IL FASCISMO AL GOVERNO:
FU VERA RIVOLUZIONE?
PRODROMI DI UNA DITTATURA
NEL DISCORSO ALLA CAMERA
NELLA LEGGE ELETTORALE
INTRODUZIONE:
MUSSOLINI, NON IL PNF, AL POTERE
La “marcia su Roma” si concluse con un compromesso fra Mussolini e le forze politiche dello Stato liberale. Episodio in sé modesto, anche come “colpo di stato”, essa non è considerata dagli storici una svolta di grande importanza nella storia dell’Italia contemporanea e dello stesso fascismo: il vecchio ordine non era stato distrutto e il nuovo governo presentato da Mussolini senza speciale ardore rivoluzionario, era simile al risultato di una tradizionale operazione trasformista di collaborazioni temporanee. (…) Piuttosto che una marcia su Roma i fascisti la consideravano simbolicamente una marcia contro Roma … (Gentile (I), p.323)
Fu un vero e proprio colpo di mano? quello che oggi si potrebbe definire un “golpe”? Il potere non venne raggiunto con una prova di forza, come poteva sembrare dalle parole roboanti, dette alla vigilia, e dall’ammassamento di uomini in armi, ma non inquadrati nell’esercito, e incitati a muoversi sulla capitale per una dimostrazione di piazza. Questa però non ci fu. E non ci fu da parte del futuro duce un atto “teatrale” per raggiungere l’obiettivo di assumere le responsabilità di governo. Gli venne, certo, affidato l’incarico di formarlo su esplicita richiesta da parte del Capo dello Stato, il quale non mancò di indicare alcune figure che dovevano entrare nella compagine governativa. Tutto ciò avveniva secondo le consuetudini costituzionali. Perciò non si può parlare di “nascita della dittatura”, in questa circostanza, anche se poi si fisserà questa data come l’inizio di un sistema che è certamente stato “dittatoriale”. Più che fermare l’attenzione sull’episodio in sé, che non ha nulla di clamoroso e neppure di drammatico, si potrebbe dire che ci fu l’avvicendamento da un governo all’altro, tenuto conto che il ministero Facta era già di fatto dimissionario e che la continua ricerca di uomini, disponibili ad assumere l’incarico, era rimasta infruttuosa, anche per i veti incrociati, e soprattutto perché si riteneva che si dovesse cercare un outsider, uno letteralmente fuori del sistema, in grado di evitare gli scontri e di impedirli, vista l’impasse pericolosa che aveva sullo sfondo pulsioni di natura rivoluzionaria. Ma qui la rivoluzione non si prospettava affatto da parte del fascismo, che veniva ritenuto certamente pericoloso e nel contempo si riteneva di poter assorbire, diversamente da quello che stava succedendo sul fronte della sinistra, dove i massimalismi potevano risultare debordanti e di fatto contenibili solo dai mezzi e dai metodi fascisti.
Da parte del sistema istituzionale, monarchia e Parlamento, non ci si immaginava affatto che Mussolini fosse la soluzione inevitabile per impedire un paventato clima rivoluzionario, mediante il quale ci si figurava qualcosa di analogo a quanto era successo in Russia e a quanto continuava a succedere con quella forma di instabilità che era la guerra civile. Di fatto i fascisti erano avvertiti come mestatori e alla base dei disordini; ma essi potevano essere assorbiti al sistema nella misura in cui potevano essere responsabilizzati dentro il sistema parlamentare. Mussolini, presentandosi in Parlamento avrebbe dovuto smorzare i toni battaglieri e contenere quanti avevano adottato la violenza come sistematica forma di imposizione della propria visione della politica. Se il Re e le forze parlamentari, legati al sistema costituzionale, non temevano la deriva dittatoriale dei fascisti, non si rendevano conto di ciò che effettivamente era quel movimento, ben prima che si presentasse come un partito dentro il sistema dei partiti. Il fascismo, in realtà, si era presentato come altro rispetto ai partiti tradizionali, e perciò in contrapposizione, vanificando la speranza che, assunto il potere, esso potesse rimanere assorbito dal sistema. Questo, in realtà, era morente! Mancava una considerazione più attenta del fenomeno fascista, che alimentato con le violenze, non poteva così facilmente assorbirle o addirittura eliminarle. Nel quadro di quei giorni ciascuno rivelava di voler raggiungere il proprio obiettivo immaginando di riuscire ad assorbire chi si riteneva un ostacolo, senza che in realtà lo fosse veramente. Ciascuno, dunque, giocava le proprie carte, cercando di barare; ma chi risultava il baro “migliore” nel suo gioco era proprio Mussolini: egli metteva in campo quanto poteva servire per avere e per detenere, con il governo, il potere nel Paese. Alle debolezze dei vecchi apparati, incapaci di vedere le vere questioni sull’orizzonte, e più che mai convinti di poter assorbire una fenomeno, evidentemente non capito, si contrapponeva un movimento, che, pur con la convinzione di poter assumere le redini del governo, non era ancora in grado di esprimere lucidità nei suoi obiettivi e persino nei mezzi da usare per raggiungere questi risultati. In questo quadro, dove ciascuno dei protagonisti cerca di farsi avanti dicendo di operare in nome e in favore del popolo, quest’ultimo appariva più che mai stanco dei disordini, reso insicuro dalle violenze incontrollate, incapace di avvertire i reali pericoli che stava correndo una democrazia fragile, come si presentava allora l’Italia. Ovviamente non erano diffusi gli organi di stampa per condizionare o comunque guidare un’opinione pubblica frastornata e per nulla consapevole della posta in gioco. In effetti l’opinione pubblica non c’è ancora e non è debitamente formata per contenere i pericoli sull’orizzonte. Leggi tutto “La marcia su Roma : 28 ottobre 1922”