DANTE NELLA FIRENZE DEL SUO TEMPO

DANTE E FIRENZE: UN AMORE TORMENTATO

Il rapporto tra Firenze e il suo più noto cittadino, che è anche il suo massimo poeta, è piuttosto burrascoso, tormentato, non ancora del tutto sopito, se si pensa al fatto che lui non vi è sepolto e che non vi troverà mai sepoltura. E le polemiche per questo motivo persistono. Dante è vissuto in anni molto agitati, in cui le lotte intestine alla città erano frequenti, e soprattutto molto sanguinose, tali da travolgere lo stesso poeta, che non vi troverà pace. E tuttavia, per la sua città, Dante coltivò un grande amore, anche a registrarne le degenerazioni, ritenute insanabili. Anche quando sembra che dalle invettive sprigioni odio, risentimento, malanimo, in realtà per Firenze c’è sempre amore, quello che lo fa essere capace di riconoscere, anche agli avversari irriducibili, quella forma di grandezza che fa stagliare bene le figure dei suoi personaggi.

Nei confronti di Firenze egli tende a divenire “Laudator temporis acti”, e perciò ammiratore del buon tempo andato, che sarebbe bello ripristinare, senza mai riuscire a farlo. Evidentemente la città è in fermento e in trasformazione, come ogni realtà umana, in ogni tempo. Ma qui, forse, l’accelerazione per questi mutamenti appariva notevole, anche per gli interessi di tipo economico e finanziario che erano messi in campo.

Firenze era indubbiamente in rapida trasformazione per un accumulo di denaro, che risultava quanto mai consistente e ad ampio raggio dentro la sua popolazione. Gli appetiti apparivano smodati, ma anche le trasformazioni sociali erano rapide e tali da non essere facilmente controllate e controllabili neppure dentro istituzioni politiche forti. Anzi, è proprio il sistema istituzionale che non funziona, e ne sono vittime i cittadini stessi; ne risulterà vittima lo stesso Dante, proprio all’apice della sua carriera politica, che sarà anche la sua rovina.

Dante viene a trovarsi in un periodo di rapide trasformazioni politiche, sociali e soprattutto economiche, mentre sull’orizzonte i sistemi che avevano costruito l’assetto europeo nel Medioevo non tenevano più, e lui pensava di appellarsi ad esse per recuperare un po’ di pace, senza rendersi conto che il mondo andava in ben altre direzioni. Papato ed Impero, le colonne portanti del sistema medievale, vivevano uno scontro che li avrebbe esauriti, mentre i nuovi centri di potere, ma soprattutto le nuove energie economiche, stavano emergendo nei particolarismi diversi, e poi destinati allo scontro, e cioè le città, di notevole vivacità mercantile, e i regni periferici all’impero, che larga parte di storia avrebbero avuto con il loro assetto nazionale. Proprio l’anno della collocazione del grande ideale viaggio nell’oltretomba, narrato nel suo capolavoro, appare come l’anno del tramonto del Medioevo, quando, proprio in occasione del Giubileo, appaiono nuove forze all’orizzonte, per manovrare le quali è necessario un nuovo sistema istituzionale. Dante non sembra rendersi conto; e, forse anche perché travolto dalle circostanze che lo investono personalmente, pensa che sia possibile il rinnovamento facendo appello a ciò che in realtà è al tramonto. Leggi tutto “DANTE NELLA FIRENZE DEL SUO TEMPO”

Giuseppe: UOMO GIUSTO, MODELLO DI OGNI CREDENTE, CUSTODE DI GESU’ E DI MARIA.

UNO SGUARDO NELLA                      CASA DI NAZARETH

Dopo i racconti che riguardano la nascita e “i primi passi” di Gesù, di Giuseppe non si dice più nulla, se non che la famiglia, in seguito al suo “esodo” dall’Egitto, si era trasferita a Nazareth, come se si trattasse di una località su cui ripiegare, non potendo stare in Giudea, dove continuavano ad imperversare gli eredi di Erode. Eppure Nazareth dovrebbe essere la casa abituale di Giuseppe e di Maria! E certamente diventa la residenza abituale di Gesù, visto che poi lui si porta appresso questa qualifica, non del tutto onorevole, se in genere quelli della Galilea non godevano di grande considerazione tra i Giudei.

Poiché Luca dice che aveva circa 30 anni, quando comparve sul Giordano per il battesimo, e che era ritenuto figlio di Giuseppe, anche a non essere stato generato da lui, dovremmo supporre che Gesù sia rimasto in quel villaggio fino a quella età, non avendo alcuna notizia di quel lungo periodo, se non l’episodio di lui dodicenne, avvenuto però a Gerusalemme, nel tempio.

In maniera riassuntiva, Luca parla di una permanenza in quella casa, dove Gesù cresceva in età, sapienza e grazia, rimanendo sottomesso ai suoi genitori. Non si dice nulla propriamente del suo lavoro, una volta avviato ad esso – si suppone – dal padre, come se il suo apprendistato l’abbia fatto nella bottega di colui che poi il vangelo definisce “carpentiere”, per cui Gesù stesso era detto “figlio del carpentiere”. Qui si dovrebbe pensare che la figura di riferimento in questa casa sia stato Giuseppe, sul quale però il vangelo non dice molto e sul quale non lascia trasparire nessun episodio particolare e nessuna parola. Anzi, sembra quasi che, se già in precedenza egli non avesse compiti di rilievo, qui appariva sempre più a margine, fino a scomparire del tutto, come se al momento del distacco da casa di Gesù, Giuseppe non fosse più di questo mondo. Anche ad essere poi designato come “patrono dei morenti”, anche ad essere spesso rappresentato nel letto d’agonia circondato dai suoi cari, noi non abbiamo notizia alcuna della sua dipartita da questo mondo. Giuseppe rimane comunque legato, di fatto, a Nazareth e alla casa dove abitava con la sua famiglia. E qui deve aver trascorso alcuni anni. Solo dopo la sua scomparsa, a quanto pare, Gesù esce di casa.

Per quanto le notizie scarseggino, si potrebbe tentare di chiarire qualcosa a proposito di questo lungo periodo, sempre partendo dai testi evangelici, quelli canonici e quelli apocrifi, con quelle particolari letture che ne vengono date anche dalla devozione diffusa, che ha nelle opere artistiche una particolare forma espressiva, sia perché si rifanno ai vangeli, sia perché cercano di parlare agli occhi e al cuore della gente con una comunicazione più diretta.

Naturalmente sia della casa, sia della bottega, sia delle relazioni familiari che vi si esprimevano, noi qui dobbiamo cercare si far emergere meglio la figura di Giuseppe, che appare spesso “sacrificato”, perché l’attenzione è rivolta giustamente altrove, privilegiando Gesù e sua madre.

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L’Europa di 100 anni fa: LA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO OTTOMANO E LA NASCITA DELLA TURCHIA LAICA E MODERNA

INTRODUZIONE 

La debolezza dell’Impero turco alla vigilia della guerra mondiale

Una delle questioni decisive dell’Ottocento, consegnata anche al secolo successivo, è la realtà dell’Impero turco, rimasto dalla storia come un mondo che sembrava destinato a durare e che invece appariva più che mai in dissoluzione, sia come forma di governo, sia come estensione territoriale. È sempre stato un impero e non solo una nazione perché esso non risulta composto solo da un territorio omogeneo, almeno a livello etnico, ma, in uno spazio, del resto molto esteso, esso comprende popolazioni diverse e non assimilabili fra loro, se non perché riconoscono l’autorità di chi comanda, anche in nome di una ideologia o di un potere di natura religiosa. Qui il sultano, che nel periodo di massima espansione si era rivelato capace di dominare e di guidare soprattutto l’apparato militare, aveva assunto anche una potestà sacra, come depositario dell’eredità religiosa islamica. In nome di questo potere religioso egli esercitava la sua alta autorità anche sulle varie tribù del mondo arabo, sia nel Medio Oriente, sia nel nord Africa. L’espansione verso l’Europa centrale si era fermata nella penisola balcanica, e, dopo la battaglia di Lepanto (1571), quella che sembrava una rapida espansione verso l’Occidente, di fatto venne arrestata, e di lì ebbe inizio un lento ma inesorabile decadimento, che proprio nell’Ottocento ebbe il suo svolgimento e con la prima guerra mondiale il colpo di grazia che avrebbe dovuto abbattere l’impero secolare.

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LEGGENDO MANZONI: LE TRAGEDIE: ADELCHI

Introduzione: una nuova vicenda, una nuova storia

Da poco la tragedia del Carmagnola è stata data alle stampe e già lo scrittore appare insoddisfatto del suo lavoro, sia per le critiche che gli piovono addosso, sia per l’insufficienza che lui avverte presente nell’opera, soprattutto in relazione allo stesso protagonista. Egli lo vuol proporre come innocente a proposito dell’accusa che gli è mossa di tradimento e che lo conduce al patibolo, mentre in realtà è anche lui la pedina di un gioco di brutalità, di inganni, di miserie, che non lo può rendere un uomo senza macchia, un eroe positivo, una sorta di martire della storia. A ben vedere, il personaggio più tormentato, e dunque più tragico, appare emergere dalla fantasia dell’autore e non dalla realtà storica: si tratta di Marco, l’amico del cavaliere, che vive interiormente la tragedia di essere leale alla ragion di Stato e non a quello dell’amicizia. Così il personaggio storico, che dovrebbe essere l’eroe positivo e non idealizzato, appare in tutti i suoi limiti; nondimeno è il personaggio non storico, che tuttavia ha in sé il realismo umano di voler affiorare per i valori umani, che non riesce però a difendere, a diventare di fatto il protagonista. Di qui la ricerca di una figura, quella di Adelchi, che pur inserita in un contesto storico, ben studiato e analizzato, risulta comunque totalmente creata dalla fantasia dello scrittore e proprio per questo emergere con la ricchezza dei valori umani che Manzoni vuol esaltare, incarnandoli in un personaggio veramente grande. Non è lui propriamente l’uomo che la storia esalta, sia perché è un perdente, ma anche perché egli è del tutto abbozzato dalla fantasia di chi scrive. Manzoni si prepara al nuovo lavoro con una ricerca storica ben documentata e, su quello sfondo, i personaggi che risultano meglio definiti e meglio curati sono quelli che la storia ignora e che la fantasia crea.

Ricerche e studi sui Longobardi Leggi tutto “LEGGENDO MANZONI: LE TRAGEDIE: ADELCHI”

LEGGENDO MANZONI: LE TRAGEDIE: IL CONTE DI CARMAGNOLA

 

Introduzione: l’interesse di Manzoni per la tragedia

Ci sono due opere nel lavoro letterario di Manzoni, che sembrano come massi erratici, capitati in un periodo problematico del suo vivere, e che di fatto rimangono tali, perché poi egli non percorse più questa strada, in cui si era cimentato, come era tendenza fare di quei tempi. Si tratta delle tragedie, che rivelano un gusto, tipico di quel momento, soprattutto in ambiti giovanili, come se quel genere fosse l’unico possibile per “accendere … l’animo de’ forti”. Con il tramonto dello spirito rivoluzionario e dell’era napoleonica e con l’avvento della “Restaurazione” sembravano ormai del tutto spenti gli animi, soprattutto per una partecipazione diretta nel vivere sociale: gli ideali di libertà, pur naufragati in mezzo a violenze e a guerre, sembravano ora impossibili da essere perseguiti, e c’era per questo un diffuso disorientamento. Manzoni, pur con la sua fede radicata, attraversava un periodo di tensioni non da poco, anche nel campo che gli era proprio, e che doveva divenire il “suo lavoro”, perché da una parte lo spirito neoclassico, che pur aveva fin qui respirato, non lo appagava con i suoi ideali, divenuti sempre più “mitici”, e il nuovo spirito romantico era ancora tutto da costruire e sembrava ancora una innovazione d’altri luoghi, non radicata nella tradizione della nostra letteratura. A questo si aggiungeva anche il fatto che l’appartenenza ad una scuola significava comunque una presa di posizione politica, in un momento nel quale la restaurazione vigilava per mortificare sul nascere ogni spirito ribelle o anche ogni inclinazione con le innovazioni. “Manzoni, nel ’15, aveva scritto in risposta a un invito dell’Acerbi, direttore dell’austriacante “Biblioteca”, di “non voler entrare in qualsivoglia associazione letteraria”; prima di tutto c’era il rifiuto delle posizioni di quella rivista; ma c’era in lui davvero la renitenza a “proferir giudizi letterari” e a “sentenziare sugli scritti altrui”. Quanto ai “conciliatori”, amico sì, partecipe, anzi guida quando occorresse delle loro idee; ma indipendente. (Ulivi, p. 163) Leggi tutto “LEGGENDO MANZONI: LE TRAGEDIE: IL CONTE DI CARMAGNOLA”

S. Colombano e il suo contributo per l’Europa.

Introduzione: figure e movimenti per l’Europa

La visione dell’Europa non può prescindere dall’apporto che è venuto alla costruzione di questa “idea” (da far diventare sempre più realtà) da parte del monachesimo nel suo insieme, come fenomeno religioso, culturale e soprattutto umano. Dobbiamo parlare di monachesimo nel suo insieme e non solo di alcuni personaggi divenuti famosi, che possono restare come massi erratici, perché ciò che ha lasciato il segno è indubbiamente quanto cogliamo in forti personalità come pure in quell’esercito di persone senza nome, che ha comunque operato sulla scia delle indicazioni ricevute e ha contribuito a creare un humus, uno spirito. S. Benedetto, il padre del monachesimo occidentale, è stato proclamato da Paolo VI patrono d’Europa, a cui poi Giovanni Paolo II ha affiancato i due fratelli greci, Cirillo e Metodio, che sono stati gli apostoli dei popoli slavi. Se per costoro è anche facile pensare all’azione svolta nell’Est europeo contribuendo alla scrittura cirillica, all’evangelizzazione di diversi popoli, allo sviluppo di una coscienza più forte di questa gente per la loro appartenenza alla storia di un continente che sembrava averli emarginati, dall’altra si fa fatica a pensare alla figura di Benedetto come costruttore dell’Europa, visto che il suo personale ambito di azione si è circoscritto al centro Italia. Semmai sono i suoi monaci, poi, ad aver diffuso insieme con il Vangelo, una impostazione di vita che trae linfa dalla Regola, quella da lui scritta per dei principianti. Per ciò che noi conosciamo di Benedetto, a partire dalla sua Regola e dagli scritti del miglior discepolo che ha avuto, e cioè Gregorio Magno, non si dovrebbe parlare di un’azione a vasto raggio nei confronti di un continente, perché non vi è traccia in lui di un disegno che intendesse segnare profondamente i diversi popoli d’Europa. Anzi, egli avrebbe desiderato la “fuga dal mondo” per cercare solitudine, alla stregua di quello che già si era vissuto nei secoli precedenti nel deserto egiziano, dove si erano affollati gli anacoreti, che spesso vivevano da “stiliti”; semmai egli sembrava muoversi più nella linea del monache-simo basiliano, che in Cappadocia cercava di costruire una vita eremitica di isolamento dal mondo, attenuato da forme di collegamento fra i mona-ci, per i quali si prevedeva una vita “cenobitica”. Così nascono in Italia i monasteri che dobbiamo definire benedettini, sia perché dipendono dall’abbazia originaria di Montecassino, sia perché poi in essi vige la Regola benedettina, a cui un po’ tutti in Europa si rifanno, anche quando sorgo-no nuove forme di vita monastica, come quelle attorno al Mille.

Monachesimo e Barbari

Non c’era, insomma, nella mens di Benedetto la costruzione di un’Europa come visione di vita comune fra diverse popoli; e tuttavia quello che poi si costruì nei diversi centri monastici ebbe ripercussioni per la stessa vita Leggi tutto “S. Colombano e il suo contributo per l’Europa.”

I compagni del crocifisso: il centurione.

UOMO SOLO, SOLO UOMO

Solitamente nella crocifissione di Gesù balza all’occhi la totale solitudine di Cristo, che viene, sì, innalzato da terra ed elevato al cielo, ma di fatto, in quanto pontefice, appare come il naturale ponte fra Dio e gli uomini, in una posizione che sembra vederlo reietto dagli uomini e abbandonato da Dio. Eppure, proprio per questo, egli diventa il prediletto di Dio e diventa il Salvatore degli uomini. Questa sua posizione dobbiamo imparare a riconoscere, volendo esprimergli riconoscenza per quello che ha fatto e per quello che ha vissuto, lui solo. Per quella particolare collocazione in croce si potrebbe dire che egli ci rappresenta tutti davanti a Dio nell’offerta della nostra umanità salvata, e ci rappresenta Dio che per raggiungere noi assume questa stessa umanità segnata dal peccato, anche a non aver, lui, commesso nessun peccato. Nella sua solitaria posizione egli è il solo uomo che si eleva a Dio e che ci eleva tutti a Dio; egli è anche l’uomo solo in cui Dio, mettendo le sue compiacenze, investe il suo vivere e fa diventare divino il nostro vivere umano. Nel momento della morte, con le parole che gli evangelisti mettono in bocca al centurione, egli viene riconosciuto come l’uomo di Dio e come il solo giusto fra gli uomini, che sono, in realtà, tutti colpevoli. Questa sua fisionomia dobbiamo cercare di cogliere meditando su colui che, testimone del suo morire o del suo vivere la morte, ce lo rappresenta come il solo vero uomo, che proprio per questo è anche vero Dio!

UN VERO COMPAGNO DI DIO Leggi tutto “I compagni del crocifisso: il centurione.”

I compagni del crocifisso: il buon ladrone.

GESU’ SOLO CON UN LADRO

Secondo la testimonianza dell’evangelista Giovanni, l’apostolo Tommaso aveva detto con molta chiarezza che tutti sarebbe stati pronti ad andare a morire con lui, quando Gesù aveva preso la decisione di andare in Giudea per l’amico Lazzaro ormai morto, nonostante il clima poco favorevole nei suoi confronti. E altrettanto, se non con più forza, aveva sostenuto Pietro nelle ore immediatamente precedenti la tragedia che li avrebbe travolti. Era pronto a dare la vita per lui; eppure – ed è il Signore stesso ad avvisarlo – di lì a poco lo avrebbe rinnegato, proprio per salvare la pelle. Insomma, con il Maestro non c’è nessuno dei suoi, perché abbandonatolo, nel momento della cattura, se ne fuggirono e non si fecero più vedere, andando a rintanarsi nel cenacolo per paura dei Giudei. L’unico a trovarsi a morire davvero con lui è il buon ladrone. Era costretto, in realtà, dalla condanna a scontare quella pena; e tuttavia in quella posizione lo riconosce innocente, lo riconosce amico, lo riconosce Dio e Salvatore! Ancora una volta dobbiamo riconoscere che Gesù è veramente solo sulla croce, ad ha la sola compagnia di un … ladro assassino. Evidentemente egli ci vuole insegnare che la croce è tale se abbracciata e vissuta in solitudine, perché solo così apre alla vera solidarietà e alla eterna comunione.

IL BUON LADRONE:

VERO COMPAGNO NELLA CROCE E NELLA GLORIA Leggi tutto “I compagni del crocifisso: il buon ladrone.”

I compagni della passione: Il Cireneo.

GESU’ DA SOLO

E NOI SOLIDALI CON LUI

Nelle ore del dolore e delle brutalità, Gesù appare solo. Nessuno dei suoi è con lui, se non Maria, Giovanni e le donne sotto la croce. Il suo grido nello spasimo delle sofferenze fisiche si eleva al cielo, che sembra ancora più opaco, più cupo, più vuoto, e da cui non arriva nessun segnale, come invece era successo in altre circostanze: nessuna voce del Padre si fa sentire ad incoraggiamento e sostegno, nessun gesto dell’Onnipotente arriva a farlo uscire da tanto male. È talmente solo che deve gridare a Dio: “ … perché mi hai abbandonato?”. Sente già di essere lasciato solo in simili frangenti e proprio da Colui che egli continua ad invocare: “Dio mio, Dio mio …”. Lo considera ancora suo, mentre il Padre sembra non degnarlo più neppure di uno sguardo compassionevole. Sembra … e tut-tavia Gesù non è proprio solo totalmente, perché accanto a lui si vedono persone, che noi potremmo definire suoi compagni, coloro che assumono la sua stessa condizione, prendendo la croce come il cireneo, finendo in croce come il ladro pentito, stando sotto la croce a difenderlo come il centurione. Sono i suoi compagni, nel vero senso della parola, perché condividono quel pane amaro che è la sua sofferenza, perché gli stanno vicino, condividendo la medesima situazione, compreso il centurione con la sua dichiarazione che lo fa stare dalla parte del condannato. Questa compagnia vogliamo cercare di considerare, perché noi pure dobbiamo muoverci sulla medesima strada e portare la stessa croce.

IL CIRENEO:  SE QUALCUNO VUOL VENIRE DIETRO A ME … Leggi tutto “I compagni della passione: Il Cireneo.”

Leopardi.

Introduzione: 200 anni dagli Idilli

Forse non a tutti è noto che proprio 200 anni fa Leopardi scriveva quegli idilli, che poi sono divenuti famosi sui banchi di scuola e che tutti abbiamo appreso come ciò che di meglio appartiene non solo alla produzione leopardiana, ma in generale alla nostra letteratura. E in quell’anno si consuma un’esperienza che segna profondamente l’animo di Leopardi e lo rende ormai maturo per ulteriori traguardi della sua breve, intensa, travagliata esistenza. Proviamo allora a conoscere più attentamente questo passaggio di vita che lascia traccia profonda nel suo animo e che offre espressioni davvero indimenticabili di straordinaria poesia, che è tanta parte anche nella nostra formazione umana. È ben noto il travaglio di questo ragazzo nella sua casa paterna, dove si consuma un tormentato periodo, culminato nel tentativo di fuga proprio nel 1819, destinato al fallimento per la sorveglianza paterna, che voleva tenere alla larga il figlio da ideologie e da avventure che egli riteneva nefaste. D’altra parte anche a trovarsi nella periferia estrema di uno Stato, quello pontificio, ormai periferico rispetto al resto del concitato mondo europeo, immerso in quegli anni nel furore rivoluzionario e poi nelle campagne avventurose di Napoleone, Leopardi non poteva non risentire del “rumore” proveniente dalle nuove idee sempre più galoppanti, a dispetto di tutti i tentativi dei restauratori di cancellarne i segni, i ricordi, le velleità. Di fatto egli è rinchiuso nella casa di Recanati, appartenente ad una nobiltà di provincia, molto “codina”, in un mondo, quello dello Stato pontificio, sempre più chiuso alla nuova temperie che l’aveva sconvolto. Fin dall’infanzia egli si dedica allo studio che sarà per lui “matto e disperatissimo”, come lui stesso lo definisce; riceve una formazione indubbiamente di prim’ordine da due preti, uno dei quali poi decide di lasciarlo perché non ha più nulla da insegnargli. Nella sua precoce adolescenza comincia già sperimentazioni poetiche, che, anche ad essere prove ancora “scolastiche” per le frequentazioni che egli ha sui libri, già rivelano il suo bisogno di spaziare … nell’infinito! Leggi tutto “Leopardi.”