XIV secolo: viene celebrato come l’esploratore delle coste atlantiche dell’Africa, in quel “folle volo”, di cui Dante parla nel suo poema con la figura di Ulisse, fatto scomparire in un viaggio senza ritorno. Analoga-mente avvenne per la spedizione inviata da Abu Bakr II (1310-1312).

Il suo successore, per la tradizione del Malì molto meno noto di Sun Dyata, è per il mondo di allora incontestabilmente l’imperatore più celebre di quello stato: si tratta del mansa Musa o Kanku Musa (Kanku era il nome della madre) che regnò dal 1312 al 1332. Nel 1324 egli effettuò il pellegrinaggio alla Mecca con l’evidente intenzione di imporsi ai sovrani arabi. Accompagnato da migliaia di servitori (60.000 riferisce Tarikù as-Sudan), mansa Musa attraversò il deserto di Walata e il Tuat comparendo al Cairo come un signore dell’Eldo-rado agli occhi stupefatti di tutti. I suoi uomini trasportavano due tonnellate circa di oro in lingotti e in polvere. Al-Omari precisa: “(…) Quest’uomo ha riversato sul Cairo i torrenti della sua generosità. Non vi è stato alcuno, né funzionario di corte né titolare di una carica sultanica qualsiasi, che da lui non abbia ricevuto una somma in oro. Che nobile portamento aveva questo sultano, quale dignità e quale lealtà!”. La dignità di mansa Musa suscitò molta impressione. (…) Musulmano fervente, il mansa rilanciò l’espansione dell’islamismo, un islamismo che peraltro si adattava alle pratiche animiste e alla ricerche magiche raccolte nei paesi arabi dall’imperatore e dalla sua corte; inoltre la maggior parte dei contadini continuava ad essere animista, fatto che il mansa tollerava con la riserva dell’obbedienza e del tributo. A Timbuctu egli fece costruire la grande moschea di Ginger-ber e una residenza o madugu, vasta sala quadrata sormontata da una terrazza coperta a cupola con pareti intonacate a stucco e ornate di arabeschi sfarzosi. Con il suo regno Kanku Musa segnò l’apogeo del Malì. (…) Mansa Musa aveva fatto conoscere il nome del Malì in tutto il mondo arabo … I successori di Kanku Musa dovettero faticare non poco a mantenere tanto a lungo un impero così vasto.

(Ki-Zerbo, p. 165-166)

Anche a risultare legato al mondo islamico, come appare al tempo di questo imperatore, ricchissimo e divenuto famoso presso gli arabi, bisogna riconoscere che l’Impero del Mali appartiene a quel mondo confinante tra i tuaregh e le popolazioni negroidi che stanno attorno al Niger. Di fatto sono loro a imporre un sistema di vita e una cultura che arriva fino a noi e che rappresenta un’espressione molto alta, in grado di offrire una immagine di notevole valore e di grande interesse per la storia dell’Africa, che si continua a ignorare o a non voler valorizzare come merita.

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Quanto si trova ancora a Timbuctu, nel cuore del Mali, nonostante le devastazioni degli integralisti islamici in quest’ultimo decennio, testimonia la profonda cultura e religiosità presente in quest’area geografica, pur sempre autonoma rispetto al mondo arabo.

TIMBUCTU: Moschea di Ginger-ber

Il giudizio storico che si può dare a questo impero è indubbiamente positivo sia perché si è conservato a lungo senza particolari scossoni interni ed esterni, sia perché si è sviluppata una cultura notevole, sia perché la struttura sociale e politica si è rivelata come qualcosa di radicato nel territorio e soprattutto nella gente: essa qui ha conosciuto un cammino di autentico progresso, anche con tutti i limiti che potevano venire da una situazione geografica non facile.

È probabile che uno dei segreti del successo del Mali sia consistito nell’aver messo a punto un sistema politico così elastico, l’unico logico in un grande paese privo di una burocrazia generalizzata.si trattava di una specie di indirect rule sulle province periferiche. A questo occorre aggiungere la tolleranza religiosa, poiché il proselitismo veniva esercitato unicamente mediante l’infiltrazione pacifica dei mercanti mande: nessun sovrano del Mali ha mai promosso una guerra santa. (…)

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Il Mali aveva raggiunto un livello di civiltà in cui la grandezza è abbastanza forte da dominare la violenza e l’ingiustizia. È contro l’abuso di potere che gli stregoni buffoni, come li presenta Ibn Battuta, si piantavano davanti al sovrano, gli ricordavano le benemerenze dei suoi antenati e concludevano: “Fa’ anche tu del bene, che sarà ricordato dopo la tua morte”. Ma le ambizioni personali e forse anche il lento slittamento da occidente a oriente delle rotte commerciali (il traffico era in continuo aumento su quella transcontinentale verso l’Egitto attraverso Agades, il Ghat e il Fezzan), senza contare l’incertezza della regola di successione (che era tanto matrilinea quanto patrilinea), dovevano dare sempre maggiori fortune al regno di Gao.

(Ki-Zerbo, p. 174-175)

LA NUBIA

Per tanti versi questa particolare regione africana non risulta, non compare neppure nelle carte geografiche, come se non esistesse. In generale viene definita una regione “storica”, come se così venisse indicata nel passato, ma poi quel particolare nome si è eclissato e addirittura sembra che non ce ne sia traccia e non si identifichi di fatto oggi con uno Stato. Eppure questo nome ha avuto un certo sviluppo nella storia, indicando quella fascia di terra che divide e unisce sul corso del Nilo chi appartiene ai “camiti” egiziani, di pelle bianca e i “camiti” nilotici di pelle più scura vicini agli eritrei e agli etiopi. Ovviamente chi ci viveva e chi aveva sviluppato ai confini regni o imperi potenti, rivendicava una sua identità, anche se non sempre riusciva a conservare l’indipendenza. Anche oggi questa regione “storica” non esiste ed è occupata nella parte nord dal sud dell’Egitto e nella parte meridionale dal nord del Sudan. Già il nome di questo Stato, da cui si è staccato il Sud Sudan, in gran parte abitato da popolazioni negroidi, non vuole indicare tanto il fatto che si sia a sud dell’Egitto, da cui ha sempre condiviso la storia, ma dal fatto che in questo Paese la popolazione è più di pelle nera. E allora si comprende perché anche il nuovo e ultimo Stato sorto in Africa continui a portare questo nome, rivendicando la sua appartenenza al mondo dei neri. In questa fascia di terra comunque, a cerniera con i due mondi, si è sviluppato un rapporto con il mondo egiziano che ne rivela la dipendenza e nel contempo il desiderio di marcarne la differenza e, se possibile, l’indipendenza: per questo è esistito anche il “regno della Nubia”, che aveva spazio nei periodi di debolezza del regno egiziano.

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Ma ne risultava di fatto dipendente, così come l’Egitto doveva conservare una certa superiorità per avere sotto controllo il corso delle acque del Nilo, da cui dipendeva la sua sopravvivenza. Ovviamente quando arriva Roma, e il territorio egiziano diventa addirittura proprietà personale di Augusto, anche la Nubia entra in quell’orbita, e nei secoli del radicamento del Cristianesimo, pure queste aree geografiche appaiono influenzate dall’ortodossia che fa capo religiosamente ad Alessandria d’Egitto. Anche se qui non si sviluppa propriamente un impero “africano”, di fatto ciò che viene elaborato in quest’area serve a rivelare che anche presso questa gente c’è l’anelito all’autodeterminazione.

LA NUBIA

e le cateratte sul Nilo

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La valle del Nilo, a sud della prima cateratta e in particolare la Nubia, regione storica attualmente compresa fra il meridione dell’Egitto e il Sudan centro settentrionale, è un’area di produzione aurifera e ferrosa e teatro di espansione culturale e politica egiziana sicuramente già venti secoli prima di Cristo. Questa regione fu sede di un incontro fra civiltà della bassa valle del Nilo ed elementi locali che generò la cultura di Kush. Il regno di Kush, con centro nella città di Napata, si affermò a partire dall’XI secolo a.C. acquisendo il controllo sull’alto Egitto e su Tebe. (…) La civiltà cristiano-cuscitica della Nubia in stretto contatto con quella etiopica, sopravvive, nel regno di Dongola, fino al XIV secolo, cedendo progressivamente all’islamizzazione e all’arabizzazione dopo la sconfitta, nel 1315, del re cristiano Kerembes ad opera degli Arabi d’Egitto. Ancora oggi sono presenti in Nubia popolazioni di lingua cuscitica, come i nomadi beja, islamizzati, mentre parte del gruppo di lingua nubiana, i nuba, conserva nelle aree collinari cultura e religione specifiche, resistendo all’islamizzazione e arabizzazione. A meridione, nell’odierno Darfur sudanese, già prima della metà del XII secolo è presente uno Stato, il Daju.

(Novati – Valsecchi, p. 60)

C’è da rilevare in questa area che l’impiantarsi del cristianesimo prima dell’arrivo dell’Islam, ha dato vita a gruppi di natura etnica, linguistica e religiosa, con una fede che spinge a conservare la propria identità: il fatto poi che questi cristiani sono restii ad accettare alcuni concili li rende ancora più chiusi e irriducibili, conservando la fede nestoriana che ancora da qualcuno si professa. Ma al di là delle differenze religiose, va rilevato che in questa area geografica dove si mescolano bianchi e neri, si verifica la convivenza di popolazioni diverse, che si sentono insieme appartenenti a giusto titolo al continente africano.

CONCLUSIONE

Nella polemica mai sopita circa l’appartenenza di questa gente alla “storia” umana, anche se non si registrano documenti scritti, pur in presenza di corpose tradizioni orali, solitamente da noi si ignora questa realtà: soprattutto popolazioni che hanno sviluppato una storia, ricca e vivace, e insieme una struttura politica che li fa essere degni di stare alla pari con altre realtà che noi conosciamo della nostra storia europea. E anche le figure, che si sono succedute alla guida di questi popoli, possono emergere con altri grandi della storia umana, coevi e non. Va pure rilevato che la cultura ha prodotto testi e opere artistiche ed architettoniche, oggi riconosciute come patrimonio dell’umanità, da conservare e da conoscere anche oltre i limiti territoriali, di cui sono espressione.

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Insomma, anche questo mondo merita di uscire allo scoperto e di far parte integrante della storia dell’umanità, perché quanto qui si è prodotto ne costituisce la ricchezza. Affiora purtroppo ancora tanta sufficienza che relega queste popolazioni, i loro leader e le opere messe in campo, su un piano talmente subordinato da impedirne la conoscenza e il riconoscimento del loro valore. Eppure qui si è realizzato qualcosa che potrebbe servire anche a noi. In un mondo che appare in gran parte invivibile o comunque povero di risorse che appaiono assolutamente indispensabili, abbiamo rilevato che la gente sviluppa una convivenza tra etnie diverse e religioni molto differenti, che altrove sono in lotta fra loro. E qui si sviluppano “imperi”, cioè forme di governo e di convivenza che di fatto garantiscono il vivere a tutti e portano il Paese ad un progresso civile ed economico non indifferente. Da noi gli Imperi si reggono su forme autoritarie, sugli eserciti, sulla dominazione ferrea fra popolazione diversa; qui invece lo Stato e la società civile se ne avvantaggiano, rilevando che è necessario riflettere sulle modalità con cui si intendono e si gestiscono le redini del potere. Ovviamente non è tutto oro quel che luccica; e tuttavia, se in Europa nazionalismi e imperialismi sono stati deleteri alla sua crescita e hanno prodotto, soprattutto nel secolo scorso, guerre e distruzioni inimmaginabili in precedenza, qui si sono dimostrati positivi per una gestione migliore dei fenomeni. Non è possibile che il sistema qui attuato possa risultare utile e produttivo altrove, e nello stesso tempo simili esperienze vanno meglio conosciute, perché fanno parte delle ricerche per un vivere più umano. Così si possono riscontrare forme di convivenza e più ancora forme di governo, la cui conoscenza può servire ad un’esistenza migliore. Stupisce anche che un luogo domina-to per secoli da una religione nota e conclamata come rigida e nient’affatto aperta al dialogo, proprio qui si è svelata diversamente, anche perché i lo-cali, pur vivendone i principi essenziali, lasciano spazio anche alle tradi-zioni precedenti la venuta dell’Islam. Tutto questo può evitare gli scontri di natura religiosa che si trasformano poi in guerra civile, con strascichi insuperabili che impediscono la convivenza fra etnie diverse. Se oggi la scena appare dominata dall’estremismo assassino e distruttore, come è avvenuto nel nord del Malì e in particolare a Timbuctù, questo fenomeno è estraneo alla gente locale, per nulla attirata da fenomeni prevaricatori e da violenze ingiustificate. Occorre un sostegno più concreto, anche a partire da una conoscenza meno preconcetta e più rispettosa della millenaria storia che qui si è prodotta e che ha privilegiato il rispetto degli altri.

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È necessario aprire spiragli per il ritorno ad un rapporto più cordiale e costruttivo, che passa dalla conoscenza della loro storia. Indubbiamente la storia africana, quella che si è sviluppata anche senza la presenza dell’europeo e quindi con il contributo della gente locale che si rende responsabile del proprio vivere, è degna di ricerca, di studio, di sviluppi che possono essere utili per tutti, mentre l’omologazione al sistema nostro, ritenuto superiore e imposto dall’esterno, ha già rivelato di essere fallimentare.

BIBLIOGRAFIA

1.

Francesco Paderi

L’ALTRA AFRICA

Regni ed imperi nell’Africa nera precoloniale

Il Cerchio – 2004

2.

Joseph Ki-Zerbo

STORIA DELL’AFRICA NERA

Un continente tra la preistoria e il futuro