INTRODUZIONE
I primi scrittori cristiani avevano come scopo principale della loro produzione la difesa del Cristianesimo stesso dagli attacchi di autori pagani, ma anche dai pregiudizi radicati nella gente, che si mostrava ostile, anche per una certa tendenza dei cristiani stessi a rimanere separati. Perciò le prime produzioni hanno un forte sapore apologetico, come è evidente anche nell’impegno di Tertulliano che, divenuto cristiano, mette a servizio della Chiesa la sua bravura stilistica e la sua abilità argomentativa nel cercare una difesa dignitosa del modo che hanno i cristiani di concepire e di vivere l’esistenza. Ma nella comunità cristiana si fa strada anche un problema di natura morale. L’etica era tendenzialmente vissuta in chiave apologetica, nel senso che i cristiani volevano affermare di essere più che mai alle prese con un vivere, e quindi con un comportamento, che avrebbe dovuto segnalare la loro diversità rispetto agli altri, anche in un contesto dove l’agire morale non era curato e propugnato, se non all’epoca di Augusto e anche in quel periodo con notevoli difficoltà. Se già a livello di uomini di governo la moralità lasciava a desiderare, ancora di più, non solo a Roma e nelle città, l’impegno per un programma di moralizzazione non veniva affatto seguito e sancito con disposizioni di leggi da far rispettare. I problemi di natura morale erano molteplici: la questione della ricchezza spropositata e dell’esibizione del lusso, a cui seguiva la corruzione, metteva in risalto disparità sociali; il ricorso alla violenza, propria di chi, volendo imporsi, si poteva far giustizia da sé, in un contesto di sostanziale impunità, generava meccanismi perversi; le esibizioni nei giochi del circo, facendo ricorso a duelli molto cruenti e selvaggi, eccitavano le peggiori pulsioni. Ovviamente la questione morale più delicata era considerata quella della sessualità e in essa quella della condizione femminile, in presenza di lupanari fiorenti un po’ ovunque e di giochi erotici esibiti, come pure di legami matrimoniali particolarmente leggeri e volubili. In questo ambito sarebbe stata opportuna una legge sul “decoro”, come ai primi tempi dell’Impero, anche se, pure in quel periodo, le cose non avevano preso la piega giusta nonostante la propaganda messa in campo e le condanne degli illeciti che coinvolgevano anche persone di alto rango. La situazione precipita ben presto in presenza di autorità molto deboli o esse stesse corrotte e dedite ad abusi e perversioni. Davanti ad un quadro degradato i cristiani si presentavano con la loro visione che privilegiava la castità, con il rischio di non intendere in maniera positiva le nozze.
Quando la Chiesa non conosce più la persecuzione eretta a sistema, pur in presenza di particolari episodi in cui la violenza riesplode a causa di pregiudizi fra la gente in odio ai cristiani, c’è spazio per una riflessione approfondita. Oltre a segnalare la profonda differenza tra la morale cristiana e quella pagana, che si presentava senza principi affermati e fatti rispettare, si trattano questioni che riguardano anche problematiche di frontiera o situazioni al limite. Tali erano considerati i matrimoni, cosiddetti “misti”, perché vedevano unirsi per amore due soggetti di diversa fede, o situazioni per le quali il partner poteva aderire alla nuova religione e l’altro rimanere estraneo, se non addirittura ostile. Gli argomenti di ordine morale si concentrano sulle questioni legate alla sessualità, ma più ancora riguardanti la vita matrimoniale e tutto ciò che vi attiene anche sui versanti controversi dell’adulterio, della poligamia, di un secondo matrimonio in caso di vedovanza, di disparità di culto … Alcuni aspetti erano già stati affrontati nelle lettere di Paolo, come si può vedere nella prima lettera ai Corinzi, quando i cristiani muovono a lui alcuni quesiti, a cui deve rispondere. Va rilevato che le lettere sono missive per una comunità nella quale l’apostolo vuole intervenire per dire il suo parere autorevole – e lo dice chiaramente, perché quanto sta proponendo è una sua personale convinzione –, mentre non risulta che egli voglia trattare organicamente una questione così spinosa. Del resto non dobbiamo comunque ricavare neppure dai testi neotestamentari una dottrina organica che riguardi le questioni morali concernenti la vita sessuale e la vita matrimoniale. Di solito si risponde ai casi problematici insorgenti, come succede con Paolo che tratta del caso dell’incestuoso (uno che vive con la moglie di suo padre), segnalato nella prima lettera ai Corinzi.
1Corinzi 5,1-5
Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti in modo che venga escluso di mezzo a voi colui che ha compiuto un’azione simile! Ebbene, io, assente con il corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha compiuto tale azione. Nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito insieme alla potenza del Signore nostro Gesù, questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore.
Poi l’apostolo entra nelle questioni che riguardano la sessualità all’interno e fuori del matrimonio: il discorso anche in questo caso non è organico al tema, ma fa riferimento ad una richiesta che gli viene mossa e a cui risponde dando il proprio consiglio, a cui deve pure accostare un preciso comando da parte del Signore.
1 Corinzi 7,1-16
Riguardo a ciò che mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna, ma, a motivo dei casi di immoralità, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la moglie al marito. La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non rifiutatevi l’un l’altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera. Poi tornate insieme, perché Satana non vi tenti mediante la vostra incontinenza. Questo lo dico per condiscendenza, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che bruciare. Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito – e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie. Agli altri dico io, non il Signore: se un fratello ha la moglie non credente e questa acconsente a rimanere con lui, non la ripudi; e una donna che abbia il marito non credente, se questi acconsente a rimanere con lei, non lo ripudi. Il marito non credente, infatti, viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, ora invece sono santi. Ma se il non credente vuole separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a schiavitù: Dio vi ha chiamati a stare in pace! E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?
Non bisogna dimenticare che a Corinto siamo in un “porto di mare” e che dunque le problematiche sull’argomento non si possono dirimere così facilmente, per quanto la dottrina possa essere chiara. Ma le situazioni di vita sono molteplici e continuamente in fieri se ci sono conversioni e defezioni in uno scenario sempre soggetto a cambiamenti. Non è da meno il quadro quando si allarga la visuale a comprendere anche altri luoghi nei quali la moralità lascia alquanto a desiderare: fenomeni complessi sono presenti in una società che fatica a trovare il giusto equilibrio; ma nello stesso tempo anche i cristiani, sia quelli da poco tempo aderenti, sia quelli nati da famiglie che già hanno fatto il salto di qualità, si trovano in presenza di casi complicati dentro i quali non è facile prendere posizione. Paolo interviene con una certa severità per situazioni inconcepibili, mentre non appare così netto nelle valutazioni e nei giudizi su altre situazioni che richiedono un più attento esame. Se la situazione risulta delicata a Corinto, dove è noto che, trattandosi di un porto, si possono trovare persone provenienti da altre aree geografiche e quindi non essere conosciuti nella città, essa non è da meno in altre città dell’impero e anche in terra africana, dove la presenza di uomini di cultura suscita dibattiti e pretende che si arrivi a dirimere le questioni affrontandole in maniera organica. Tertulliano è l’uomo adeguato a svolgere questo compito e lo fa non solo perché richiesto dalle autorità per un intervento che si possa presentare ben concepito e ancor meglio condotto, ma anche perché lui stesso è parte in causa, vivendo il matrimonio sul quale è opportuno che rifletta per comprenderne il valore e per viverlo in modo pieno e autentico.
AD UXOREM = ALLA SPOSA
LIBRO PRIMO
Da S. Girolamo sappiamo che Tertulliano era prete, ma non è possibile stabilire se così sia stato veramente, come pure non si sa a quando debba risalire l’ordinazione presbiterale. È invece noto da Tertulliano stesso che egli è stato sposato, anche se non è possibile stabilire con chi. Ne parla nell’opera scritta per parlare non tanto della sua situazione matrimoniale o della figura di sua moglie, ma per una ipotesi particolare che lo scrittore si pone, volendo dare non semplicemente una sua riflessione da lasciare a lei, ma addirittura una precisa disposizione a cui lei non deve opporre rifiuto. Nel caso che lui arrivi a morire prima della “consorte”, che il testo definisce “conserva”, la donna non deve risposarsi, anche a poterlo fare in linea teorica, perché lo scrittore preferisce che lei gli rimanga legato per sempre e non solo “fino a che morte non separi”.
Ho ritenuto doveroso anticipare già ora quelle disposizioni alle quali tu, mia compagna di servizio, a me carissima nel Signore, cercherai di attenerti dopo la mia dipartita da questo mondo, qualora venga chiamato io prima di te, affinché tu le tenga in considerazione: le raccomando alla tua fedeltà.
Per le faccende del mondo ci diamo infatti molto da fare e pretendiamo che vengano curati i nostri specifici interessi di marito e di moglie, per questo stendiamo regolare testamento; perché allora non dovremmo a maggior ragione provvedere in anticipo al nostro dopo per quanto concerne i beni divini e celesti e allegare in un certo senso in prelegato il ricordo e l’inventario preciso di quei valori che vengono catalogati tra i beni immortali, costituenti l’eredità dei cieli? (…) Ti ingiungo pertanto di rinunciare al matrimonio dopo la tua morte, scegliendo la continenza con tutto l’impegno possibile; a tale titolo non sarà a me che tu recherai qualche vantaggio, gioverai semplicemente a te stessa. Del resto ai cristiani, una volta che se ne sono andati dal mondo, non viene ripromessa alcuna ripresa del matrimonio nel giorno della risurrezione, perché naturalmente essi verranno trasformati in una dimensione angelica, diventando santi come gli angeli. Pertanto non esisteranno più nelle angustie che provengono dalle eccessive preoccupazioni per la carne.
(AU1, I,1-2.4) (p. 235-6)
La cosa è indubbiamente molto stupefacente, e, per quanto se ne sa, non esiste altrove una simile indicazione. Qui il marito, che è poi l’autore del libretto, appare come colui che, essendo il capo, addirittura pretende di obbligare la moglie, anche dopo lo scioglimento di fatto del legame. Del resto questo dura “finché morte non separi”. E perciò se ne deduce che il marito, morendo, non può imporre nulla. Una simile indicazione non risulta presente in nessun testo biblico, se non come suggerimento che il fratello del marito possa prendere in moglie quella del fratello, qualora costui sia morto senza generare figli e quindi con lo scopo di consentire al defunto di poter vedere continuata la propria discendenza. Il caso dei sette fratelli, proposto dai sadducei a Gesù, come è scritto nel vangelo, doveva servire a costoro per affermare che non esiste risurrezione, in quanto non sarebbe possibile nell’aldilà avere un donna che sia contemporaneamente moglie di sette fratelli. E Gesù condivide questa cosa, ma non per affermare che non esiste la vita oltre la morte, ma che in quella realtà non si prende né moglie né marito. Tertulliano si riferisce proprio a questa lettura che fa Gesù del matrimonio oltre la morte, per dire che di là la dimensione angelica, nella quale tutti saremo trasformati, impedisce il matrimonio, che perciò è una realtà temporanea. Si dovrebbe invece pensare che una simile relazione coniugale non prevale su quella che ci fa essere tutti figli di Dio e quindi tutti fratelli, senza le relazioni che nella dimensione terrena noi costruiamo.
Non dovrebbe stupire l’invito a non sposarsi dopo la morte del coniuge, se si pensa che era radicata nella comunità cristiana l’imminenza della fine del mondo, sia per le espressioni usate a questo proposito da Paolo nelle sue lettere, sia perché ogni generazione coltiva una prospettiva apocalittica, per le tante anomalie e aberrazioni che esplodono e che fanno pensare ad un sovvertimento paragonabile a ciò che ci si immagina con la fine, considerata sempre disastrosa, anche a non essere necessariamente in questi termini. Quello che più stupisce in questa affermazione di Tertulliano è il fatto che sia lui a ordinare alla moglie che cosa deve fare, come se la donna, concepita nella sua “sottomissione” all’uomo, debba appunto sottostare a tutto ciò che il maschio dispone. Ma ovviamente la sottomissione della donna ha ben altro significato! È dunque una visione che noi oggi definiremmo “maschilista” e che – va inserito nel contesto storico-culturale – era dominante allora e rivelava sull’argomento come i diversi aspetti della questione sessuale, coniugale, femminile, richiedevano una riflessione più attenta e approfondita, mentre da nessuna parte ci si era addentrati a dare ordine e chiarezza su queste tematiche. Si dovrebbe dire che simili questioni sono ancora “in fieri” perché lo stesso vivere umano è in corso d’opera e, per stare a un ben nota affermazione paolina, “soffre le doglie del parto”, volendo raggiungere una visione più completa ed armonica. D’altra parte lo stesso Tertulliano, che risulta molto razionale, ed anche ragionevole, nei suoi scritti, sui diversi argomenti che tratta spesso si pronuncia con prese di posizione piuttosto forti e rigide, fino ad andare ben oltre e ad approdare ad espressioni e a concetti che la Chiesa definisce ereticali.
LA VISIONE DEL MATRIMONIO
L’avvio dell’opera dice l’intento dello scrittore nel produrre il suo scritto, che evidentemente non sente come una questione solo personale. Poi proseguendo nella sua riflessione deve chiarire qual è la sua visione del matrimonio.
Non respingiamo certamente il rapporto coniugale dell’uomo con la donna, da Dio benedetto come vivaio della razza umana, progettato sia per riempire la terra, sia per allestire il mondo e per questo permesso, tuttavia una volta soltanto. Anche Adamo infatti fu l’unico marito di Eva ed Eva l’unica moglie, l’unica donna, l’unica costola. (AU1, II,1) (p. 236)
Non vorrei certamente premettere tali accenni al regime di libertà, vigente nei tempi antichi (fa riferimento al fatto che tra i patriarchi vigeva la poligamia), e agli interventi repressivi, succedutisi in un secondo tempo, allo scopo di porre la pregiudiziale secondo la quale Cristo sarebbe venuto per rompere la vita matrimoniale e abolire i rapporti coniugali, come se con tale premessa intendessi ormai prescrivere l’abolizione definitiva del matrimonio. Non voglio aver nulla a che vedere con coloro che, tra tante altre loro aberrazioni, hanno dottrine che impongono l’obbligo di separare due coniugi formanti ormai una sola carne; rigettano appunto Colui che, avendo fatto la femmina dal maschio, quei due corpi, strutturati e accumunati dalla stessa materia, li ha di nuovo connessi l’un con l’altro tramite la sua valutazione positiva del matrimonio. Infine non troviamo nessun testo che proibisca le nozze, per il semplice fatto che si tratta ovviamente di una cosa buona. Che cosa tuttavia sia meglio di siffatto bene, lo apprendiamo dall’apostolo, il quale permette senza dubbio di sposarsi a motivo delle insidie delle tentazioni, ma preferisce la continenza perché rimane poco tempo.
(AU1, III,1-2) (p. 237)
Dobbiamo riconoscere che Tertulliano ha una visione positiva del matrimonio: lo ribadisce attribuendo a Dio stesso questa visione. Dovrebbe essere considerato un giudizio più che mai ovvio, sia perché fin dalle origini, fin dal racconto della Creazione emerge questa valutazione, sia perché nel brano paolino della lettera agli Efesini, l’apostolo lo considera un “mistero”, o un “sacramento” davvero grande. Eppure non mancano visioni negative, come se la sessualità dovesse risultare un esercizio peccaminoso e fosse assolutamente necessario astenersi e vivere nella perfetta continenza, come troviamo stabilito in posizioni che devono essere considerate eretiche. Lo stesso Tertulliano conosce nel corso della vita una impostazione che non è coerente con ciò che qui afferma, segno evidente di una evoluzione dentro espressioni di fanatismo, assolutamente inaccettabili. Per il momento, in relazione a questa opera, noi dobbiamo considerarlo ancora allineato con le posizioni diffuse tra i cristiani, dove tuttavia il linguaggio rivela ancora una certa ambiguità, se addirittura si parla di un matrimonio consentito per tenere a freno la libidine, per incanalare una sessualità, che, scatenata, non è più in linea con la sua funzione. Questa viene segnalata nella linea della procreazione, come se questa dovesse essere la priorità da garantire all’esercizio della sessualità, mentre nelle recenti posizioni del Magistero si dice con chiarezza che la priorità va data alla comunione dei coniugi, dentro la quale ha senso che si possa anche verificare la procreazione di figli. Tendenzialmente si è diffusa la linea nella Chiesa che, nel caso di una gravidanza, la sessualità stessa raggiunge il suo fine primario; se ciò non succede, come si diceva spesso nel passato e ancora in parte si sostiene, l’esercizio sessuale entra in una sfera che va considerata a rischio, se non addirittura peccaminosa.
Tertulliano considera invece il matrimonio in maniera positiva e nello stesso tempo alla moglie, che lui vuol consigliare nel caso rimanga vedova, ribadisce che è meglio non sposarsi affatto e glielo dice in modo molto esplicito.
Convinciti innanzi tutto, te ne prego, che tu non hai bisogno di nulla, se stai al servizio del Signore, che anzi hai tutto, se hai il Signore, al quale tutto appartiene. Medita sui beni del cielo, potrai così disprezzare quelli della terra. Per chi ha scelto di rimanere vedova, prendendo formale impegno da-vanti a Dio, non vi è alcun’altra necessità se non quella di perseverare.
(AU1, IV,8) (p. 240-1)
IL TEMA DELLA PROCREAZIONE
Proseguendo in questa linea, quella che noi dovremmo considerare come lo scopo fondamentale del matrimonio, e cioè la procreazione e conseguentemente l’educazione della prole, viene trattata dall’autore addirittura con un certo fastidio, che rivela una personalità disturbata, anche quando appare più che logico e coerente con i suoi ragionamenti. Se si giunge ad una simile conclusione, c’è forse da supporre che egli abbia avuto qualche esperienza amara a livello personale, magari nella sua stessa infanzia, o nel corso della vita adulta, quando intervengono situazioni che vive e considera con un certo fastidio. Le considerazioni che lui fa alla moglie, perché non tenti di procurarsi la prole nel caso della sua morte, tradiscono uno stato d’animo disturbato …
Per trovare giustificazioni al loro matrimonio gli uomini si ammucchiano in verità una caterva di motivi, desunti dalla preoccupazione di farsi una discendenza e dall’amarissimo piacere di avere dei figli. Per noi tutto questo non ha alcuna importanza. Perché mai, infatti, dovremmo avere tanta fregola di mettere al mondo dei figli, se, una volta che li abbiamo, desideriamo vederli precederci nell’aldilà, consapevoli naturalmente delle difficoltà che ci sovrastano minacciose, anzi bramosi essi stessi di essere tirati fuori da questo mondo pieno di iniquità e di venire accolti presso il Signore, cosa che anche l’apostolo ebbe tra i suoi desideri.
Eh, sì, un servo di Dio ha proprio bisogno di tirar su prole! Siamo ormai così sicuri della nostra salvezza, da aver tempo per badare ai figli! Dobbiamo andarci a cercare incomodi, che persino un buon numero di pagani scansa, che ci tocca poi curare facendo ricorso alle leggi e che vengono eliminati con interventi omicidi.
Per noi si tratta appunto di situazioni importune al massimo grado, in misura del pericolo che rappresentano per la fede … Per tanto che ci si sposi a motivo della carne o del mondo o della discendenza, nessuna di tali presunte necessità si addice ai servi di Dio. Quasi non mi fosse sufficiente aver ceduto anche una sola volta a qualcuna di esse e aver scontato in un unico matrimonio ogni concupiscenza di tal genere. E invece no, sposiamoci pure tutti i giorni; facciamoci sorprendere da quel terribile giorno tutti intenti a sposarci, come Sodoma e Gomorra!
(AU1, V,1-3) (p. 241-2)
Qui fa riferimento al vangelo dove si dice che a quei tempi, cioè quelli di Sodoma, prima della distruzione per il fuoco piovuto dal cielo, si viveva in modo spensierato “prendendo moglie e marito” e intanto si preparava il peggio, senza che ci fosse quel tipo di vigilanza, per evitare una fine disastrosa. Così si fa strada l’idea che lo sposarsi sia una occupazione che distoglie il credente dalla sua vera finalità, che è il vivere per il Regno. Rientra allora il convincimento che vivere senza sposarsi, come succede per le vergini consacrate e per gli “eunuchi” consacrati nella vita religiosa, è sempre meglio del matrimonio, perché così ci si prepara e si è pronti al momento finale della venuta di Cristo.
NO A SECONDE NOZZE E VITA CASTA
L’autore si avvia alla conclusione ribadendo con chiarezza la sua richiesta alla moglie, a cui indirizza la sua opera. Pur considerando il matrimonio un fatto positivo, pur ritenendolo un dono del cielo, esso va considerato come una realtà terrestre che a partire dalla morte die due e anche di uno solo dei due, non ha più senso conservare, perché ci si apre la realtà ultraterrena del Regno, dove non si prende moglie né marito e perciò non ha più senso il matrimonio stesso. Di qui la preferenza per una vita casta.
A noi il Signore, Dio di salvezza, ha rivelato il valore della castità come strumento per raggiungere l’eternità, come testimonianza della fede, come rivalutazione di questa nostra carne che dovrà presentarsi per essere rivestita di nuova veste incorruttibile, come accettazione in ultimo della volontà di Dio. Oltre a ciò ti esorto a riflettere che nessuno infatti è portato via da questo mondo se non per volontà di Dio, dal momento che senza la volontà di Dio non cade foglia che Dio non voglia.
Colui che ci fa entrare nel mondo è per forza lo stesso che ci fa uscire.
Pertanto, se il marito per volontà di Dio muore, anche il matrimonio termina per volontà di Dio. Perché allora tu dovresti ricominciarlo, se Dio l’ha fatto finire? Perché disdegni la libertà che ti è offerta, sottomettendoti una seconda volta alla schiavitù del matrimonio?
(AU1, VII,1-2) (p. 243-4)
Ancora un clamoroso segno di contraddizione di quest’uomo, portato da un rigore logico nelle sue argomentazioni a scelte, che non impediscono comunque di far emergere una certa incoerenza con i principi di fondo. Affiora così che un simile materiale non è poi così chiaro e radicato, non risulta essere né esprimere una posizione che sia coerente dall’inizio alla fine. L’autore appare di fatto navigare a vista circa i tempi che riguardano il matrimonio, per cui questa stessa realtà, definita un valore positivo, sembra diventare un legame pesante, un vincolo stringente, da cui è meglio restare liberi. Se si afferma una cosa del genere, allora non si può dire che essa è una realtà positiva, o, come dice la Scrittura, “una cosa molto buona”. Su queste basi oscillanti emerge una dottrina e una prassi sempre al limite con le contraddizioni che ancora, per certi versi, si fatica ridefinire e a chiarire. Insomma, l’autore preferisce l’esaltazione, per la donna, del suo stato verginale, se ha fatto una simile scelta, e lo stato vedovile, se una simile condizione è calata come una necessità da subire …
La vergine potrà anche essere considerata più beata, la vedova comunque deve impegnarsi di più; la prima, perché è sempre stata in possesso del suo bene, la seconda invece, perché se l’è trovato di sua iniziativa. Nella verginità è coronato il dono della grazia, nella vedova la virtù. Alcune cose infatti sono frutto della liberalità divina, altre invece del nostro lavoro personale. Ciò che il Signore accorda, è retto dalla sua grazia; ciò che l’uomo riesce ad afferrare, è con il suo impegno che lo porta a termine. Per ottenere la virtù della continenza impegnati pertanto nella modestia, che si prende cura del pudore, nella diligenza, che non fa diventare girondolone, nella sobrietà, che di-sprezza il mondo.
Cerca assiduamente amicizie e conversazioni che siano degne di Dio, ricordandoti di quella frase, che è stata santificata tramite l’apostolo: Cattive relazioni rovinano buone abitudini (1Corinzi 15,33). Frequentare la compagnia di donne chiacchierone, fannullone, ubriacone e indiscrete è quanto ci possa essere di più contrario all’intenzione di vivere da vera vedova.
Con le loro chiacchiere ammucchiano discorsi contrari al pudore, con la loro oziosaggine distolgono dall’austerità, con il vizio del bere insinuano ogni tipo di malignità e con la loro indiscrezione fanno a gara a chi attizza di più le voglie del sesso.
Nessuna donna di questa risma sa apprezzare nei suoi discorsi lo sposarsi una sola volta. Come dice l’apostolo: Il loro Dio infatti è la pancia (Filippesi 3,19), compreso ciò che sta nei pressi della pancia. Ecco ciò che già ora ti affido, mia carissima compagna di servizio; si tratta di raccomandazioni che ho cercato di approfondire, ampliando senza dubbio quelle già fatte dall’apostolo; ti saranno tuttavia anche di conforto, perché, se capiterà di dovermene andare, in esse potrai sempre trovare il ricordo di me.
(AU1, VIII, 3-5) (p. 245-6)
AD UXOREM = ALLA SPOSA
LIBRO SECONDO
Evidentemente il discorso sviluppato nel primo libro non esaurisce tutte le questioni che riguardano il matrimonio, ma soprattutto ciò che deve vivere la donna, in questo caso la moglie, in conformità all’impostazione che ci si immagina pensata per il matrimonio cristiano. Non va trascurato il fatto che, proprio perché lo scritto è rivolto alla donna, proprio lei deve verificarsi su questi argomenti. Ancora una volta emerge l’impostazione maschilista, che si deve attribuire all’autore, preoccupato che il vivere della sua donna sia condotto secondo gli schemi di una dottrina ancora da sviluppare e da chiarire. Tertulliano, da una parte sembra avere una visione più che mai organica su alcuni argomenti e usa modi di dire che esprimono la sua chiarezza d’impostazione accompagnata anche da uno scrivere stringente e a volte anche pungente, come è nel suo stile; dall’altra però non tutto gli è così chiaro come pretende di dire.
Rivolgiamoci ora ad una seconda serie di suggerimenti, tenendo sì conto della debolezza umana, mentre purtroppo è assai istruttivo l’esempio di certe donne, le quali, offertasi l’occasione di vivere nella castità o per il divorzio o per la dipartita del marito, non solo hanno buttato via l’opportunità di un così grande bene ma, neppure risposandosi, hanno voluto tener conto della disciplina che esige soprattutto di sposarsi nel Signore (1Corinzi 7,39).
E così ho l’animo confuso; temo che, dopo averti appena esortata a perseverare nella condizione di vedova e a limitarti a un solo marito, parlandoti ora di un possibile nuovo matrimonio, non sia proprio io a porti su un pendio che ti faccia cadere da scelte più elevate. (AU2, I, 1,1-2) (p. 277-8)
Ciò che preoccupa lo scrittore a questo proposito è che l’apostolo Paolo parla per il caso di seconde nozze, in relazione al fatto che è stato abbandonato il coniuge pagano o al fatto che il coniuge sia morto, che esse avvengano “esclusivamente nel Signore”. E questa perentoria affermazione lascia intendere che l’apostolo non sta dando un suo consiglio, ma ad-dirittura una ingiunzione a cui non è possibile venir meno. L’autore fa riferimento a casi che ha sott’occhio, che rientrano nella cronaca di quegli stessi giorni in cui scrive e a cui vorrebbe dare una risposta precisa.
Esclusivamente: con qualsiasi tono e in qualunque maniera pronuncerai tale parola, si tratta di qualcosa di oneroso. Essa impone, suggerisce, ordina, esorta, richiede e minaccia. È una sentenza rigorosa e decisa, eloquente per la sua stessa concisione. (AU2, II,5) (p. 280)
Questa “esclusività” viene intesa da Tertulliano come la pretesa che il matrimonio avvenga solo con un credente e non a partire da chi è fuori della comunità cristiana. C’è da chiedersi se effettivamente quanto intende l’apostolo sia davvero in una simile direzione. Che il matrimonio sia celebrato e vissuto nel Signore, non significa che i due coniugi debbano avere la medesima condizione di credenti. Si dovrebbe pensare che il matrimonio non derivi dalla comunione di fede, quanto piuttosto dalla comunione di amore. L’amore, poi, non è il solo sentimento umano, ma certamente quello del Signore, che è possibile vivere dalla creatura umana, in modo consapevole, come si presume che sia nel credente, o anche in modo inconsapevole, come dovrebbe essere per chi non ha il battesimo e non vive nella fede cristiana. Dovremmo allora pensare che Paolo, in un contesto storico e sociale come il suo, quando i cristiani si presentavano come un minoranza, volesse indubbiamente il sacramento del matrimonio vissuto nel Signore, anche in modo esclusivo, purché fosse chiaro ai coniugi che essi avrebbero cercato di esprimere nella loro relazione coniugale l’amore stesso del Signore, quello che Dio esprime nel dono di sé, unico e fedele, totale e fecondo. E questo è possibile a tutti. Ma Tertulliano aggiunge con grande maestria che il contesto del suo tempo non è affatto quello tollerante nel quale è dunque possibile vivere l’amore stesso del Signore e parlarne come di un impegno possibile per i due coniugi, anche se di diverso orientamento religioso. In un clima di sostanziale intolleranza si devono evitare quelle situazioni che impediscono di vivere serenamente “nel Signore”.
Perciò sarebbe opportuno – ma qui per lo scrittore è una sorta di obbligo – evitare una relazione sponsale “mista”. Le argomentazioni addotte a questo riguardo diventano sempre più forti nella linea di scoraggiare simili casi, tenuto conto che alcuni anche a dirsi tolleranti, poi nelle situazioni complesse, per non avere guai in società diventano progressivamente duri rendendo invivibile la convivenza. Anzi, qui la descrizione delle possibili conseguenze assume connotazioni sempre più negative, come se questi casi fossero predominanti e addirittura drammatici …
La serva di Dio va così a dimorare in una casa, ove convive con Divinità tutelari, con le quali non dovrebbe avere nulla a che fare; in mezzo ai Lari ad ogni festa in onore dei demoni, ad ogni ricorrenza celebrativa degli Imperatori, all’inizio dell’anno, il primo giorno del mese, sarà incalzata dal fumo dell’incenso. E uscirà di casa passando per la porta, che viene inghirlandata di alloro e illuminata di lucerne, come se si trattasse di un bordello appena inaugurato per le pubbliche libidini; andrà poi a prender posto con il marito spesso ai banchetti di corporazione e spesso nelle bettole. E qualche volta le capiterà pure di servire gli iniqui, lei che un tempo era avvezza a servire i santi. Non dovrà forse riconoscere in questa situazione la sentenza anticipata della sua futura condanna, essendosi messa a fare la sguattera di coloro che invece avrebbe dovuto un giorno giudicare (1Corinzi 6,2)? Dalla mano di chi bramerà farsi porgere da mangiare? Chi le porgerà la coppa per farla bere assieme? Che cosa le canterà proprio suo marito o che cosa canterà lei stessa a lui? Ne sentirà, e come ne sentirà, di motivi da teatro, da osteria e da geenna. Non si pronuncerà certo il nome di Dio! E neppure si invocherà Cristo! Dove saranno quelle citazioni estemporanee delle Scritture che alimentano la fede? Dove la preghiera che rinfranca e rinfresca l’anima? Dove le benedizioni di Dio? Nella sua nuova vita tutto è estraneo, tutto è ostile, tutto è riprovevole, perché tutto è ispirato dal Maligno per rovinare la salvezza.
(AU2, VI,1-2) (p. 284-5)
Sulla base di queste considerazioni e di una simile visione delle nozze con un pagano, l’autore non può non concludere con l’invito a sposarsi tra cristiani e quindi ad evitare queste condizioni.
Come riusciremo mai a descrivere la beatitudine di quel matrimonio, che è combinato dalla chiesa, confermato dall’offerta eucaristica e sigillato dalla preghiera di benedizione! Gli angeli lo notificano e il Padre lo ratifica.
Neppure sulla terra infatti i figli possono sposarsi a giusto titolo senza il consenso dei loro padri.
Quale coppia sarà mai quella di due cristiani, aggiogati da una sola speranza, da un solo desiderio, da una sola disciplina e dalla medesima condizione di servi! Tutti e due fratelli, tutti e due compagni di servizio. Nulla li separa né nello spirito né nella carne, anzi sono veramente due in una sola carne (1Corinzi 6,16). Dove vi è una sola carne, vi è anche un solo spirito; insieme pregano, insieme si prostrano a terra, insieme compiono i loro digiuni; si istruiscono l’un l’altro e si incoraggiano l’un l’altro.
Insieme li trovi tutti e due nella chiesa di Dio, insieme al banchetto di Dio, insieme nelle ristrettezze, nelle persecuzioni, nei momenti di sollievo. Uno non ha nulla da nascondere all’altro, uno non deve sottrarsi all’altro, uno non è motivo di fastidio per l’altro. Con tutta libertà si va a trovare un infermo e si porta aiuto a un bisognoso. Le elemosine le fanno senza angosciarsi, al sacrificio si recano senza inquietudine, i loro impegni quotidiani li espletano senza ostacoli. I segni di croce non devono farli di nascosto, le feste le celebrano senza panico e le preghiere di benedizione non devono dirle in silenzio. A voce alta riecheggiano, tra loro due, salmi e inni (Colossesi 3,16), anzi si sfidano reciprocamente a chi canta meglio al loro Signore. Vedendo e ascoltando tali cose Cristo gioisce. Manda loro la sua pace. Dove ve ne sono due (Matteo 18,20), là c’è anche lui e dove egli è presente, non c’è il Maligno.
Sono queste le cose che la summenzionata parola dell’apostolo, sia pure nella sua concisione (1Corinzi 7,39), ha lasciato alla nostra comprensione. Richiàmatele alla mente, se ce ne sarà bisogno, e fondandoti su di esse non seguire l’esempio di certe donne. Non è consentito ai cristiani contrarre in altro modo il loro matrimonio e, quand’anche lo fosse, non gioverebbe affatto (1Corinzi 6,12).
(AU2, VIII,6-9) (p. 288-9)
Non si deve comunque pensare che queste siano ingiunzioni vincolanti, anche se le parole e il tono usati vanno in quella direzione. Se effettivamente una simile maniera di proporsi diventa coercitiva, si dovrebbe pensare che venga a mancare quella situazione di libertà che i singoli coniugi devono avere nella decisione di contrarre matrimonio. Tertulliano ha il merito di porre un problema che nel suo tempo creava non poche difficoltà, e, al di là delle sue visioni, a volte e per certi aspetti discutibili, ha indicato alcune linee su cui riflettere, pur dando l’impressione di voler imporre le sue soluzioni, dettate da un carattere piuttosto forte e suscettibile …
DE EXHORTATIONE CASTITATIS
ESORTAZIONE ALLA CASTITA’
Quest’opera risale al periodo in cui lo scrittore è già ormai addentro al movimento montanista, e perciò qui lo sentiamo ancora più irrigidito in certi schemi non ortodossi, e divenire più intransigente e fanatico, ben oltre le posizioni già abbastanza severe del libro scritto per la moglie. Anche in questo caso egli, scrivendo ad un amico rimasto vedovo, lo esorta – e si potrebbe dire lo obbliga – a non contrarre un altro matrimonio, ma a vivere nella continenza e quindi a conservare la castità, che ora sembra diventare ai suoi occhi la condizione migliore, quella che per-mette di vivere in unione “diretta” con Dio stesso. Queste sue idee provenivano da Montano (II secolo), fondatore di una setta, che ha come suo rappresentante più alto e più noto proprio Tertulliano. Montano si presentava come un profeta, ispirato direttamente dallo Spirito, in contrapposizione al clero ufficiale, predicando una vita cristiana austera, dove si esaltava la castità e in progressione la necessità di lasciare persino il matrimonio. È ciò che compare nelle opere di Tertulliano, quando costui si lascia attrarre dalle idee montaniste e le fa sue, fino a posizioni sempre più radicali. Nella sua visione estrema, egli sostiene che, se noi dobbiamo raggiungere la perfezione di Dio, secondo ciò che è scritto nel vangelo, dobbiamo arrivare alla perfetta castità, la sola condizione che ci fa essere alla stregua di Dio. Eppure fin dalle origini si dice che l’uomo è creato ad immagine di Dio nella sua composizione duale di maschio e femmina, dove si dice che Dio vide una cosa “molto buona”. Non è facile seguire lo sviluppo del pensiero di Tertulliano, il quale ha comunque chiaro l’o-biettivo da raggiungere, che è la totale astinenza dall’esercizio della sessualità, perché solo così si vive secondo Dio. Partecipe di un gruppo settario, come quello montanista, che si caratterizza per essere composto da profeti che parlano nello Spirito e vivono secondo lo Spirito, Tertulliano deve invitare, con l’amico, a cui scrive, i suoi lettori perché privilegino la vita secondo lo Spirito, che ovviamente è in antitesi con una esistenza segnata dalla carne e dalle passioni che ne conseguono.
Rinunziamo alle realtà carnali per poter produrre una buona volta frutti spirituali! … Tramite l’astensione sessuale infatti potrai acquistare un grande patrimonio, la santità; facendo economia sull’attività della carne ti guadagnerai lo Spirito.
La preghiera emana dalla coscienza; nel caso la coscienza provasse vergogna, arrossirebbe anche la preghiera. Lo Spirito prende con sé la preghiera e la conduce presso Dio; nel caso lo Spirito da parte sua si sentisse responsabile di una coscienza che prova vergogna, come potrà osare di condurre con sé la preghiera, prendendola da qualcosa che gli è estraneo e che, quando prova vergogna, fa addirittura arrossire proprio questo santo ministro?
Vi è infatti la voce profetica dell’Antico Testamento che dice: Sarete santi, per-ché Dio è santo (Levitico 19,2) … Dobbiamo infatti intraprendere la strada delle norme etiche insegnateci dal Signore, così come convenienza nei suoi riguardi esige, non certo assecondando le sudicie brame della carne.
Ecco perché l’apostolo asserisce che assecondare i sentimenti della carne è morte, mentre invece assecondare gli impulsi dello Spirito è vita eterna in Cristo Gesù, Signore nostro.
(EC, X,1.3-5) (p. 340-1)
La conclusione del libretto che arriva di fatto a sostenere l’assoluta necessità di vivere castamente, dovrebbe far credere che dunque il matrimonio sia da evitare. Di per sé Tertulliano sta scrivendo ad un amico che è rimasto vedovo e che dunque ha già sperimentato la vita matrimoniale con ciò che essa comporta e dunque anche l’esercizio della sessualità. Lo esorta, e di fatto lo obbliga, a non risposarsi, analogamente a quello che aveva detto di fare alla moglie nel caso della sua vedovanza. Ma alla fine Tertulliano si trova a sostenere che non ci si dovrebbe sposare, perché l’unico vincolo che il cristiano deve costruire è quello con Dio, per cui la vita verginale o di castità ha come suo obiettivo l’unione sponsale con Dio, possibile solo se ci si astiene dalle nozze e da ciò che esse comportano.
Quanti uomini … e quante donne vengono ufficialmente annessi alle classi dirigenti e più rappresentative della chiesa, perché praticano l’astinenza sessuale, perché hanno preferito sposarsi con Dio, perché hanno ridato alla loro carne il prestigio originario, essendosi appunto già consacrati a vivere come figli dell’era futura, facendo morire in se stessi le brame della libidine e tutto quello che non poté trovare posto dentro il paradiso. Di conseguenza si deve presupporre che quanti vorranno essere accolti dentro il paradiso debbono una buona volta smettere di avere rapporti sessuali, da cui il paradiso rimase illeso.
(EC XIII,4) (p. 345-6)
CONCLUSIONE
Sulla base di questa sommaria presentazione, dovremmo pensare che nella evoluzione del pensiero Tertulliano giunge davvero a convinzioni rigide ed estreme, pur essendo partito da una visione quanto meno corrispondente a quella derivata dai testi apostolici, quelli dei vangeli, ma soprattutto quelli delle lettere. Questi scritti non avevano fornito una trattazione organica e tuttavia sulle cose essenziali rivelavano una visione positiva del matrimonio stesso, compresa anche l’attività sessuale. Vanno comunque ricordate anche le particolari inclinazioni che ciascun autore poteva avere in proposito: Paolo, non sposato, appare propenso a valorizzare la verginità e il celibato, senza per questo negare il grande valore e significato che il matrimonio ha, essendo da lui stesso definito un grande “sacramento”, come viene tradotto in latino il suo termine greco “mistero”. E’ più chiaramente orientato verso il matrimonio, Pietro nella sua lettera, che non fa cenno alcuno alla condizione celibataria, essendo lui notoriamente un uomo sposato. Il richiamo predominante circa l’ultima ora, la venuta, considerata prossima, del Figlio dell’uomo, e quindi la prospettiva di essere alla fine dei tempi, faceva propendere per la scelta di ciò che ci si immaginava, e ci si immagina ancora, che il Regno dei cieli sia la situazione in cui non si prende né moglie né marito, ma si è come gli angeli del cielo, o, meglio ancora, si ritiene che la sola, unica relazione che in quella dimensione si vive è la figliolanza con Dio, e questa ci rende tutti fratelli. Sulla base di questo le diverse relazioni che sono vissute nella condizione terrena sono tutte orientate al principale rapporto che tutti dobbiamo qui coltivare e di là vivere pienamente e cioè la figliolanza con Dio Padre. Sulla base di queste considerazioni che facevano pensare imminente la fine, o, meglio, il raggiungimento del fine, il matrimonio appariva sempre più una realtà contingente, e, come tale vissuto. Più ancora le nozze veniva presentate e vissute come una condizione di vita che risultava inferiore rispetto alla scelta di vita verginale. Questa visione del matrimonio messo a confronto con la vita celibataria si è radicata, e continua, per tanti versi, a conservarsi, con il rischio di svilire o di non dare il giusto valore alla condizione sponsale, che pure viene segnata fortemente dalla sacramentalità, anche se non totalmente valorizzata come meriterebbe. Anche ad essere legato alle idee e alle considerazioni che si facevano in quel periodo, Tertulliano pone comunque in essere una riflessione che mette al centro una questione mai sufficientemente elaborata e chiarita.
Lo fa con una visione che, già nel periodo della sua ortodossia, appare parziale e che in corso d’opera assume toni e argomenti destinati ad uscire dalla visione retta e positiva, come è nelle opere del periodo montanista, da lui successivamente abbandonato, per aderire a posizioni ancora più estreme. Però va segnalato quello che noi dobbiamo considerare di valore e che risulta la base su cui è possibile un processo ulteriore per chiarire sempre meglio ciò che Paolo definisce grande circa il matrimonio cristiano.
Tertulliano riconosce ancora al matrimonio una sanctitas nell’esercizio rispettoso della sessualità coniugale, pur attribuendo alla castità una plenior sanctitas. Non appaiono rimozioni eufemistiche, quando viene trattato dal punto di vista scientifico l’amplesso sessuale:
… Pertanto non ci si vergogni di una analisi che è indispensabile. Della natura non si deve arrossire, bisogna considerarla con venerazione. È stata la libidine, non sono state le esigenze del comportamento sessuale a insozzare l’amplesso. Svergognata è la deviazione morale, non la condizione sessuale, dal momento che tale condizione sessuale espressa nel matrimonio è benedetta agli occhi di Dio: Crescete e sviluppatevi moltiplicandovi (Genesi 1,28). È maledetta invece la deviazione morale, cioè l’adulterio, lo stupro e il frequentare bordelli. E così noi sappiamo che in questo abituale espletamento delle funzioni sessuali che unisce un maschio e una femmina, mi riferisco all’amplesso con cui si accoppiano, l’anima tramite il desiderio e la carne tramite l’esecuzione dell’amplesso, l’anima tramite gli impulsi sessuali e la carne tramite l’accoppiamento. E pertanto in un unico trasporto, che coinvolge sia l’anima sia la carne e sconvolge l’uomo tutto intero, schizza appunto schiumoso il seme di tutto quanto l’uomo, seme che è composto di liquido spermatico e di calore; il primo proviene dalla dimensione corporea della so-stanza e il calore dal fatto che tale sostanza possiede anche un’anima. Se poi la semantica etimologica del termine anima presso i Greci indica il freddo, come mai il corpo invece si raffredda proprio quando viene tolta via l’anima? Infine, e metto ancora a rischio il mio pudore piuttosto che compromettere la dimostrazione, nel momento stesso dell’orgasmo, estrema vampa del piacere, mentre viene sprizzata la secrezione spermatica che inizia il processo generativo, non percepiamo forse che qualcosa ci esce anche dell’anima, tant’è che per questo ci sentiamo snervati e senza forze e ci si oscura persino la vista? …
(Il matrimonio … p. 139-140)
Un linguaggio così esplicito, forse non è possibile incontrare in nessun altro testo coevo, se non laddove si usano espressioni libidinose e sconce. Invece qui Tertulliano ricorre ad un linguaggio di natura scientifica – per quanto sia quello del suo tempo – per dare risalto all’atto sessuale che è intrinseco al matrimonio stesso, ed è quindi la più alta espressione dell’amore umano che riflette quello divino. Anche se poi, nel tempo in cui aderisce a posizioni estreme, lo scrittore “deraglia” ed offre considera-zioni inaccettabili, nei momenti di maggior lucidità giunge a una visione dell’amore più che mai positiva, e quindi i suoi testi possono essere ritenuti di forte valore educativo, non solo per ciò che dice dell’esercizio sessuale, ma anche per spiegarlo come atto che esprime al meglio l’amore umano e lo fa essere segno-sacramento dell’amore divino. Insomma, il discorso di Tertulliano è indubbiamente complesso e a volte anche molto problematico; ma merita che sia conosciuto, perché, se non altro, abilita a proseguire in quella linea positiva che cerca la valorizzazione piena del linguaggio sessuale, tenuto conto che la sessualità è di grande valore nel vivere umano, quando vuole effettivamente raggiungere lo stesso vivere di Dio. E se anche arriva a questo nella fase in cui si allontana dall’ortodossia, e propone idee non condivisibili, questo suo modo di ragionare in tempi non sospetti lo fa essere un autore comunque credibile e da seguire. Accanto alla giusta esaltazione del sesso, si deve pure riconoscere che egli valorizza anche la vita casta.
Tertulliano è il primo autore cristiano latino a formulare l’idea di una castità consacrata da parte di una ragazza o di una vedova come un matrimonio mistico con Cristo e con Dio. In genere ritiene che l’ascesi e la castità siano così gradite a Dio, che questi si lascerebbe per così dire blandire da esse, elargendo come ricompensa favori e carismi particolari.
(Il matrimonio … p. 143)
BIBLIOGRAFIA
Tertulliano
IL MATRIMONIO NEL CRISTIANESIMO PRENICENO
(a cura di Pier Angelo Gramaglia)
Borla, 1988