AL SEPOLCRO DI GESÙ.

E FU SEPOLTO

Ancora oggi nella formula di fede, con cui pubblicamente i cristiani esprimono la loro adesione al Signore Gesù, essi dicono di credere a tutto ciò che Gesù ha vissuto nel suo percorso terreno, compresa la conclusione della sua sepoltura, mediante la quale “si mette una pietra sopra”, per dire così che tutto è finito. Ma quel fatto, pur così importante, se ancora viene segnalato nella professione di fede, non è affatto l’ultima parola con cui viene chiusa l’esistenza terrena di Gesù. La sepoltura risulta sola-mente un passaggio che introduce ad un mondo diverso: se Gesù è vis-suto dentro uno spazio preciso, come quello della Palestina, e dentro un periodo storico, come quello dell’Impero di Augusto e di Tiberio, con la morte noi dovremmo considerare chiusa definitivamente la sua esistenza, e così lo spazio è solo quello di una tomba che lo racchiude e il tempo, che continua a procedere, per lui si è fermato. Eppure questa sepoltura non è affatto la parola definitiva per Gesù: la nostra fede ci dice che lui ha superato le barriere della morte, per entrare in un’altra condizione di vita. Fa in modo di essere visto, e alcuni possono raccontare di averlo incontrato, perché lui si è mosso a cercarli. Ma egli vive in una dimensione nuova, se non altro perché lo vedono contemporaneamente in luoghi diversi, perché la sua presenza fisica non risulta spiegabile secondo criteri scientifici, anche se c’è gente che dice di averlo visto vivo, quando in precedenza avevano dovuto costatare che era morto e che era stato sepolto, per quanto la sua tumulazione risulterà essere stata provvisoria. Non lo è stata, perché chi ha fatto questa operazione aveva già in mente l’ipotesi della risurrezione, come un dato sicuro ed incontestabile sulla base di ciò che Gesù aveva anticipato. La ragione della fretta di depositarlo nella tomba derivava dal fatto che non avevano lassi di tempo per una operazione del genere, essendo imminente la festa di Pasqua e il comando rituale del riposo più rigoroso. Comunque nella tomba viene collocato ed era destinato a rimanere, così come erano assolutamente certe le donne di ritrovarlo disteso e pronto per le azioni necessarie a ripulirlo e a comporlo secondo le usanze, ma più ancora secondo le esigenze dell’affetto che le legava a quell’uomo. E se esse conservavano il desiderio di intervenire per lui, questa loro attesa spingeva ad affrettarsi, perché di buon mattino fossero sul posto a continuare la loro opera di devozione. Leggi tutto “AL SEPOLCRO DI GESÙ.”

LA DIDACHE’: IL PASTORE DI ERMA

PREMESSA:

SCRITTI DIDASCALICI

Fin dalle origini del Cristianesimo si è avvertita la necessità di comporre scritti da accompagnare alla fase orale delle predicazione itinerante, che vedeva gli Apostoli e i loro collaboratori impegnati nel bacino del Mediterraneo e anche altrove in Oriente per comunicare il Vangelo non ancora fissato in libri. Nel periodo in cui sono ancora vivi gli Apostoli, si fa, certo, memoria di ciò che Gesù ha detto e ha fatto, ma la composizione scrit-ta delle sue vicende e della sua predicazione si ha dopo la distruzione di Gerusalemme e la diaspora ebraica che ne segue. Ne deriva anche una più marcata separazione fra mondo ebraico e mondo cristiano, che comporta la definizione di una morale e di una liturgia nuova che devono caratterizzare i cristiani. Negli stessi vangeli si avverte l’esistenza di una polemica sempre viva ed accesa fra Gesù e i farisei: essa probabilmente apparteneva di fatto al periodo successivo, quando i cristiani devono più che mai distinguersi rispetto agli Ebrei, i quali del resto nel mondo romano costituiscono un problema politico non irrilevante per la loro resistenza ad accettare il dominio di Roma. Probabilmente in presenza di tensioni esistenti con gli Ebrei che resistono e spesso anche fanno ricorso ad attentati, chi derivava da loro, come i cristiani, fino ad allora legati alla celebrazione tenuta in sinagoga, sentiva l’esigenza di marcare la diversità, sia sotto il profilo dottrinario, sia sotto quello liturgico. Forse, questa necessità portava a segnalare presso i cristiani i tratti distintivi della propria dottrina e delle proprie adunanze celebrative: è una esigenza diffusa che dà origine a testi redatti con questi intenti e offerti alle diverse comunità sparse per tutto l’impero. I testi scritti devono servire alla comunità di riferimento perché possa regolarsi anche in presenza di interventi dell’autorità locale chiamata a vigilare circa le attività che si immaginavano sovversive da parte degli Ebrei e di coloro che apparivano ad essi affiliati. Ci si spiega così la presenza di alcuni libri che vogliono offrire un po’ di chiarezza sia nell’ambito della morale e soprattutto testi eucologici, cioè preghiere e formulari per le assemblee celebrative, al fine di garantire documenti sicuri che permettano di giustificare i riti e i comportamenti dei cristiani, non solo per l’organizzazione interna, ma anche per favorire attorno una migliore conoscenza del nuovo fenomeno religioso che già appariva diffuso. Leggi tutto “LA DIDACHE’: IL PASTORE DI ERMA”

S. Ignazio di Antiochia e le sette lettere

PREMESSA:

SCRITTI APOSTOLICI E POST-APOSTOLICI

C’è una copiosa letteratura cristiana antica, ai più poco nota, che rivela una produzione di notevole valore e meritevole di essere conosciuta anche oltre gli addetti ai lavori, anche oltre i credenti, che comunque ben raramente vi si accostano. La produzione scritta si sviluppa già ai primi tempi: si conoscono diverse lettere spedite dagli apostoli alle loro comunità, di cui si conservano quelle che oggi appartengono al “canone” e sono quindi ritenute “ispirate”. Nelle stesso periodo i detti di Gesù venivano diffusi per via orale, attraverso la predicazione dei discepoli, che raccontavano le proprie esperienze e mettevano in luce gli episodi necessari per illustrare meglio la dottrina, cioè gli elementi qualificanti del vivere e dell’operare di chi voleva essere cristiano e voleva testimoniare la propria fede. Poi, forse anche per la congerie di documenti e soprattutto di versioni che potevano anche allargarsi a comprendere pure ciò che non si poteva ritenere uscito dalla bocca del Maestro, si arrivò alla decisione di scrivere quei libri che sono noti come “Vangeli”, in quanto contengono la “bella notizia” che ha come protagonista Gesù di Nazareth. Tra questi libri, scritti probabilmente dopo la catastrofe di Gerusalemme distrutta dai Romani nel 70, e proprio perché di qui si ebbe il distacco dei cristiani dal mondo ebraico, così duramente provato con la rivolta finita male, emergono i quattro considerati “canonici”, perché tutte le Chiese li ritengono tali, mentre altri, poi definiti “apocrifi”, non sono ritenuti ispirati e quindi essenziali per la fede da parte di tutte le Chiese sparse nel mondo occidentale e orientale dell’Impero. La medesima considerazione accompagna i testi attributi a Paolo, e cioè le sue lettere scritte a diverse comunità, che sempre più, già in questo periodo si utilizzano negli incontri di preghiera. Questa fase di valorizzazione di testi scritti, accanto alle comuni-cazioni orali che continuano, non si esaurisce con l’età “apostolica”, cioè quando sono ancora vivi e operanti coloro che sono stati protagonisti con Gesù del vangelo, essendo stati designati da lui. Quando, verso la fine del secolo I, si esaurisce questa età, perché scompaiono gli apostoli e si passa all’età successiva, il posto di guida viene affidato ai collaboratori, che li hanno seguiti e sono diventati i loro successori, con la designazione di “ispettori” (in greco = episcopoi). Anche costoro ricorrono a lettere e ad altro genere di scritti per comunicare la fede e soprattutto dare istruzioni e incoraggiamenti alle comunità non facilmente raggiungibili. Leggi tutto “S. Ignazio di Antiochia e le sette lettere”

Storia della Cina: Francesco Saverio e i primi gesuiti in Cina

INTRODUZIONE

L’opera storica che Matteo Ricci scrive ha come titolo: “Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina”. Per la lingua che usa e, più ancora, per il genere di contenuti che vi trovano ampio spazio, si deve pensare che essa non si preoccupi di dialogare con il mondo cinese, come avviene invece in altre opere da lui lasciate. Questo è evidentemente un lavoro che deve spiegare in Occidente e, in modo particolare, nel mondo cattolico, come sia stata condotta l’attività missionaria che il gesuita marchigiano si prefiggeva di compiere e che costituiva l’assillo fondamentale del nuovo Ordine religioso, da poco fondato e già schierato sui diversi fronti dei luoghi geografici che erano stati contattati nei viaggi avventurosi del secolo. Se in altri settori Ricci si rivela un uomo ben avviato negli studi scientifici e soprattutto preoccupato di comunicare in maniera rispettosa con il mondo cinese, qui, in un ambito più propriamente storico, tenuto conto che deve riferire alla Compagnia, secondo le richieste del fondatore, fatte ai suoi missionari in giro per il mondo, vediamo emergere una cura più attenta, da parte dello scrittore, per giustificarsi nel suo modo di operare. Egli si deve mettere sul solco dei suoi immediati predecessori, che hanno aperto la strada per la presenza, non solo degli occidentali, ma soprattutto dei missionari del vangelo in Cina. Se Ricci appare spesso dominato da un tipo di “curiosità” scientifica, che lo fa essere attento alla cultura cinese e dialogante con essa, qui si fa strada, più che lo storico, il cronista della missione, e quindi colui che deve spiegare ai superiori le linee guida della sua azione, in cui predomina l’obiettivo di proporre il vangelo e di farlo conoscere con lo spirito dei pionieri. Costoro, anni prima della sua venuta in Cina, hanno comunicato il vangelo secondo l’impostazione allora perseguita di ottenere conversioni e adesioni alla Chiesa, già squassata da scismi ed eresie, che in Europa avevano lacerato la sua unità e compattezza. Soprattutto a partire dalla intraprendenza dei Portoghesi, i Gesuiti cercavano di accompagnarsi a loro, anche perché i Lusitani avevano una buona flotta e notevoli interessi un po’ dovunque, nell’intento di creare punti di approdo, a partire dai quali potevano creare sbocchi di mercato per raccogliere materiale e smerciare. Da quando erano iniziati i viaggi sull’Atlantico con l’intenzione di raggiungere più facilmente quello che nella geografia di allora risultava l’Oriente, senza la cognizione che ci fosse un continente in mezzo, l’obiettivo rimaneva comunque Cipango (Giappone) e Catai (Cina), ma più ancora l’India sempre considerata “favolosa” per le ricchezze che si ipotizzava di trovarvi. Leggi tutto “Storia della Cina: Francesco Saverio e i primi gesuiti in Cina”

LA CINA AL TEMPO DI MATTEO RICCI: Problemi di natura morale e religiosa.

INTRODUZIONE – Occorre ribadire che lo scopo fondamentale del viaggio di Matteo Ricci in Cina e più ancora della sua relazione scritta che ci fa conoscere la Cina con i suoi occhi, secondo il metodo dell’autopsia, è quello di seminare la parola evangelica, anche se nel modo stesso che Ricci ha di operare e poi di redigere la sua relazione, egli lascia questo obiettivo sullo sfondo. Preferisce cercare un approccio rispettoso con il mondo cinese, che egli deve riconosce costruito su una profonda e seria ricerca della saggezza, che fa ritenere i costumi cinesi degni di rispetto. Non si verifica uno scontro, ma si assiste ad un vero e serio confronto, che poi a Roma darà adito a qualche sospetto, come se Ricci volesse perseguire un certo sincretismo. La Controriforma, che si respirava in Europa, vedeva una rigida contrapposizione contro ogni altro credo religioso che non fosse il Cattolicesimo: esso si riteneva accerchiato, e reagiva in modo dogmatico e senza un vero spirito dialogico. Anzi, non lasciava molto campo di libertà per questo modo che aveva Ricci, e con lui, l’avanguardia missionaria gesuita, nel suo contatto con un mondo ritenuto lontano dal Cristianesimo e come tale considerato terra di “conquista”. Ricci, da missionario, non si poteva sottrarre al suo mandato; ma nel contempo non poteva neppure presentarsi con tutto il suo apparato dogmatico da imporre in un mondo già sospettoso e poco incline a “lasciarsi inglobare”, mentre era piuttosto teso ad “inglobare” il resto del mondo. Se in altre aree del mondo, dove sembrava fin troppo evidente la condizione di uno “status” ancora primitivo con usi e costumanze ritenute inadeguate, secondo una certa visione umanistica, acquisita e data per scontata in Europa, qui invece si respirava un mondo di natura filosofica e morale, con cui si poteva dialogare, come del resto era stato fatto già agli albori del Cristianesimo tra il vecchio mondo pagano e il nuovo mondo cristiano. Così la componente religiosa, che si sarebbe dovuta ritenere prioritaria, affiorava non soltanto perché Ricci era un prete con questo specifico incarico, ma perché la scoperta in Cina di una religiosità radicata doveva più che altrove richiedere particolare attenzione. Proprio questo spirito religioso va riconosciuto come essenziale nella storia cinese; si potrebbe dire che anche negli anni del furore persecutorio contro ogni forma religiosa e nel vano tentativo di mortificare ogni credo religioso, comunque questo spirito è radicato e come tale è da associare alla conoscenza storica della Cina.

LA RELIGIOSITA’ CINESE

E CONFUCIO Leggi tutto “LA CINA AL TEMPO DI MATTEO RICCI: Problemi di natura morale e religiosa.”

LA CINA AL TEMPO DI MATTEO RICCI: Il governo.

È interessante nella lettura dell’opera scritta da Matteo Ricci che, prima ancora degli aspetti religiosi, vengano segnalati quelli che riguardano la vita quotidiana, e soprattutto l’attività lavorativa con i prodotti principali, che risultano essere specifici della Cina e dei suoi abitanti. Sappiamo che l’autore, in quanto prete e gesuita missionario, ha come sua finalità la predicazione evangelica; ma, nel contempo, come già operavano anche altrove gli stessi gesuiti, formati a Roma, anche lui si dedica alla ricerca scientifica coltivata negli anni della formazione, riconoscendo che gli studi fatti sono importanti per avviare il dialogo con la popolazione locale. Si rendeva conto che, per far entrare la proposta evangelica, era necessario conoscere più attentamente il percorso operato dalla gente del luogo e mettersi al passo con essa, avendo cura di conoscere da vicino il vissuto quotidiano. Abbiamo visto che ha iniziato la sua opera monumentale con l’attenzione al territorio, da considerare alla stessa maniera con cui veniva visto dagli stessi Cinesi, e da presentare ai lettori europei con lo sguardo di chi vi abita, suggerendo in tal modo di nutrire verso i Cinesi un’attenzione rispettosa. Naturalmente, anche per la considerazione che Ricci ha nei confronti del mondo culturale cinese, non può mancare la stima verso i letterati, gli scrittori, i ricercatori in genere, Anzi, egli stesso fa notare che persino nel mondo militare cinese si ha cura di formare le persone tenendo conto della componente che possiamo definire umanistica.

Questo modo di far gradi di Licenziato e di Dottore si usa anco negli stessi anni ai soldati, con gli stessi nome di chiugin e di zinsu, e negli stessi luoghi; cioè il grado di Licenziato nelle metropoli, e quello di Dottore in Pacchino, in un altro mese diverso. Ma come in questo regno vagliono puoco le armi, e la arte militare è sì puoco stimata, si fa con tanto manco solennità, e si dà a sì puoca gente, che pare una Compassione. (Ricci, p. 38)

Dopo una rapida presentazione di ciò che si produce e di ciò che caratterizza la cultura cinese, Matteo Ricci nel capitolo VI del primo libro si dedica al governo della Cina, che gli permette di offrire una narrazione molto sintetica dei principali eventi storici, per spiegare come al suo tempo ci si trovi con un sistema politico, che egli cerca di far comprendere ai suoi lettori, usando anche i parametri del mondo europeo, pur segnalando che la storia e la politica cinese sono di gran lunga diverse e diversamente vanno comprese e analizzate. Di fatto, più che un susseguirsi di eventi storici, Ricci definisce nelle sue linee essenziali il governo, che, essendo monarchico, senza limitazioni di sorta, se non per il suo apparato burocratico, rende la Cina un impero. Lo è inoltre per il fatto che nell’estensione del suo territorio, la Cina comprende al suo interno varie popolazioni o gruppi etnici, dominati da un governo unico, la cui struttura viene proposta dall’autore per spiegare al lettore occidentale come deve essere intesa la Cina. Perciò a chi scrive, che pur dimostra di conoscere l’essenziale della storia cinese, la segnalazione che maggiormente conta è il fatto di essere in presenza di una struttura di governo, che è certamente il risultato di una lunga gestazione nella storia. Esso, inoltre, appare ben strutturato, e così si spiega come esso persista e come esso continui a rinnovarsi e a sussistere insieme, per tutti i sistemi di equilibrio che si sono creati nel corso dei secoli, per far giungere la Cina ad essere un grande Impero, come lo stesso Ricci deve constatare ed ammirare. Anche se nel capitolo si accenna a qualche personaggio ed evento storico – e non si potrebbe fare diversamente per un pubblico, come quello occidentale, che appariva sguarnito degli elementi essenziali della storia cinese –, poi però allo scrittore interessa maggiormente comunicare il sistema istituzionale cinese, che non ha corrispondenti nel nostro mondo, per quanto Ricci cerchi di spiegare i fenomeni, ricorrendo anche a qualche termine ed esempio appartenente al nostro occidente. Del resto è lui stesso a precisare quanto ha in mente di segnalare al lettore.

Non toccherò di questa materia se non quanto viene al proposito di questo sommario; percioché proseguirla come essa richiederebbe esattamente sarebbe cosa da farsi in molti Capitoli. In questo Regno non si usò mai altro che di Governo monarchico di un suolo Signore, senza aver notitia di altro. E nel principio, ancorché fusse un solo Re e signore, con tutto vi erano anco molti signori soggetti al signore Universale, sotto vari titoli, come tra noi, di Duchi, Marchesi e Conti. (Ricci, p.39) Leggi tutto “LA CINA AL TEMPO DI MATTEO RICCI: Il governo.”

La Cina al tempo di Matteo Ricci.

INTRODUZIONE.

Ci rendiamo conto che nei nuovi equilibri geopolitici la Cina vuol essere una presenza sempre più forte e sempre più riconosciuta, con un suo ruolo, che sta cercando di ritagliare. La sua immagine è quella che si è costruita nel corso dei secoli, anche sotto diverse forme istituzionali: è, e rimane sempre, un “impero”: questo termine non sta più a indicare una forma monarchica, come spesso la intendiamo, ma la rappresentazione di un mondo che ingloba al suo interno popoli diversi, culture e lingue differenti, magari anche con il disegno politico di poter allargare più che lo spazio geografico, lo spazio di potere che ogni impero vuole sentire riconosciuto. Noi oggi vediamo la Cina con un sistema politico che sembra sopravvissuto al crollo del comunismo in Russia, dove quel fenomeno si era per primo affermato. Essa è indubbiamente gestita da un apparato che si richiama a quel sistema di governo, anche se viene da osservare quanto sia sopravvissuto del marxismo nella sua ideologia e quanto rimanga del leninismo nella sua gestione di potere. Queste sovrastrutture persistono, soprattutto se si pensa che uno Stato siffatto richiede una struttura di potere da esercitare secondo le forme “autocratiche” del passato, secondo le rigidità di un sistema ideologico che il recente passato ha costruito e contribuito a rafforzare. Ma il sistema imperiale, che poi diventa “imperialistico” appartiene alla storia cinese, che noi conosciamo poco, non avendo costruito, nella scuola, una visione del mondo nella sua integralità, se non per gli addetti ai lavori; e soprattutto ci siamo costruiti una conoscenza indiretta, che spesso legge la storia di quel Paese, come di altri, secondo le categorie occidentali. La stessa Cina, anche nel recente passato, vuol essere considerata secondo le sue proprietà e non secondo uno schema di pensiero “occidentale”: l’incontro fra i due mondi (ma i mondi sono plurali e non semplicemente duali!) richiede una conoscenza e un rispetto reciproco, che deve valere da ambo le parti. Il recente tentativo di ripensare alla famosa “via della seta”, quella che ha consentito nel passato di avviare rapporti, anche di tipo commerciale, fra i due popoli, ci obbliga a considerare meglio la Cina dentro il corso della storia e nel suo rivelarsi a noi non solo in riferimento ai rapporti umani e commerciali che si sono sviluppati, ma anche per la funzione che la Cina si è ritagliata portandola fino ai nostri giorni. Leggi tutto “La Cina al tempo di Matteo Ricci.”

La marcia su Roma : Verso la dittatura

VERSO LA DITTATURA

Il fascismo è abbinato alla dittatura, perché di fatto essa si è realizzata in Italia con gli uomini che venivano da quel partito e da quella impostazione, come pure dall’uso della violenza fisica, che in realtà non era un fenomeno e un mezzo gestiti in maniera esclusiva da quel partito. Del resto anche la forma dittatoriale di potere e di occupazione del governo non può essere considerato un obiettivo da raggiungere perseguito solo da quel partito, anche se per l’Italia, gli anni della dittatura hanno visto il fascismo dominare la scena politica. Eppure, come stanno a testimoniare gli inizi del governo di Mussolini, anche se il ricorso alla violenza non è mancato, anche se i progetti e i metodi usati facevano presagire un esito che conduceva verso il totalitarismo, i primi passi non possono essere considerati già manifestazione di un esercizio del potere in forma dittatoriale. Del resto qualcuno ancora sperava che il fascismo potesse essere assorbito dal sistema parlamentare, una volta fatto entrare in esso: anche i partiti di sinistra, i più ferocemente avversi al fascismo e all’uomo che lo rappresentava, non immaginavano che esso potesse prosperare, in presenza di elezioni che vedevano le forze di sinistra aumentare il numero dei loro rappresentanti, per quanto ancora in maniera insufficiente. Mussolini stesso era consapevole, che a ricercare il consenso popolare mediante le elezioni, non poteva coltivare la prospettiva di venirne fuori vincente, se non cambiando e adeguando ai suoi obiettivi la legge elettorale. Per questo motivo elaborò la Legge Acerbo, e con essa poté vincere le elezioni, senza per questo avere di fatto una Camera, in cui ci fosse un unico partito: solo così la Camera poteva essere esautorata e resa perfettamente inutile. Proprio nell’immediato periodo successivo alle elezioni si consumò la trasformazione, da parte di Mussolini, dello Stato italiano da regno costituzionale a dittatura di fatto. Dobbiamo definirla così, perché in realtà, almeno formalmente venne mantenuto lo Statuto albertino e l’Italia rimaneva ancora una monarchia: il Capo dello Stato era il Re, non il Duce; ma il Capo del governo, pur nominato dal Re, gestiva il potere in modo assoluto e senza limiti particolari, se non quello di avere una figura superiore, il sovrano, che era a capo delle forze armate. Si potrebbe parlare di una sorta di diarchia, che comunque risultava vantaggiosa per il capo del governo. I partiti, minoritari inizialmente nel Parlamento, per essere poi del tutto aboliti, speravano di poter trovare nel sovrano un punto di appoggio, a garanzia, non solo formale, dello Statuto; ma dal Re non venne a loro alcun appoggio, se non nel momento più drammatico della storia italiana, quando con la guerra ormai persa, si doveva uscirne in maniera dignitosa. Leggi tutto “La marcia su Roma : Verso la dittatura”

La marcia su Roma : 28 ottobre 1922

Mussolini riceve l’incarico dal re

IL FASCISMO AL GOVERNO:

FU VERA RIVOLUZIONE?

PRODROMI DI UNA DITTATURA

NEL DISCORSO ALLA CAMERA

NELLA LEGGE ELETTORALE

 

INTRODUZIONE:

MUSSOLINI, NON IL PNF, AL POTERE

La “marcia su Roma” si concluse con un compromesso fra Mussolini e le forze politiche dello Stato liberale. Episodio in sé modesto, anche come “colpo di stato”, essa non è considerata dagli storici una svolta di grande importanza nella storia dell’Italia contemporanea e dello stesso fascismo: il vecchio ordine non era stato distrutto e il nuovo governo presentato da Mussolini senza speciale ardore rivoluzionario, era simile al risultato di una tradizionale operazione trasformista di collaborazioni temporanee. (…) Piuttosto che una marcia su Roma i fascisti la consideravano simbolicamente una marcia contro Roma … (Gentile (I), p.323)

Fu un vero e proprio colpo di mano? quello che oggi si potrebbe definire un “golpe”? Il potere non venne raggiunto con una prova di forza, come poteva sembrare dalle parole roboanti, dette alla vigilia, e dall’ammassamento di uomini in armi, ma non inquadrati nell’esercito, e incitati a muoversi sulla capitale per una dimostrazione di piazza. Questa però non ci fu. E non ci fu da parte del futuro duce un atto “teatrale” per raggiungere l’obiettivo di assumere le responsabilità di governo. Gli venne, certo, affidato l’incarico di formarlo su esplicita richiesta da parte del Capo dello Stato, il quale non mancò di indicare alcune figure che dovevano entrare nella compagine governativa. Tutto ciò avveniva secondo le consuetudini costituzionali. Perciò non si può parlare di “nascita della dittatura”, in questa circostanza, anche se poi si fisserà questa data come l’inizio di un sistema che è certamente stato “dittatoriale”. Più che fermare l’attenzione sull’episodio in sé, che non ha nulla di clamoroso e neppure di drammatico, si potrebbe dire che ci fu l’avvicendamento da un governo all’altro, tenuto conto che il ministero Facta era già di fatto dimissionario e che la continua ricerca di uomini, disponibili ad assumere l’incarico, era rimasta infruttuosa, anche per i veti incrociati, e soprattutto perché si riteneva che si dovesse cercare un outsider, uno letteralmente fuori del sistema, in grado di evitare gli scontri e di impedirli, vista l’impasse pericolosa che aveva sullo sfondo pulsioni di natura rivoluzionaria. Ma qui la rivoluzione non si prospettava affatto da parte del fascismo, che veniva ritenuto certamente pericoloso e nel contempo si riteneva di poter assorbire, diversamente da quello che stava succedendo sul fronte della sinistra, dove i massimalismi potevano risultare debordanti e di fatto contenibili solo dai mezzi e dai metodi fascisti.  Leggi tutto “La marcia su Roma : 28 ottobre 1922”

MARCIA SU ROMA

Benito Mussolini, durante la marcia su Roma, con i quadrumviri:

da sinistra Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi.

Il militante in primo piano a sinistra copre la figura di Michele Bianchi.

La foto fu scattata il 30 ottobre

quando Mussolini arrivò a Roma, convocato da Vittorio Emanuele III.

GLI EVENTI

E IL GIUDIZIO STORICO:

UN FATTO EVERSIVO

E COSTITUZIONALE

1

INTERPRETAZIONE DEL FATTO

Questo evento (la marcia su Roma) e questa data (il 28 ottobre 1922) sono ormai entrati nei libri di storia come l’avvio del regime fascista in Italia. Contribuì a questa lettura già lo stesso regime, che nella nuova datazione, obbligatoria sui documenti ufficiali, si faceva partire tutto da lì e naturalmente tendeva a presentare i fatti successi con un alone mitico e, per certi versi, addirittura epico, quasi fosse stato concepito e realizzato un evento grandioso e glorioso, come se fosse stata combattuta una battaglia degna di essere enfatizzata, e di lì derivasse qualcosa di decisivo che segnava una sorta di spartiacque. Il fascismo già esisteva e la sua nascita è da far risalire al 1919, quando a Milano vengono fondati i Fasci di combattimento. Invece il regime, inteso come sistema totalitario, non è propriamente realizzato qui, se il governo presieduto da Mussolini è ancora di coalizione e i partiti hanno pur sempre voce in Parlamento. L’azione, considerata di forza e messa in campo con manipoli di milizie non inquadrate nell’esercito, si rivela di fatto una manifestazione, che poteva diventare eversiva e che in realtà non ha prodotto alcunché. Piuttosto il fatto mediante il quale si può dire che prende avvio la dittatura fascista è il famoso discorso di Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925. Tuttavia già nell’insediamento del suo primo governo le parole usate da Mussolini non lasciano dubbi circa la maniera con cui egli vuole prendere e tenere il potere e di fatto dall’incarico ricevuto nell’ottobre 1922 egli diventa Capo del governo, che poi presiedette fino al Gran Consiglio del 25 luglio 1943. I giudizi storici, che furono – e sono ancora – emessi sugli inizi della dittatura, sono di fatto legati a questo episodio, che fu ingigantito dal regime stesso e che invece deve essere meglio riletto, anche per capire la natura di certi eventi. Il partito, che qui pretende di avere la gestione del governo, nonostante l’esigua rappresentanza in Parlamento, sulla base dei risultati elettorali, proprio per questa sua determinazione, e per i fatti che accompagnano la sua richiesta di avere e di esercitare direttamente il potere, con il ricorso alla violenza, esprime parole e azioni che devono essere considerate di natura eversiva. Lo dimostra mettendo in campo uomini armati che convergono su Roma; nello stesso tempo si deve riconoscere che sia i dirigenti di partito, sia gli affiliati che vengono messi in campo esprimono la volontà di andare contro la legalità. E tuttavia non viene prodotto nulla di anticostituzionale, se di fatto è il re a chiamare Mussolini al governo. Insomma, la lettura da fare circa quanto è successo in quei momenti, non può essere lasciata alla retorica usata dal regime, quando lo diventa; e neppure va considerata a partire dalla retorica opposta che maschera la reale incapacità dei partiti di opposizione di comprendere i fenomeni in corso e di porvi gli argini necessari. Una lettura più attenta di ciò che è successo in quel giorno deve servire a comprendere eventi analoghi, mai identici, che possono generarsi e dare origine a fenomeni sicuramente aberranti. Se davvero questa “marcia”, poi ostentata con la figura possente del capo del fascismo che sta avanti alle sue “truppe di occupazione” – ma questo non avvenne affatto – è da considerarsi l’episodio emblematico della nascita di una dittatura, come il regime voleva e come i partiti d’opposizione hanno pure pensato, allora noi dovremmo vedervi una occupazione di stampo militare che non ci fu.

FU UN COLPO DI STATO? Leggi tutto “MARCIA SU ROMA”