Una preghiera.

UNA PREGHIERA

(mi è venuta in queste ore di tribolazione)

Signore, sono le tre di un venerdì pomeriggio,

proprio quando ricordiamo la tua morte in croce.

E nel ricordo di te, lasciato solo sulla croce negli spasimi della morte,

mi viene da pregare in questa ora veramente amara

conservando una grande fede, anche se messa a dura prova.

Mi rivolgo a te e mi unisco a te nel grido doloroso e tanto umano,

che, detto tante volte nel salmo,

ha un sapore nuovo e più vero, nei momenti tragici:

perché, o Dio, tu che sei mio, tu che considero sempre mio,

mi hai ora abbandonato?

Non mi aspetto una risposta chiarificatrice,

non cerco una spiegazione confortatrice;

cerco solo, con te e come te, una presenza che mi sembra non sentire più.

So che non è vero; so che lui, il Padre, c’è, e mi sente; so che mi vuol bene.

E tuttavia, ora, mi sento più che mai solo, isolato, abbandonato, derelitto.

E più di me lo sono quelli che faticano a respirare, come tu sulla croce,

nuovi “poveri cristi” adagiati su un letto che ha la durezza di una croce:

guardali, Signore; guardali con occhi pietosi:

neppure si lamentano, ma sono soli!

Se, intubati, non possono dire niente,

non possono alzare neppure un grido di lamento: e ne avrebbero motivo!

Io mi faccio voce di loro per dirti quello che tu dici al Padre:

Perché ci hai abbandonati? Perché non fai vedere la tua mano in soccorso?

Perché questo male ci separa, ci obbliga a non essere più gli uni con gli altri,

ci riduce alla solitudine più amara?

Se questo male insidioso prende molti di noi,

e in poco tempo fa mancare loro l’aria da respirare,

al punto che neppure si possono raccomandare ai propri cari, ai dottori, a te,

tu, Signore, abbandonato e solo, non abbandonarli, non lasciarli soli:

fa’ sentire la tua carezza, fa’ avvertire la tua mano,

fa’ provare la tua vicinanza da buon Samaritano, come solo tu sai fare,

toccando i malati, risollevandoli, se sono piegati e allettati.

Fallo in vece nostra, fallo per noi, ma soprattutto per loro,

che in questo momento neppure possono chiedere aiuto.

Sentili con te nell’ora della tua morte, mentre si aggrappano alla poca aria,

nella ricerca di una vita che tu hai dato loro,

che hai promesso abbondante e piena,

e, se partono da questo mondo

come nuovi “ladroni buoni” insieme con te su questa croce,

accoglili nel tuo Regno, falli sentire in casa loro dentro la tua casa,

visto che ora non vedono più accanto a sé i loro cari,

mentre tu, ai piedi della croce,

avevi tua madre e il discepolo che tu amavi e che ti amava.

A te si affidano; a te noi ci affidiamo,

pensandoti sulla croce come lo sono tanti di noi,

pensandoti in affanno nel respiro come lo sono i contagiati dal virus,

pensandoti all’estremo in totale solitudine,

come lo sono i nostri morti di queste ore.

Poi tua Madre ti prende fra le braccia;

poi tua Madre si china su di te, vera icona di pietà;

poi tua Madre ti accompagna nel sepolcro, depositandoti come seme di vita.

A lei, visto che a noi è negato il pietoso gesto d’affetto, ci affidiamo,

perché lei raccolga quanti sono morti e continuano a morire;

lei li accompagni alla presenza del Padre;

lei, da madre veramente pietosa, interceda per loro e per noi

quell’abbraccio che ci fa sentire ancora figli e fratelli.

Verrà, presto, l’ora della risurrezione:

l’attendiamo, la desideriamo, ne abbiamo certezza!

Nel frattempo ci rimettiamo a te, sapendoti dalla nostra parte!

Grazie, Signore, per la tua comprensione e la tua vicinanza!

 

 

L’Europa di 100 anni fa: LA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO OTTOMANO E LA NASCITA DELLA TURCHIA LAICA E MODERNA

INTRODUZIONE 

La debolezza dell’Impero turco alla vigilia della guerra mondiale

Una delle questioni decisive dell’Ottocento, consegnata anche al secolo successivo, è la realtà dell’Impero turco, rimasto dalla storia come un mondo che sembrava destinato a durare e che invece appariva più che mai in dissoluzione, sia come forma di governo, sia come estensione territoriale. È sempre stato un impero e non solo una nazione perché esso non risulta composto solo da un territorio omogeneo, almeno a livello etnico, ma, in uno spazio, del resto molto esteso, esso comprende popolazioni diverse e non assimilabili fra loro, se non perché riconoscono l’autorità di chi comanda, anche in nome di una ideologia o di un potere di natura religiosa. Qui il sultano, che nel periodo di massima espansione si era rivelato capace di dominare e di guidare soprattutto l’apparato militare, aveva assunto anche una potestà sacra, come depositario dell’eredità religiosa islamica. In nome di questo potere religioso egli esercitava la sua alta autorità anche sulle varie tribù del mondo arabo, sia nel Medio Oriente, sia nel nord Africa. L’espansione verso l’Europa centrale si era fermata nella penisola balcanica, e, dopo la battaglia di Lepanto (1571), quella che sembrava una rapida espansione verso l’Occidente, di fatto venne arrestata, e di lì ebbe inizio un lento ma inesorabile decadimento, che proprio nell’Ottocento ebbe il suo svolgimento e con la prima guerra mondiale il colpo di grazia che avrebbe dovuto abbattere l’impero secolare.

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L’AUSTRIA E L’UNGHERIA USCITE DAL TRATTATO DI VERSAILLES

 

Introduzione: il quadro di allora e di oggi

Sono trascorsi 100 anni dall’assetto che l’Europa ha assunto al termine del conflitto mondiale. Come già si diceva allora, quella soluzione appare temporanea: dagli esperti di quei giorni fu paventato che un conflitto sarebbe poi scoppiato negli anni successivi; così oggi, anche se sull’orizzonte non ci sono propriamente delle ombre che fanno presagire un nuovo conflitto (anche perché si ha più che mai l’avvertenza che i disastri sarebbero davvero ampi e incalcolabili), ci si rende conto che lo stesso assetto geografico è sempre fragile, ma lo è ancora di più quello politico. Non solo; l’Europa rischia sempre più l’irrilevanza, anche se oggi conserva un certo peso di natura economica, finanziaria e commerciale, seppure minato da nuove “tigri” rampanti che stanno affiorando sullo scenario del mondo. Evidentemente il quadro che oggi l’Europa presenta ha in sé le scelte e gli errori che sono stati fatti allora e che ancora non vedono una seria rilettura che permetta, quanto meno, di comprendere quali siano i problemi irrisolti, soprattutto in quel “ventre molle” dell’Europa che è in modo particolare la cosiddetta Mittel-Europa e più ancora la penisola balcanica. Quanto si è prodotto con il trattato di Versailles, senza una giusta considerazione dei criteri che si sarebbero dovuti seguire, ha lasciato in eredità situazioni che ancora oggi appaiono irrisolte.

Neppure sui libri di storia, usati nelle scuole e che poi lasciano una certa immagine nell’opinione pubblica, alcuni momenti, come quello in esame, sono stati trattati con sufficiente chiarezza, per quello che si può stabilire a partire dai documenti e dalle analisi che sono state svolte in seguito da persone competenti. Soprattutto a proposito del quadro europeo che sta ad est, il nostro modo di considerare quell’assetto ha badato di più ai revanscismi italici circa i territori sull’Adriatico, la cui storia viene considerata appartenente alla penisola per una eredità che è legata ad altri schemi.

E comunque, c’è sempre stata una grande ignoranza circa il quadro etnico e culturale presente in un territorio dove si erano sempre manifestati fenomeni di imperialismo o di dominio che provenivano da fuori. Tutto l’oriente europeo è sempre stato territorio di appetiti che vedevano in continuazione lo scontro fra diverse forme di imperialismo in nome dell’appartenenza al mondo germanico, slavo o turco. L’eredità lasciata dall’Ottocento è proprio quella di imperi sempre più lanciati verso oriente e nel contempo dell’insorgere di nazionalismi che contrastavano queste forme di imperialismo ereditate dal passato. Il primo conflitto mondiale si è scatenato proprio qui e in modo particolare per chiarire, non a livello diplomatico, ma con l’uso delle armi, come si doveva ripensare l’assetto di questo territorio così complesso. Quando le armi tacciono, non perché propriamente vi sia un vincitore sul campo, ma perché c’è uno sfinimento generale, legato a malattie diffuse, come la spagnola, e a una carenza di approvvigionamenti, la palla viene rilanciata alla politica, la quale tuttavia non è in grado di affrontare in modo serio i problemi che si trascinavano sul tappeto. Si arriva così al Trattato di Versailles, che di fatto si snoda in diversi trattati disposti dalle potenze vincitrici con i singoli Paesi sconfitti, obbligati ad accettare e a firmare le ingiunzioni non trattabili. Leggi tutto “L’AUSTRIA E L’UNGHERIA USCITE DAL TRATTATO DI VERSAILLES”

LEGGENDO MANZONI LE TRAGEDIE: I CORI DELLE TRAGEDIE

 

INTRODUZIONE: Il limite delle tragedie manzoniane

È opinione diffusa che le tragedie manzoniane siano sperimentazioni ne-cessarie per arrivare poi a risultati migliori. In effetti lo scrittore successivamente si dedica ad altro, individuando il suo campo d’azione. Con le tragedie noi siamo in presenza di lavori che non ebbero seguito, anche perché non ebbero successo. E questo non dipende solo della buona accoglienza al momento della loro apparizione in pubblico con la messa in scena delle opere, come se il successo venisse conferito dal fatto che a teatro ci fossero molti spettatori e questi tutti entusiasti nell’assistere alle scene; il ripensamento dello scrittore circa questo genere letterario fu determinato anche dal fatto che la critica ebbe subito delle valutazioni non punto lusinghiere, e lo stesso scrittore, per quanto cercasse di spiegarsi, dovette riconoscere il limite dei suoi lavori. Tuttavia noi oggi possiamo considerare queste opere come assolutamente necessarie nel percorso che Manzoni compie per giungere al suo capolavoro: esso ebbe pure una gestazione prolungata nel tempo. Non era in discussione la storia, come racconto di eventi, ma come concezione da avere per far meglio comprendere il senso degli eventi in relazione alle grandi questioni che si ponevano e che si cercava di affrontare nel dibattito politico e culturale, presente in quegli anni. La critica di fondo, quella più lucidamente sottolineata, compare tempo dopo con le lezioni napoletane di De Sanctis, già più volte citate. Costui rileva che “nella sua tragedia l’azione è chiusa in un atto solo, e il rimanente sono discorsi. Questo è il lato difettivo della tragedia”. (De Sanctis, p. 211) Sta parlando del “Carmagnola”. La tragedia viene di fatto resa esplicita a partire dai discorsi contrapposti dei due personaggi, che sono quelli di pura invenzione e che l’autore inserisce perché essi possono rappresentare al meglio le due visioni diverse e contrastanti che sono all’origine della tragedia.  Leggi tutto “LEGGENDO MANZONI LE TRAGEDIE: I CORI DELLE TRAGEDIE”

LEGGENDO MANZONI: LE TRAGEDIE: ADELCHI

Introduzione: una nuova vicenda, una nuova storia

Da poco la tragedia del Carmagnola è stata data alle stampe e già lo scrittore appare insoddisfatto del suo lavoro, sia per le critiche che gli piovono addosso, sia per l’insufficienza che lui avverte presente nell’opera, soprattutto in relazione allo stesso protagonista. Egli lo vuol proporre come innocente a proposito dell’accusa che gli è mossa di tradimento e che lo conduce al patibolo, mentre in realtà è anche lui la pedina di un gioco di brutalità, di inganni, di miserie, che non lo può rendere un uomo senza macchia, un eroe positivo, una sorta di martire della storia. A ben vedere, il personaggio più tormentato, e dunque più tragico, appare emergere dalla fantasia dell’autore e non dalla realtà storica: si tratta di Marco, l’amico del cavaliere, che vive interiormente la tragedia di essere leale alla ragion di Stato e non a quello dell’amicizia. Così il personaggio storico, che dovrebbe essere l’eroe positivo e non idealizzato, appare in tutti i suoi limiti; nondimeno è il personaggio non storico, che tuttavia ha in sé il realismo umano di voler affiorare per i valori umani, che non riesce però a difendere, a diventare di fatto il protagonista. Di qui la ricerca di una figura, quella di Adelchi, che pur inserita in un contesto storico, ben studiato e analizzato, risulta comunque totalmente creata dalla fantasia dello scrittore e proprio per questo emergere con la ricchezza dei valori umani che Manzoni vuol esaltare, incarnandoli in un personaggio veramente grande. Non è lui propriamente l’uomo che la storia esalta, sia perché è un perdente, ma anche perché egli è del tutto abbozzato dalla fantasia di chi scrive. Manzoni si prepara al nuovo lavoro con una ricerca storica ben documentata e, su quello sfondo, i personaggi che risultano meglio definiti e meglio curati sono quelli che la storia ignora e che la fantasia crea.

Ricerche e studi sui Longobardi Leggi tutto “LEGGENDO MANZONI: LE TRAGEDIE: ADELCHI”

LEGGENDO MANZONI: LE TRAGEDIE: IL CONTE DI CARMAGNOLA

 

Introduzione: l’interesse di Manzoni per la tragedia

Ci sono due opere nel lavoro letterario di Manzoni, che sembrano come massi erratici, capitati in un periodo problematico del suo vivere, e che di fatto rimangono tali, perché poi egli non percorse più questa strada, in cui si era cimentato, come era tendenza fare di quei tempi. Si tratta delle tragedie, che rivelano un gusto, tipico di quel momento, soprattutto in ambiti giovanili, come se quel genere fosse l’unico possibile per “accendere … l’animo de’ forti”. Con il tramonto dello spirito rivoluzionario e dell’era napoleonica e con l’avvento della “Restaurazione” sembravano ormai del tutto spenti gli animi, soprattutto per una partecipazione diretta nel vivere sociale: gli ideali di libertà, pur naufragati in mezzo a violenze e a guerre, sembravano ora impossibili da essere perseguiti, e c’era per questo un diffuso disorientamento. Manzoni, pur con la sua fede radicata, attraversava un periodo di tensioni non da poco, anche nel campo che gli era proprio, e che doveva divenire il “suo lavoro”, perché da una parte lo spirito neoclassico, che pur aveva fin qui respirato, non lo appagava con i suoi ideali, divenuti sempre più “mitici”, e il nuovo spirito romantico era ancora tutto da costruire e sembrava ancora una innovazione d’altri luoghi, non radicata nella tradizione della nostra letteratura. A questo si aggiungeva anche il fatto che l’appartenenza ad una scuola significava comunque una presa di posizione politica, in un momento nel quale la restaurazione vigilava per mortificare sul nascere ogni spirito ribelle o anche ogni inclinazione con le innovazioni. “Manzoni, nel ’15, aveva scritto in risposta a un invito dell’Acerbi, direttore dell’austriacante “Biblioteca”, di “non voler entrare in qualsivoglia associazione letteraria”; prima di tutto c’era il rifiuto delle posizioni di quella rivista; ma c’era in lui davvero la renitenza a “proferir giudizi letterari” e a “sentenziare sugli scritti altrui”. Quanto ai “conciliatori”, amico sì, partecipe, anzi guida quando occorresse delle loro idee; ma indipendente. (Ulivi, p. 163) Leggi tutto “LEGGENDO MANZONI: LE TRAGEDIE: IL CONTE DI CARMAGNOLA”

LEGENDA .

Lo spunto dalla “Legenda” di S. Francesco (5 ottobre 2018)

La figura di S. Francesco, che si celebra come patrono d’Italia, ci viene offerta da una lunga serie di biografie, in ognuna delle quali la fisionomia del santo viene dispiegata sulla base della sensibilità e delle priorità di chi scrive. Le prime biografie hanno il pregio di essere le più vicine ai tempi del santo, perché all’indomani della sua scomparsa si avvertì la necessità di far conoscere i tratti umani e spirituali di colui che ormai tutti riconoscevano come santo, perché vedevano  in lui la fisionomia di Cristo stesso. Del resto si tendeva, anche forzando gli eventi, a dire che ogni episodio della sua vita si potesse ricollegare a ciò che si trova scritto nel vangelo; per questo si arriva a scrivere che lui pure era nato in una stalla e che lui pure porta impressi nella carne i segni della crocifissione.

Le prime biografie vengono definite “LEGENDA”, cioè “cose da leggersi” e quindi erano proposte perché se ne facesse lettura; ovviamente non tutti erano in grado di leggere, ma tutti erano in grado di ascoltare, e, proprio perché si imprimesse la fisionomia del santo, ecco l’utilizzo della grafica pittorica, che a partire da Giotto nella basilica superiore di Assisi ci offre in riquadri episodi della vita di Francesco desunti da quella biografia che allora era in auge e di fatto si era imposta.

Le prime tre biografie, tutte definite “LEGENDA”, compaiono con l’intento di far conoscere la figura del santo sulla base di coloro che sembrano essere i destinatari dell’opera. Leggi tutto “LEGENDA .”

S. Colombano e il suo contributo per l’Europa.

Introduzione: figure e movimenti per l’Europa

La visione dell’Europa non può prescindere dall’apporto che è venuto alla costruzione di questa “idea” (da far diventare sempre più realtà) da parte del monachesimo nel suo insieme, come fenomeno religioso, culturale e soprattutto umano. Dobbiamo parlare di monachesimo nel suo insieme e non solo di alcuni personaggi divenuti famosi, che possono restare come massi erratici, perché ciò che ha lasciato il segno è indubbiamente quanto cogliamo in forti personalità come pure in quell’esercito di persone senza nome, che ha comunque operato sulla scia delle indicazioni ricevute e ha contribuito a creare un humus, uno spirito. S. Benedetto, il padre del monachesimo occidentale, è stato proclamato da Paolo VI patrono d’Europa, a cui poi Giovanni Paolo II ha affiancato i due fratelli greci, Cirillo e Metodio, che sono stati gli apostoli dei popoli slavi. Se per costoro è anche facile pensare all’azione svolta nell’Est europeo contribuendo alla scrittura cirillica, all’evangelizzazione di diversi popoli, allo sviluppo di una coscienza più forte di questa gente per la loro appartenenza alla storia di un continente che sembrava averli emarginati, dall’altra si fa fatica a pensare alla figura di Benedetto come costruttore dell’Europa, visto che il suo personale ambito di azione si è circoscritto al centro Italia. Semmai sono i suoi monaci, poi, ad aver diffuso insieme con il Vangelo, una impostazione di vita che trae linfa dalla Regola, quella da lui scritta per dei principianti. Per ciò che noi conosciamo di Benedetto, a partire dalla sua Regola e dagli scritti del miglior discepolo che ha avuto, e cioè Gregorio Magno, non si dovrebbe parlare di un’azione a vasto raggio nei confronti di un continente, perché non vi è traccia in lui di un disegno che intendesse segnare profondamente i diversi popoli d’Europa. Anzi, egli avrebbe desiderato la “fuga dal mondo” per cercare solitudine, alla stregua di quello che già si era vissuto nei secoli precedenti nel deserto egiziano, dove si erano affollati gli anacoreti, che spesso vivevano da “stiliti”; semmai egli sembrava muoversi più nella linea del monache-simo basiliano, che in Cappadocia cercava di costruire una vita eremitica di isolamento dal mondo, attenuato da forme di collegamento fra i mona-ci, per i quali si prevedeva una vita “cenobitica”. Così nascono in Italia i monasteri che dobbiamo definire benedettini, sia perché dipendono dall’abbazia originaria di Montecassino, sia perché poi in essi vige la Regola benedettina, a cui un po’ tutti in Europa si rifanno, anche quando sorgo-no nuove forme di vita monastica, come quelle attorno al Mille.

Monachesimo e Barbari

Non c’era, insomma, nella mens di Benedetto la costruzione di un’Europa come visione di vita comune fra diverse popoli; e tuttavia quello che poi si costruì nei diversi centri monastici ebbe ripercussioni per la stessa vita Leggi tutto “S. Colombano e il suo contributo per l’Europa.”

PASQUA.

IL RISORTO: ABBIAMO VISTO E UDITO …

Ci accostiamo al grande mistero pasquale consapevoli che un evento simile ci sfugge in continuazione, perché noi possiamo solo considerare la tomba rimasta vuota e i discepoli in giro per il mondo a sostenere che Lui si è fatto vedere a loro, ancora vivo, più vivo che mai con i segni della sua passione, e che il suo Spirito si è trasferito in loro per farli uscire con una passione irrefrenabile, con una gioia incontenibile, con un ardore sempre più infiammato. Se per loro sono bastate le parole ricordate dall’angelo alle donne e le parole delle donne riferite con lo stupore crescente di chi ha visto ciò che non si immaginava di vedere, ora queste stesse parole che hanno fatto il giro del mondo e che, valicando i secoli, si sono conservate con la medesima forza di convincimento, hanno bisogno di immagini, di persone credibili, di quel gusto della meraviglia che apre il desiderio di sapere, di conoscere, di vedere, di incontrare. Oggi la risurrezione è da noi sperimentata, come allora, per le parole che non troviamo più soltanto nei libri dei vangeli, ma anche in quel vangelo, il quinto, che è scritto nella vita di quanti possono dire: “A me si è fatto vedere! Io l’ho visto e incontrato negli occhi e nel cuore di chi, passando dal dolore, l’ha proprio conosciuto e assimilato”. Oggi quel fatto appare credibile in coloro che, avendo vissuto questa esperienza di incontro con quanti dicono di averlo visto vivo, si sono entusiasmati e appassionati, per cui possono intraprendere la vita con la sua medesima passione: adesso la portano con sé come qualcosa di vivo e che vivifica. Anche noi abbiamo visto negli occhi di altri l’esperienza dell’incontro con il Risorto e proprio da questi occhi possiamo immaginarci qualcosa di ciò che troviamo scritto nei vangeli. E come ognuno può raccontare qualcosa di diverso, così anche noi abbiamo da consegnare una nostra visione del Risorto. C’è chi la immagina e ne offre la sua visuale, che proprio nella rappresentazione pittorica può trovare la giusta sintesi. C’è chi la risente nel cuore e ne offre la risonanza con le note della melodia o della poesia. E c’è chi la custodisce interior-mente offrendone, per quello che vive e per il modo con cui vive, la sin-golarità della sua esperienza. Ecco perché è sempre possibile ricercare nelle immagini, nelle parole, nelle melodie dei suoni e dei versi di poesie una scintilla di quella Pasqua che continua a ravvivare nella speranza il nostro vivere. LA PASQUA SECONDO DUCCIO DI BUONINSEGNA(1255-1319) Leggi tutto “PASQUA.”

Come un forte inebbriato il Signor si risvegliò….

Introduzione: dalla conversione religiosa alla poesia religiosa

È il primo degli Inni Sacri. Risulta composto tra l’aprile e il giugno del 1812.

Secondo una voce registrata da Giacomo Zanella, quando Manzoni si era rialzato credente nella chiesa di San Rocco, pensò “sin d’allora l’Inno della Resurrezione”. È una testimonianza che pare accettabile … Per capire la genesi, nel 1812, del primo degli “inni”, si deve – però – considerare qualcosa che si era svolto, di molto soggettivo, e che Manzoni aveva dovuto relegare nel fondo segreto della propria ispirazione. Stando alla cronologia, avremmo la conversione religiosa, seguita a distanza da quella poetica. Così in genere si pensa”. (Ulivi p. 146)

Trattandosi del primo esperimento di poesia religiosa, in un contesto in cui l’autore era fresco di conversione, si tende a ritenere che qui l’ispirazione poetica sia di fatto compressa e compromessa da un’adesione entusiasta alla fede cristiana, a cui egli mette a disposizioni le sue doti di scrittore e di poeta. In effetti qui si respira l’entusiasmo del credente, ma non ancora quel tipo di espressività che in anni successivi consentiranno qualcosa di più significativo. E tuttavia egli vuole prestare i suoi mezzi, ancora tutti da consolidare, alla causa di quella fede religiosa che è adesione convinta. Di solito qui si vuol penetrare nella vicenda della sua conversione, che però non si riesce mai a descrivere e a capire fino in fondo, trattandosi di qualcosa di molto personale, su cui non si lascia sfuggire molto, se non il fatto che la presenza e l’azione di Dio si siano fatte sentire, divenendo la ragione del vivere da uomo e da poeta. È interessante il fatto che inizi questa serie di inni, definiti poi sacri, quasi a volere dare un contributo personale a quell’espressione di fede che egli avverte di dover compartecipare: scrive inni in modo molto popolare con l’intento di favorire tutto questo presso la gente comune e rendere ad essa accessibili i grandi misteri cristiani. Comincia con l’inno che parla della Risurrezione, non solo perché qui entriamo nel cuore della fede cristiana, ma perché mediante questa lettura egli vuole sottolineare che a partire da quella risurrezione anche l’uomo incomincia il suo nuovo cammino. Leggi tutto “Come un forte inebbriato il Signor si risvegliò….”