La marcia su Roma : 28 ottobre 1922

Mussolini riceve l’incarico dal re

IL FASCISMO AL GOVERNO:

FU VERA RIVOLUZIONE?

PRODROMI DI UNA DITTATURA

NEL DISCORSO ALLA CAMERA

NELLA LEGGE ELETTORALE

 

INTRODUZIONE:

MUSSOLINI, NON IL PNF, AL POTERE

La “marcia su Roma” si concluse con un compromesso fra Mussolini e le forze politiche dello Stato liberale. Episodio in sé modesto, anche come “colpo di stato”, essa non è considerata dagli storici una svolta di grande importanza nella storia dell’Italia contemporanea e dello stesso fascismo: il vecchio ordine non era stato distrutto e il nuovo governo presentato da Mussolini senza speciale ardore rivoluzionario, era simile al risultato di una tradizionale operazione trasformista di collaborazioni temporanee. (…) Piuttosto che una marcia su Roma i fascisti la consideravano simbolicamente una marcia contro Roma … (Gentile (I), p.323)

Fu un vero e proprio colpo di mano? quello che oggi si potrebbe definire un “golpe”? Il potere non venne raggiunto con una prova di forza, come poteva sembrare dalle parole roboanti, dette alla vigilia, e dall’ammassamento di uomini in armi, ma non inquadrati nell’esercito, e incitati a muoversi sulla capitale per una dimostrazione di piazza. Questa però non ci fu. E non ci fu da parte del futuro duce un atto “teatrale” per raggiungere l’obiettivo di assumere le responsabilità di governo. Gli venne, certo, affidato l’incarico di formarlo su esplicita richiesta da parte del Capo dello Stato, il quale non mancò di indicare alcune figure che dovevano entrare nella compagine governativa. Tutto ciò avveniva secondo le consuetudini costituzionali. Perciò non si può parlare di “nascita della dittatura”, in questa circostanza, anche se poi si fisserà questa data come l’inizio di un sistema che è certamente stato “dittatoriale”. Più che fermare l’attenzione sull’episodio in sé, che non ha nulla di clamoroso e neppure di drammatico, si potrebbe dire che ci fu l’avvicendamento da un governo all’altro, tenuto conto che il ministero Facta era già di fatto dimissionario e che la continua ricerca di uomini, disponibili ad assumere l’incarico, era rimasta infruttuosa, anche per i veti incrociati, e soprattutto perché si riteneva che si dovesse cercare un outsider, uno letteralmente fuori del sistema, in grado di evitare gli scontri e di impedirli, vista l’impasse pericolosa che aveva sullo sfondo pulsioni di natura rivoluzionaria. Ma qui la rivoluzione non si prospettava affatto da parte del fascismo, che veniva ritenuto certamente pericoloso e nel contempo si riteneva di poter assorbire, diversamente da quello che stava succedendo sul fronte della sinistra, dove i massimalismi potevano risultare debordanti e di fatto contenibili solo dai mezzi e dai metodi fascisti. 

Da parte del sistema istituzionale, monarchia e Parlamento, non ci si immaginava affatto che Mussolini fosse la soluzione inevitabile per impedire un paventato clima rivoluzionario, mediante il quale ci si figurava qualcosa di analogo a quanto era successo in Russia e a quanto continuava a succedere con quella forma di instabilità che era la guerra civile. Di fatto i fascisti erano avvertiti come mestatori e alla base dei disordini; ma essi potevano essere assorbiti al sistema nella misura in cui potevano essere responsabilizzati dentro il sistema parlamentare. Mussolini, presentandosi in Parlamento avrebbe dovuto smorzare i toni battaglieri e contenere quanti avevano adottato la violenza come sistematica forma di imposizione della propria visione della politica. Se il Re e le forze parlamentari, legati al sistema costituzionale, non temevano la deriva dittatoriale dei fascisti, non si rendevano conto di ciò che effettivamente era quel movimento, ben prima che si presentasse come un partito dentro il sistema dei partiti. Il fascismo, in realtà, si era presentato come altro rispetto ai partiti tradizionali, e perciò in contrapposizione, vanificando la speranza che, assunto il potere, esso potesse rimanere assorbito dal sistema. Questo, in realtà, era morente! Mancava una considerazione più attenta del fenomeno fascista, che alimentato con le violenze, non poteva così facilmente assorbirle o addirittura eliminarle. Nel quadro di quei giorni ciascuno rivelava di voler raggiungere il proprio obiettivo immaginando di riuscire ad assorbire chi si riteneva un ostacolo, senza che in realtà lo fosse veramente. Ciascuno, dunque, giocava le proprie carte, cercando di barare; ma chi risultava il baro “migliore” nel suo gioco era proprio Mussolini: egli metteva in campo quanto poteva servire per avere e per detenere, con il governo, il potere nel Paese. Alle debolezze dei vecchi apparati, incapaci di vedere le vere questioni sull’orizzonte, e più che mai convinti di poter assorbire una fenomeno, evidentemente non capito, si contrapponeva un movimento, che, pur con la convinzione di poter assumere le redini del governo, non era ancora in grado di esprimere lucidità nei suoi obiettivi e persino nei mezzi da usare per raggiungere questi risultati. In questo quadro, dove ciascuno dei protagonisti cerca di farsi avanti dicendo di operare in nome e in favore del popolo, quest’ultimo appariva più che mai stanco dei disordini, reso insicuro dalle violenze incontrollate, incapace di avvertire i reali pericoli che stava correndo una democrazia fragile, come si presentava allora l’Italia. Ovviamente non erano diffusi gli organi di stampa per condizionare o comunque guidare un’opinione pubblica frastornata e per nulla consapevole della posta in gioco. In effetti l’opinione pubblica non c’è ancora e non è debitamente formata per contenere i pericoli sull’orizzonte. Leggi tutto “La marcia su Roma : 28 ottobre 1922”

MARCIA SU ROMA

Benito Mussolini, durante la marcia su Roma, con i quadrumviri:

da sinistra Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi.

Il militante in primo piano a sinistra copre la figura di Michele Bianchi.

La foto fu scattata il 30 ottobre

quando Mussolini arrivò a Roma, convocato da Vittorio Emanuele III.

GLI EVENTI

E IL GIUDIZIO STORICO:

UN FATTO EVERSIVO

E COSTITUZIONALE

1

INTERPRETAZIONE DEL FATTO

Questo evento (la marcia su Roma) e questa data (il 28 ottobre 1922) sono ormai entrati nei libri di storia come l’avvio del regime fascista in Italia. Contribuì a questa lettura già lo stesso regime, che nella nuova datazione, obbligatoria sui documenti ufficiali, si faceva partire tutto da lì e naturalmente tendeva a presentare i fatti successi con un alone mitico e, per certi versi, addirittura epico, quasi fosse stato concepito e realizzato un evento grandioso e glorioso, come se fosse stata combattuta una battaglia degna di essere enfatizzata, e di lì derivasse qualcosa di decisivo che segnava una sorta di spartiacque. Il fascismo già esisteva e la sua nascita è da far risalire al 1919, quando a Milano vengono fondati i Fasci di combattimento. Invece il regime, inteso come sistema totalitario, non è propriamente realizzato qui, se il governo presieduto da Mussolini è ancora di coalizione e i partiti hanno pur sempre voce in Parlamento. L’azione, considerata di forza e messa in campo con manipoli di milizie non inquadrate nell’esercito, si rivela di fatto una manifestazione, che poteva diventare eversiva e che in realtà non ha prodotto alcunché. Piuttosto il fatto mediante il quale si può dire che prende avvio la dittatura fascista è il famoso discorso di Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925. Tuttavia già nell’insediamento del suo primo governo le parole usate da Mussolini non lasciano dubbi circa la maniera con cui egli vuole prendere e tenere il potere e di fatto dall’incarico ricevuto nell’ottobre 1922 egli diventa Capo del governo, che poi presiedette fino al Gran Consiglio del 25 luglio 1943. I giudizi storici, che furono – e sono ancora – emessi sugli inizi della dittatura, sono di fatto legati a questo episodio, che fu ingigantito dal regime stesso e che invece deve essere meglio riletto, anche per capire la natura di certi eventi. Il partito, che qui pretende di avere la gestione del governo, nonostante l’esigua rappresentanza in Parlamento, sulla base dei risultati elettorali, proprio per questa sua determinazione, e per i fatti che accompagnano la sua richiesta di avere e di esercitare direttamente il potere, con il ricorso alla violenza, esprime parole e azioni che devono essere considerate di natura eversiva. Lo dimostra mettendo in campo uomini armati che convergono su Roma; nello stesso tempo si deve riconoscere che sia i dirigenti di partito, sia gli affiliati che vengono messi in campo esprimono la volontà di andare contro la legalità. E tuttavia non viene prodotto nulla di anticostituzionale, se di fatto è il re a chiamare Mussolini al governo. Insomma, la lettura da fare circa quanto è successo in quei momenti, non può essere lasciata alla retorica usata dal regime, quando lo diventa; e neppure va considerata a partire dalla retorica opposta che maschera la reale incapacità dei partiti di opposizione di comprendere i fenomeni in corso e di porvi gli argini necessari. Una lettura più attenta di ciò che è successo in quel giorno deve servire a comprendere eventi analoghi, mai identici, che possono generarsi e dare origine a fenomeni sicuramente aberranti. Se davvero questa “marcia”, poi ostentata con la figura possente del capo del fascismo che sta avanti alle sue “truppe di occupazione” – ma questo non avvenne affatto – è da considerarsi l’episodio emblematico della nascita di una dittatura, come il regime voleva e come i partiti d’opposizione hanno pure pensato, allora noi dovremmo vedervi una occupazione di stampo militare che non ci fu.

FU UN COLPO DI STATO? Leggi tutto “MARCIA SU ROMA”

Fermo e Lucia: pagine a confronto.

LA REVISIONE DEL ROMANZO

La lettura che oggi si fa del “Fermo e Lucia” ha come scopo la verifica del profondo cambiamento che interviene nella stesura del romanzo, la quale risulta definitiva nell’edizione del 1840-42, quella poi divenuta ben nota al largo pubblico, che però non conosce e non legge la prima redazione. C’è indubbiamente un notevole cambiamento, anche se l’impianto della vicenda rimane immutato: gli stessi personaggi cambiano (alcuni persino nel nome, come lo stesso protagonista, Renzo); l’impostazione del percorso appare alla fine più organico, come se l’argomento stesso venisse maggiormente padroneggiato e meglio costruito; più ancora, il lessico e il linguaggio vengono talmente ripuliti da fluire con maggior scioltezza, e ne trae giovamento il racconto; anche il ridimensionamento di storie collaterali contribuisce a rendere più organico il racconto stesso. Il lavoro che ne deriva richiede parecchi anni, e soprattutto uno sforzo non indifferente in diverse direzioni, anche sotto la spinta di amici, che gli suggeriscono quel genere di limatura, che per lui diventerà revisione totale e, per certi versi, anche radicale.

Una volta finita la prima stesura del romanzo, o, come aveva scritto a Fauriel, il “noioso guazzabuglio”, il “grosso fascio di carte”, prima di mettersi a rielaborare il tutto aveva ascoltato e meditato i suggerimenti degli amici. Fauriel arrivò a Milano nel novembre del ’23, progettando un soggiorno fino all’aprile seguente. I suoi consigli furono preziosi, e la ripresa del lavoro ebbe luogo in gran parte dopo la sua partenza. Da allora in poi, tutto seguì con straordinaria sollecitudine. Il 30 giugno, infatti, lo stampatore, che anche questa volta era il Ferrario, inviava al R. I. Ufficio di Censura “il primo tomo del Romanzo storico del Signore Alessandro Manzoni intitolato Gli Sposi Promessi”. È chiaro, visto le date, che in tre o quattro mesi Manzoni aveva dovuto rifare i dieci capitoli di cui era composto il primo tomo. La tecnica era questa: sul margine di sinistra del foglio riscriveva quanto era stato scritto nella colonna di destra che recava la prima minuta (cioè il Fermo e Lucia). Come sempre succede, le correzioni meno importanti erano rimandate al lavoro sulle bozze. Prevedeva di avere pronto tutto il romanzo per la tipografia prima della fine d’ottobre del ’23; anche se, per esperienza, non si faceva troppe illusioni. Nel render conto nell’agosto a Fauriel, ancora a Parigi, di quanto era riuscito fino allora a fare, “in coscienza” Manzoni osservava: “I materiali sono ricchi: tutto ciò che può far fare agli uomini una triste figura c’è in abbondanza, la sicurezza nell’ignoranza, la presunzione nella stupidità, la sfrontatezza nella corruzione, sono ahimè i caratteri più salienti di quell’epoca, fra molti altri dello stesso genere. Leggi tutto “Fermo e Lucia: pagine a confronto.”

Pasqua 2023: Il Signore è risorto!

CRISTO SIGNORE E’ RISORTO!

Non sta rinchiuso nelle viscere della terra. Vuole raggiungere i suoi.

Si fa vedere ai suoi. Si fa incontrare. Entra nel cuore di ciascuno …

Io l’ho visto! Io l’ho incontrato! Io lo porto con me!

Non è cambiato il quadro del mondo, sempre segnato dal male …

Ma a chi si fa vedere e a chi arriva a vederlo, a incontrarlo, cambia il cuore.

E tu l’hai visto? Tu lo hai incontrato sui tuoi passi? E ti senti cambiato?

Non fa cose prodigiose per convincere. È lui già un prodigio!

La sua “passione” è affascinante, perché lui ci mette e ci rimette …

Qualcuno l’ha davvero visto in giro? E l’ha visto con la passione nel cuore?

Allora ce ne sono altri come lui a portare attorno la passione.

Allora questa sua passione sta diventando il nuovo vivere per tutti.

Veramente è stato visto! Veramente chi l’ha visto si sente più vivo che mai

CRISTO RISORTO E’ ANCORA TRA NOI!

Se ne accorge chi non si lascia sgomentare dal tanto male diffuso …

Lo fa vedere chi invece di lamentarsi si rimbocca le maniche per il bene …

Lo porta con sé chi, credendoci davvero, si fa credibile agli altri …

Lo vive chi non si lascia umiliare e risponde sempre con la passione …

Lo può dire chi ce l’ha dentro e lo sa comunicare come la vera gioia …

Lo testimonia chi, anche a passare dal dolore, ha la speranza di uscirne …

RISORGIAMO ANCHE NOI CON LUI!

HA VINTO E VINCE ANCORA LA MORTE

Questa icona bizantina è la celebrazione della risurrezione con la discesa di Gesù agli Inferi: lì, dopo aver scardinato le porte, che ha sotto i suoi piedi, e che nella voragine aperta rivelano il mondo sotterraneo nel buio più completo, dentro il quale tutti i suoi elementi (chiavi, chiodi, bulloni e cardini …) sono gettati via, il Risorto fa uscire dalle loro tombe i progenitori, Adamo ed Eva, afferrati per i polsi ed elevati a sé con la sua grande energia. Egli è il Risorto immerso nella mandorla divina, simbolo di fertilità e di rinascita, come è l’uovo di Pasqua, e rivestito di un abito luminoso e splendente. Attorno i santi patriarchi e profeti lo indicano come colui nel quale si compiono le promesse divine. Così il mondo può rinascere, come ben si vede nella montagna che sta dietro e che sembra spaccarsi per far uscire il nuovo seme di vita, colui che è davvero, come Vincitore della morte, il Dio della Vita.

IL RISORTO CI PRECEDE

(Omelia di Pasqua di don Primo Mazzolari)

Chi ci rimuoverà la pietra dall’ingresso del sepolcro?” (Marco 16,3). Così di-cevano Maria Maddalena, la madre di Giacomo, e Salome, mentre la mattina del primo giorno della settimana, molto per tempo, andavano al sepolcro per imbalsamare Gesù. Quando si oscurano in noi le grandi certezze della fe-de e della speranza, i nostri problemi divengono meschini, e banali le nostre preoccupazioni. Guardiamoci intorno, o meglio consultiamo noi stessi. Il vecchio mondo s’inabissa, il nuovo faticosamente emerge da un mare di do-lori e di sangue: e noi quasi non ci facciamo caso … Nessuno e niente fer-merà il crollo: nessuno e niente arresterà la novità che cammina con passo sicuro. È come la Pasqua; è la Pasqua: poiché ogni cosa che muore, come o-gni cosa che incomincia a vivere nella morte, è un aspetto della Pasqua. Nes-suno e niente può fermare la Pasqua: non la paura coagulata dei piccoli uo-mini, non le coalizioni dei più divergenti interessi e dei più contrastanti sen-timenti, non le guardie più o meno prezzolate poste a custodia dei sepolcri della storia. Credo ai terremoti che scuotono le profondità della storia, e agli angeli, che li guidano e che siedono sereni sulle pietre rovesciate dei sepol-cri per gli annunci che fanno paura soltanto agli uomini senza fede. A nessu-na delle tre donne che camminano verso il sepolcro canta in cuore l’Alleluia della grande speranza. L’Alleluia è nato spontaneamente dall’infinita bontà del Signore, che, invece di guardare alla nostra mancata attesa, pone il suo sguardo pietoso sul nostro bisogno di vita. La Pasqua si ripete. Quanti cre-dono veramente al Risorto? Quanti, fra gli stessi che in questi giorni affol-lano le chiese, sentono negli attuali avvenimenti il ritorno del Cristo, come sentiamo nell’aria e nei campi il ritorno della primavera? Chi di noi vuole la Pasqua, come un impegno, preso nell’Eucaristia, per la giustizia, la pace e la carità di Cristo nel mondo? Come le donne ci mettiamo in cammino all’alba verso le chiese. Non sappiamo sottrarci a certi misteriosi richiami e abbiamo gli aromi per imbalsamare Gesù … Il nostro sacramento pasquale è ancora u-na volta un atto di pietà, come se il Signore avesse bisogno di piccole pietà: i morti vogliono la pietà, il vivente vuole l’audacia. “Non vi spaventate. Gesù è risorto, non è qui. questo è il luogo dove era stato deposto”. Le civiltà, le culture, la tradizione, le grandezze, perfino le nostre basiliche, possono essere divenute il luogo ove gli uomini di un’epoca l’avevano posto. Il comanda-mento è un altro: “Andate, dite ai discepoli e a Pietro che egli vi precede”. Do-ve? Dappertutto in Galilea e in Samaria, a Gerusalemme e a Roma, nel cena-colo e sulla strada di Emmaus … “Egli vi precede”. Questa è la conseguenza della Pasqua. Se, alzandoci dalla tavola eucaristica, avremo l’animo disposto a tenergli dietro ove egli ci precede, lo vedremo, come egli disse.

IL RISORTO CI ACCOMPAGNA

Signore Risorto, togli anche noi dalle catene della mortalità, che appesantiscono il nostro vivere imprigionato dal male, a tiraci a te, riconoscendo che la tua passione è vita vera.Signore Gesù, apri questo mondo ad accogliere il seme di vita, perché sia più accogliente con chi nasce e con chi si sta formando, più benevolo con chi soffre e vuol vivere meglio, più incoraggiante con chi è debole e sfiduciato.

Tu che trionfi sulle oscurità infernali che ci vogliono mortificare, dona la tua pace di Risorto, perché possiamo portare la vera pace, dona il tuo perdono, perché diventiamo più misericordiosi, dona il tuo amore, perché ora diventi il nostro, quello che dona sempre.

Tu che sei l’eterno Vivente, il comunicatore di Vita, quella vera, raggiungi ciascuno di noi con la viva passione del cuore, riaccendi la speranza, anche a trovarci dentro tanti segni di morte, risveglia quella fede che ci fa sentire la tua persona accanto a noi: con te, solo con te, possiamo rinnovarci e rinnovare questo mondo!

La Pasqua di Cristo nel mondo religioso e culturale russo

MORS ET VITA DUELLO

CONFLIXERE MIRANDO

Sul “fronte russo” continuano a udirsi rumori di guerra, e di lì ci vengono im-magini impressionanti di rovine, lasciate sul territorio ucraino, anche se i morti e i feriti sono da entrambe le parti, in un conflitto dal forte sapore di scontro tra popoli “fratelli”, che hanno avuto una lunga storia in comune. È inevitabile inoltre che siano coinvolte anche le diverse confessioni religiose, le quali si rifanno al comune mondo cristiano: qui i credenti nel Signore, morto in croce e poi risorto, celebrano i medesimi misteri pasquali, pur con forme liturgiche diverse. E tuttavia essi non sanno superare le divisioni e ricercare l’intesa che deve impedire inutili distruzioni, ma più ancora i troppi morti, e più ancora sopire i risentimenti che si fatica a contenere e a impedire. Davanti ad un quadro desolante e sempre più imbarbarito da tanta violenza “gratuita” e selvaggia, non c’è molto spazio per discorsi di natura religiosa, per letture e visioni che parlino di rinascita, di risurrezione. Anzi, a volte anche simili auguri appaiono fuori luogo, intrisi di un sapore molto amaro. Come si fa a di-re che Cristo è risorto, in un quadro di devastazione, che pur si assicura di vo-ler ricostruire come prima? Non sarà più come prima! Non può essere come prima! Come si fa a ripetere l’augurio di pace del Cristo risorto? Raccontando l’evento della risurrezione e più ancora il suo farsi vedere ai discepoli il mattino di Pasqua nel cenacolo, dove entra a porte chiuse ed augura loro la pace, la sua pace, noi osiamo credere che tutto questo si rinnova anche oggi. Ma dove lui appare? Dove lui viene visto? Dove lui irrompe come allora con il suo augurio di pace? Se nel nostro non lontano oriente, invece di veder sorgere un nuovo sole di speranza, vediamo sempre più infittirsi le nubi tenebrose della disperazione, mentre noi vorremmo altre nubi cariche di pioggia, come facciamo a sperare? Ancora sentiamo a noi lontana questa guerra, come se non ne fossimo coinvolti. Ed invece il rischio di sentirci trascinati nel baratro è non molto dissimile da ciò che per le guerre precedenti si avvertiva, pur nella spensieratezza di chi non ci pensa mai, di chi si convince che non potrà mai succedere. Eppure è già successo. E può succedere ancora. Già a partire dalle esperienze passate di conflitti nel cuore dell’Europa ci siamo chiesti come siano stati possibili, laddove una civiltà secolare si era formata sull’umanesimo più che su altre considerazioni. Eppure anche allora si era scatenata l’assurdità del male, poi letta come “banalità”, nonostante la presenza di tanti pensatori animati dallo spirito umanistico. Leggi tutto “La Pasqua di Cristo nel mondo religioso e culturale russo”

PERSONAGGI A CONFRONTO: IL CONTE DEL SAGRATO LA MONACA DI MONZA

PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE

L’idea del romanzo derivò dunque da un cronista e da un economista, fonti del tutto degne di un tenace illuminista. E fu in quelle pagine ch’egli scoprì una grida sui matrimoni impediti. Questo matrimonio contrastato sarebbe stato per lui un buon soggetto per un romanzo, che avrebbe avuto come finale grandioso la peste “che aggiusta ogni cosa”. Così prima di pensare agli avvenimenti e ai personaggi, egli intendeva fissare con sicurezza le condizioni economiche, civili e politiche di un popolo, nella prima metà del XVII secolo. Sino al 1821 Manzoni non parlava che di liriche e di tragedie. Al ritorno da un viaggio a Parigi, pensa sì all’Adelchi, ma l’idea del romanzo si fa più insistente. Non può togliersi dalla testa la lettura di quelle grida, le figure di quei bravi. Nell’aprile del 1821 si mette a scrivere e informa quasi periodicamente il Fauriel dei progressi del suo lavoro. E furono due anni percorsi da una strana forma di allegria, quale non aveva mai provato. Furono insomma gli anni più felici della sua vita. E confesserà al suo amico e parente, il Giorgini (suo genero, avendo sposato la figlia di Manzoni, Vittoria), che alzarsi ogni mattino con le immagini vive del giorno innanzi alla mente, scendere nello studio, tirar fuori dal cassetto dello scrittoio qualcuno di quei soliti personaggi, disporli davanti a sé come tanti burattini, osservarne le mosse, ascoltarne i discorsi, poi mettere in carta e rileggere, era un godimento così vivo come quello di una curiosità soddisfatta. Sembra quasi sentire Pirandello dinanzi ai suoi personaggi, giulivo, anche se la materia che trattava fosse nera e dolorosa. (Macchia, p. 50-52) Leggi tutto “PERSONAGGI A CONFRONTO: IL CONTE DEL SAGRATO LA MONACA DI MONZA”

Nel bicentenario di Fermo e Lucia.

INTRODUZIONE: UNA NUOVA FASE

In un tempo relativamente breve, quello tra il 1821 e i 1823, Manzoni arriva a comporre la storia che poi diventerà famosa nell’edizione del romanzo di vent’anni dopo. Qui elabora la vicenda dei due giovani, con il corollario di altre vicende personali, che potrebbero essere storie a sé stanti, anche se poi vi metterà mano per una revisione sostanziale che riguarda i contenuti, ma soprattutto la forma espressiva. Comunque il canovaccio, che troviamo poi nelle edizioni successive, anche con i tagli doverosi, emerge fin dalla prima stesura ed è il frutto di una ricerca che lo interesserà per molto tempo. Qualcuno ipotizza che si tratti di due storie diverse. Ma così non è, anche se la conduzione della trama presenta differenze e gli stessi personaggi sono proposti con nomi e caratteri diversi. La lettura, a cui ci ha abituati la scuola, è quella condotta sulla edizione definitiva. Qui è utile conoscere il lavoro non indifferente che ha portato al capolavoro, tenendo conto che simile operazione non è solo un lavoro di rifinitura, ma è soprattutto la ricerca di un modo di scrivere che ha prodotto qualcosa che è ben di più di un romanzo, di un libro, di un’opera letteraria: qui è stato avviato un percorso che ha contribuito a costruire la cultura popolare di un Paese, ancora tutto da realizzare.

Non esiste forse romanzo la cui nascita resti più misteriosa. Noi non sappiamo, e forse non sapremo mai, attraverso quali tentativi il Manzoni si sia deciso ad affrontare il romanzo, anzi il romanzo popolare. Quali prove in campo narrativo lo resero sicuro di possedere quanto fosse necessario per lavorare in maniera ampia e decisiva su un genere con cui non si era mai cimentato, e per dar vita a personaggi, all’immagine della sua città, della sua terra e descrivere paesaggi sereni, e delitti e crudeltà atroci? Quale forza, quale determinazione lo spinsero insomma a cacciarsi in un’impresa che fu la sua gloria e il suo tormento … (Macchia, p. 49) Leggi tutto “Nel bicentenario di Fermo e Lucia.”

Figure del mondo spirituale russo: Pavel Alexandrovich Florenskij

INTRODUZIONE.

PAVEL FLORENSKIJ è un religioso e un uomo di scienza, un prete e un padre di famiglia felicemente sposato, un uomo a tutto tondo e di notevole levatura spirituale, che merita di essere conosciuto per la grande passione che ha animato la sua esistenza, facendolo divenire un grande innamorato dello Spirito divino, e nello stesso tempo un raffinato ed esperto ricercatore degli elementi naturali, dentro i quali vedeva all’opera Dio Creatore. Ogni suo percorso di natura scientifica, vissuto con notevole acribia, non gli impediva affatto di scoprire e di sentire lo Spirito divino; come pure ogni sua riflessione sul mondo divino gli permetteva di valorizzare ancor di più il mondo naturale. Si potrebbe dire che non esiste campo dello scibile umano che egli non abbia cercato di accostare con perizia scientifica e nello stesso tempo con finezza di natura spirituale, perché dovunque lo sguardo della mente e del cuore si mette a scrutare, lì trova Dio e trova il meglio per l’essere umano. Anche nei momenti drammatici della sua esistenza non ha mai perso di vista questo sguardo profondo che lo ha immerso in Dio e nello stesso tempo nella natura, che lui considera la migliore espressione del divino. Anche ad essere rigoroso nelle questioni scientifiche e nelle applicazioni della tecnologia, non ha mai perso quel tipo di sensibilità, tutta interiore, che gli ha permesso di elevare la sua mente a Dio e al mondo divino che lui avverte come realtà affascinante e assolutamente necessaria al vivere dell’uomo. Anche a sentirsi travolto dagli eventi non cerca nella fuga la possibilità di sopravvivere, ma vive intensamente la sua testimonianza di fede in una serenità dav-vero sorprendente. Il suo rifugio nella preghiera e nella spiritualità non è affatto una evasione alla ricerca di quella forma di pace che lo tiene al riparo dai mali. Nella sua fede cristiana egli ritiene che la propria passione, quella che vive nelle sofferenze inferte dalla persecuzione, altro non è se non partecipazione piena al vivere di Cristo, che egli ama intensamente e che vuol servire e seguire fino in fondo. Il rifiuto dell’ateismo dominante e di una fede cieca nella scienza senza “anima umana” non si tra-sforma mai in ostilità e in una contrapposizione sterile. Anzi, la sua forte spiritualità, sempre vissuta anche nel pieno della cieca e pregiudiziale persecuzione, cresce più che mai e si rivela quanto mai vivace nei suoi scritti, soprattutto di natura filosofica e teologica, messi a disposizione dei fedeli frequentatori della chiesa, e anche di coloro che hanno a cuore la medesima cultura russa, così intrisa per lui di fede ortodossa, da espor-re, da chiarire, da rendere sempre più luminosa

La cultura in Russia non può prescindere affatto dalla sua immersione nella fede religiosa, che ha sempre accompagnato il corso della storia del popolo russo.

La cultura è la lotta consapevole contro l’appiattimento generale; la cultura consiste nel distacco, quale resistenza al processo di livellamento dell’universo, è l’accrescersi della diversità di potenziale in ogni campo che assurge a condizione di vita, è la contrapposizione all’omologazione, sinonimo di morte. Ogni cultura è un sistema finalizzato e saldo di mezzi atti alla realizzazione e al disvelamento di un valore, adottato come fondamentale e assoluto e dunque fatto assurgere a oggetto di fede. I primi riflessi di questa fede nelle funzioni imprescindibili dell’uomo determinano i punti di vista sui settori inerenti a dette funzioni, ossia sulla realtà oggettiva nella sua interazione con l’uomo. Tali punti di vista sono, sì, categorie, ma non categorie astratte, bensì concrete (si veda la Kabbalah); la loro manifestazione nella pratica è il culto. La cultura, come risulta chiaro anche dall’etimologia, è un derivato dal culto, ossia un ordinamento del mondo secondo le categorie del culto. La fede determina il culto e il culto la concezione del mondo, da cui deriva la cultura. (Il simbolo e la forma in BeL, p. XXVI-XXVII)

LA SUA VICENDA UMANA Leggi tutto “Figure del mondo spirituale russo: Pavel Alexandrovich Florenskij”

Lutto.

Don Ivano comunica con grande dolore la scomparsa della sua amata sorella Rosangela Colombo.

La fede in questi momenti è di grande conforto e alimenta la speranza: la separazione è solo temporanea.

Aggiornamento: i funerali si svolgeranno oggi pomeriggio, 5 gennaio, alle 14.30 presso la Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista a Galbiate. 

NATALE 2022

 

TU VIENI SEMPRE …

In contemplazione del nostro presepio, costruito secondo le forme tradizionali, quelle che ci forniscono la poesia vera del Natale, ci viene proprio da dire a Gesù: “Tu vieni sempre!”.

Tu vieni sempre, ogni anno e in ogni luogo e vieni con le stesse modalità di allora, che secondo le reazioni manifestate a quei tem-pi, ti vedono non accolto, non compreso nel tuo messaggio di vita. Tu vieni sempre come un bambino e noi ti potremmo trovare nelle fattezze di un essere fragile e ancora tutto da formare, perché possa mettersi in questo mondo dove il male vuol farla da padrone. Tu vieni comunque nelle forme umane di un bambino estremamente povero, perché privo di tutto: e ce ne sono ancora in questo mondo, che s’illude di avere molto, di poter godere di tante cose, trascu-rando l’essenziale. Tu vieni sempre nella precarietà del vivere, perché, nel freddo, puoi prendere anche tu una malattia, perché anche contro di te si scatena l’odio omicida, perché tu pure non hai un avvenire sicuro, se ti manca la casa, se ti mancano i mezzi per il sostentamento, se ti manca ogni ale. Eppure vieniforma assistenzi adesso, vieni oggi, vieni in questo momento, non aspettando tempi migliori, non cercando la condizione ideale che possa dare sicurez-za. Vieni nel bel mezzo di una guerra, e ti presenti come principe di pace, disarmato, indifeso, incapace di far del male e senza aspetta-re che siano intavolate trattative, senza che si creino corridoi di-plomatici, senza pretendere nulla, pur potendo tutto. Vieni un po’ dovunque, ma soprattutto dove sta chi soffre, fuggendo da luoghi di estrema miseria e di impossibilità a vivere, perché non c’è futu-ro. Vieni anche qui, nelle terre dell’abbondanza e della infelicità, perché si fatica a coltivare buone relazioni, perché le troppe cose che si hanno non aiutano a cercare ciò che veramente conta e a vivere con più serenità, puntando sulla Provvidenza. Non abbiamo bisogno di supplicarti, caro Gesù: tu vieni sempre; vieni comunque si trovi questo mondo; vieni, perché sai che questo mondo ha sem-pre bisogno di te; oggi più che mai noi contiamo sulla tua presenza e sulla presenza di bambini, che diventeranno gli uomini di do-mani, in grado di portare quello che hai portato tu, e cioè te stesso, la tua persona, la tua vita da mettere in gioco.

TU DEVI VENIRE!

Continuando a stare davanti al nostro presepio con lo sguardo ammirato di chi gusta le cose genuine, ci viene da aggiungere al Signore Bambino: “Tu devi venire!”.

È una bella pretesa aggiungere una richiesta così perentoria, come se tu fossi obbligato con noi, ma soprattutto da noi. In realtà sei tu a volerti legare a noi, sei tu a sentirti in obbligo, sei tu a presentarti in questa maniera. Perché a te, per la tua natura divina, piace stare dalla nostra parte, piace condividere la nostra esistenza, anche ad essere segnata dal male, che a te non piace. Non sei costretto da nessuno, anche se questa è la volontà del Padre, il tuo che è pure il nostro. Noi ti diciamo le cose come stanno nel disegno suo, fatto sulla misura nostra e tua, perché ci rendiamo conto che davvero senza di te non è possibile per noi vivere bene, vivere secondo un disegno positivo e costruttivo. Tu devi venire, perché non possiamo sentire altrove parole così chiare e forti che ci segnano profonda-mente, come le sentiamo da te. Tu devi venire, perché non tro-viamo da nessuna parte chi ci possa qualificare meglio l’esistenza e costruircela sul sacrificio, che davvero valorizza le virtù e le qualità che abbiamo come dono tuo. Tu devi venire, perché solo la tua compagnia ci garantisce un vivere genuino che possa definirsi un “vivere da Dio”. Tu devi venire ancora, in modo particolare oggi, perché allontanandoci da te e pensando di poter fare da soli, finia-mo per smarrirci: e comunque senza il tuo Spirito non ci è possi-bile fronteggiare il male in maniera adeguata. Tu devi venire per-ché il male sta aumentando e noi non siamo in grado di arginarlo, di reagire nella maniera giusta, di restare fermi, forti, fiduciosi, felici. Tu devi venire, perché quelli che si sono messi dalla parte del male si ravvedano, e facendo la giusta penitenza portino ovunque il messaggio che è sempre possibile recedere dal male e mettersi dalla parte del bene. Tu devi venire per noi, e soprattutto per colo-ro che sono sfiduciati in presenza del male, perché non si lascino travolgere da esso, ma contrappongano al male quanto di meglio sono in grado di fare, perché il bene e la pace possano trionfare. Tu solo puoi portare questi beni; e noi da te, Bambino, li aspettiamo e li accogliamo come i più bei doni di Natale!