IL NATALE NEL MONDO RELIGIOSO RUSSO-UCRAINO

Celebriamo un Natale segnato dalla guerra alle nostre porte. Non è la prima volta. Le tensioni, che ci coinvolgono ed obbligano a prendere po-sizione, ci possono indurre nella tentazione di esprimere giudizi duri e incattiviti. E quando ci si lascia offuscare la mente, si può giungere a quelle forme di denigrazione che comportano il rifiuto di un popolo, della sua cultura, del suo spirito religioso. Anche di questi tempi, con la doverosa condanna di un attacco ingiustificato, di una campagna militare accompagnata da distruzioni ed uccisioni, di una propaganda costruita sulla menzogna e sull’annientamento dell’altro, spesso il giudizio severo trascende fino a negare la storia e la cultura di un popolo: è come se le colpe di oggi coinvolgessero anche coloro che nel passato hanno dato un contributo non indifferente alla cultura umanistica che non è solo patrimonio di un periodo e di un paese, ma è divenuto un bene che appartiene all’umanità. Proprio per non trascinarci dentro un sistema sbagliato, costruito sul pregiudizio, è raccomandabile che non si perda invece l’occasione per ritrovare lo spirito giusto che ci fa considerare a proposito la cultura russa, con il suo patrimonio di fede e di arte. È vero che noi abbiamo davanti agli occhi il martirio del popolo ucraino, ancora una volta, nella sua storia, brutalizzato, anche a motivo della sua posizione storica e geografica. E tuttavia non dobbiamo neppure trascurare l’anima russa che ha fatto grande questo popolo nel corso della sua storia, da condurre oggi su strade migliori, secondo la sua migliore tradizione. In modo particolare dobbiamo riconoscere che quanto di bello si è sviluppato in Russia è dovuto al modo, tutto suo, di esprimere la fede cristiana che ci ha dato pagine ineguagliabili di letteratura ed opere d’arte raffinata, che sono, e rimangono, documento vivo di una fede profonda.

La festa del Natale, anche se quest’anno è segnata, in quei luoghi, da tanto dolore e da tanta ira funesta, è occasione propizia per scoprire qualche traccia religiosa che sta alla base di entrambe le nazioni, ora in conflitto: esse posseggono una eredità inestimabile, che non è solo lascito di un passato da considerare ormai tramontato. Nell’arte iconografica e soprattutto nella liturgia che ne fa grande uso, allo scopo di farle rinascere e di risvegliare l’anima sopita, possiamo trovare quanto di più bello e di più profondo il mondo ortodosso di quelle terre sconfinate è in grado di produrre e di mantenere sempre vivo.

Davanti alle icone viene vissuta la liturgia, e, dentro la liturgia viva, soprattutto di questi giorni, si alimenta la speranza di popoli oggi contrapposti, che invece devono sentirsi parte integrante di un mondo religioso, costruito insieme in tanti secoli. La Rus’ di Kiev, nella quale si è accesa la fede cristiana, a partire dal battesimo di S. Vladimir I, nel 988, ha poi consegnato alle città vicine, nel vasto territorio russo, questa bella eredità. E quando l’orda dei tatari-mongoli ha portato morte e distruzione a Kiev, il patriarcato viene trasferito a Mosca, che eredita la guida religiosa per l’intero popolo russo. Successivamente, quando i Turchi trasformano Costantinopoli in Istanbul, Mosca diventa la Terza Roma. Di qui si irradia la fede ortodossa, anche grazie ad una rete di monasteri, presso i quali il popolo russo alimenta di continuo la sua fede genuina. Strumenti impareggiabili per tenere viva la fede sono le icone, davanti alle quali, raccolte nell’iconostasi, che separa l’altare dall’assemblea del popolo radunato in chiesa, la gente stessa viva la liturgia con i testi cantati, che elevano l’anima a Dio. Immagini e testi delle celebrazioni natalizie della liturgia del mondo slavo ci accompagnano alla conoscenza del mistero come viene vissuto, sia a Kiev, sia a Mosca, con l’augurio che questa comune fede cristiana si riveli più forte delle rivalità che oggi oppongono popoli, fratelli da sempre.

IL MISTERO DEL NATALE NELLA ORTODOSSIA

Sappiamo che nel mondo orientale il mistero di Natale ha la sua collocazione nella grande “Teofania” o manifestazione di Dio, che noi chiamiamo, con termine desunto dal greco, “Epifania”. In occidente, a partire da Roma, si fece strada la data del 25 dicembre, giorno che celebrava il solstizio nella capitale dell’Impero. Qui la celebrazione del “Sole invitto” viene sostituita dal Natale di Cristo, il quale appare nel cielo notturno “come un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte”.

Il ciclo natalizio si formò definitivamente nell’Oriente cristiano intorno al X secolo. L’importanza della festa liturgica, la maggiore dopo quella della Pasqua, è messa in risalto da un lungo periodo di preparazione alla solennità. Il ciclo natalizio comincia il 15 novembre con un digiuno chiamato “quaresima del Natale” (è così anche nella nostra liturgia ambrosiana). Nei giorni che precedono il Natale i canti preparano il terreno dell’evento venturo:

Ecco, è vicino il tempo della nostra salvezza:

preparati, grotta, la Vergine si avvicina per partorire.

Rallegrati ed esulta, Betlemme, terra di Giuda,

perché da te è sorto il nostro Signore.

Ascoltate, monti e colli, e voi regioni vicine alla Giudea:

Cristo viene a salvare l’uomo che ha plasmato,

perché è amico degli uomini …

La penultima domenica prima di Natale la Chiesa commemora i patriarchi dell’Antico Testamento. La domenica successiva, l’ultima prima del Natale, sono festeggiati i profeti veterotestamentari. I santi dell’Antico Testamento sono celebrati come antenati di Cristo secondo la carne e come profeti che predissero a venuta del Messia e la sua nascita verginale. Dal 20 al 24 dicembre ricorre il periodo di preparazione prossima, prescritto sul modello della Settimana Santa che precede la Pasqua. L’attesa è grande:

Cristo è vicino: preparati, Betlemme,

già risplende la salvezza delle genti;

disponi la mangiatoia, raduna i pastori, chiama i Magi dalla Persia;

le schiere degli intelletti incorporei acclamano.

Giunge Cristo, il Re dei cieli”.

Segue poi l’ottavario posteriore al Natale che comprende due commemorazioni intimamente legate ad esso: il 26 dicembre si celebra la “Sinassi della Madre di Dio” , festa dedicata alla glorificazione della Vergine Maria, che ha dato alla luce il Figlio di Dio. La domenica dopo il Natale, si festeggia San Giuseppe. Il ciclo natalizio si chiude il 2 febbraio, al quarantesimo giorno, con la festa della Presentazione di Gesù al tempio. Il Natale di Gesù è caratterizzato da una spirituale letizia e da un’innografia eccezionalmente ricca. Nella percezione orientale della festa non si trova la stessa tenerezza della cultura occidentale verso le raffigurazioni quali il bambinello, la pratica devozionale, il presepe o verso il tema della Sacra Famiglia. L’Oriente ama considerare il mistero di Dio, che scendendo dai cieli, s’inchina verso la terra e assume una natura a lui estranea per farne soccorso all’uomo caduto. Per la Chiesa orientale il Natale è la festa dell’Incarnazione del Dio Verbo, dell’apparizione nella carne, dell’inserimento della seconda persona trinitaria nella storia umana … La gioia natalizia caratteristica della festa penetra tutto l’ufficio:

Fa’ festa, Sion, rallegrati, Gerusalemme: città del Cristo Dio,

accogli i Creatore, racchiuso in una grotta e in una mangiatoia.

Apritemi le porte: entrando per esse vedrò colui che,

avvolto in fasce come fanciullino, tiene in sua mano il creato;

colui che gli angeli cantan con voce incessante

come Signore datore di vita, che salva la nostra stirpe

(Gukova, p. 20-21)

In Russia il Natale viene celebrato il 7 gennaio, secondo il calendario giuliano. Le immagini che si danno del mistero natalizio fanno riferimento ai testi evangelici, compresi quelli apocrifi, e hanno segnato fortemente anche la pittura occidentale, soprattutto a partire da Giotto. Costui innova l’arte in Italia, proponendo un racconto “in tono cronachistico”, che inserisce in un ambiente naturale e storico i suoi personaggi, rappresentati in modo realistico e con una chiara propensione alla componente psicologica. Tuttavia la disposizione dei personaggi e degli elementi risente di ciò che noi vediamo ricorrere nelle icone orientali: Maria è completamente sdraiata sul suo giaciglio, mentre Giuseppe appare sognante, perché così viene offerto nei vangeli. Attorno ai personaggi centrali si dispongono altre figure che appartengono a momenti diversi del racconto: ci sono, più vicine, le donne che assistono Maria nel parto e che soprattutto documentano la sua verginità rimasta tale; ci sono pure i pastori raggiunti dagli angeli con il loro annuncio; ci sono i Magi espressi nel loro gesto di adorazione che li fa prosternare davanti al Bambino. Questi ingredienti dell’immagine permettono di avere l’evento come sintesi di un grande mistero. Anche nei diversi periodi le icone, soprattutto nell’ambito russo conservano questi elementi.

ICONE DI ANDREJ RUBLEV

Abbiamo diverse versioni dell’icona natalizia, considerata proveniente dalla scuola che si fa risalire ad Andrej Rublev (1360-1430). Esse riproducono i medesimi elementi della narrazione evangelica, con alcuni personaggi che dobbiamo ricavare dal protoevangelo di Giacomo. Può variare la disposizione di essi, ma lo scenario è identico. Spicca su tutto la montagna centrale, a cui si affiancano altre due: sono lo sfondo su cui viene costruita la narrazione dei fatti, esprimendo già un chiaro, evidente simbolismo al Dio trinitario che abita la santa montagna e che di lì discende per venire ad abitare fra noi. La montagna appare scoscesa e brulla e presenta ai fianchi dei “gradoni”, i quali dovrebbero facilitare il cammino “ascetico” dell’uomo che vuol raggiungere Dio. Essa poi risulta spaccata in due: nella crepa si vede il flusso di luce che scende dall’alto per andare a posarsi sul bambino, collocato in una specie di caverna, aperta dalla fenditura della roccia. Così è indicato il Bambino, vero dono di grazia, piovuta dal cielo, per andare a posarsi come un seme che deve morire nel grembo della terra per risorgere a nuova vita.

Nella spaccatura tenebrosa il Bambino è proprio posto in una culla che ha la forma di un sarcofago, nel quale l’infante, appena nato, è fasciato come venivano rivestiti i bambini di allora e come altrettanto si faceva con i morti. Proprio nel cuore della montagna, quella di Dio, se qui presenta simbolicamente tre cime, è interrato il Cristo, che in tal modo appare al centro del mondo, entrato nel cuore di esso, divenuto anche lui di terra, diventato una creatura, attorno alla quale ruotano tutti i personaggi che completano il quadro. Ovviamente “sottomessa” sta la donna che l’ha partorito, adagiata, anche lei, sulla terra, e fasciata dalle due vesti colorate di blu e di rosso, che possono simboleggiare l’umano e il divino, l’amore e la morte insieme, componenti del vivere di questa creatura mortale, tutta dedita a Dio. In tal modo, adagiata sul drappo rosso che la contorna e la esalta, Maria rappresenta il punto di congiunzione tra l’umano e il divino, perché in lei si compie questo mistero che dà origine all’umanità del Verbo. C’è posto al centro anche per i due giumenti, l’asino e il bue, coinvolti anch’essi, non solo per la funzione di alitare sul bambino, ma anche per ricordare che tutto è salvato e tutto concorre al bene, se, come il salmo 35 dice: “Uomini e bestie tu salvi, o Signore!”. In alto, attorno alla cima della montagna spaccata dal fiume di grazia e di luce che scende a indicare il bambino, stanno gli angeli acclamanti: il gruppo di sinistra, guardando l’immagine, eleva le mani e il viso verso l’alto nel cantare “gloria a Dio nel più alto dei cieli”; dall’altra parte stanno invece quelli che osservano il mistero di Dio compiuto sulla terra, esprimendo il loro augurio di pace all’umanità. Vicino a questo secondo gruppo, uno è rivolto verso l’alto, e all’estremo ce n’è un altro che volge lo sguardo ai pastori sottostanti per richiamarli all’evento, mentre le loro pecore stanno, in parte, brucando e, in parte, abbeverandosi al ruscello, con un vero tocco realistico e narrativo insieme. A lato contrapposto dei pastori svegliati dall’annuncio, stanno i Magi, già in cammino con gli occhi rivolti verso l’alto alla ricerca del segno luminoso in cielo. Ai piedi della montagna che si allarga nella base, quasi a contrappunto con gli angeli del cielo, stanno due gruppi umani. Ci sono due donne, che sembrano essere le nutrici intervenute per aiutare Maria nella sua gravidanza: esse preparano, in un catino che ha la forma di un battistero, l’acqua per pulire il bambino appena nato. Dalla parte opposta sta Giuseppe, tutto assorto e chiuso nel suo manto giallo: nel suo sguardo fisso c’è da rilevare l’analisi del fatto se-condo il modo che ha lui di porsi davanti a ciò che sta succedendo e che non sembra riuscire a comprendere.

Ha bisogno di riflessione; e così appare davanti a un pastore, come se si confrontasse con lui. Costui, rivestito di nero sembra rappresentare chi vive nel dubbio dell’incredulità e con i gesti vorrebbe muovere delle obiezioni.

Scuola di Andrej Rublëv, ICONA DELLA NATIVITA’,

seconda metà del XV secolo. San Pietroburgo, Ermitage.

Della medesima scuola sono altre icone che variano sulla disposizione degli elementi, anche se questi compiano sempre. Sono essi, in quel particolare scenario della montagna, a far riflettere chi si pone in contemplazione dell’evento e ne trae giovamento per la sua spiritualità, perché investito dal fulgore della luce, anche a trovarsi nelle ombre tenebrose, può sperimentare già la salvezza che lo avvolge e lo coinvolge.

Il contemplativo, davanti all’icona non vede solo il fatto della nascita narrato

nel vangelo, ma è portato ad avere davanti agli occhi e nel cuore il grande mistero dell’Incarnazione che viene segnalato come evento pasquale a cui pure il Natale rimanda.

La montagna è uno dei simboli del centro del mondo (rammentiamo il Golgota o il monte Tabor in Palestina dove Cristo si presentò ai discepoli trasfigurato). La vetta della montagna cosmica non è soltanto il punto simbolico più alto della Terra, è il suo ombelico, il punto su cui è cominciata la creazione. Secondo il libro apocrifo siriaco La Caverna dei Tesori, Adamo è stato creato al centro della terra, proprio sul medesimo punto in cui doveva poi elevarsi la Croce di Cristo. Poiché Adamo fu seppellito nel luogo stesso in cui fu creato, cioè al centro del mondo, sul Golgota, il sangue del Signore lo redimerà. Fra la montagna e la caverna esiste uno stretto rapporto, sono entrambe simboli di centri spirituali. La caverna doveva essere situata sotto la montagna o al suo interno, in modo da trovarsi anch’essa sull’asse centrale di intersezione.

Il simbolismo della grotta permette di comprendere l’importanza dell’evento. Anticamera misteriosa del mondo sotterraneo, essa era un oggetto simbolicamente ricco di culti, miti e leggende antiche. Comunemente le caverne erano considerate un palcoscenico del mondo simbolico e culturale ctonio, ossia sotterraneo, come luogo di contatto con le forze delle profondità e delle tenebre. Nella caverna non esiste tempo, non c’è né ieri né domani, poiché in essa il giorno e la notte sono inseparabili. Anche per questo motivo la caverna diventa frequentemente il luogo di accoglienza di forme simbolico-rituali, quali l’iniziazione e la rinascita a un livello superiore di esistenza, una “seconda nascita”, come pure un passaggio dalle tenebre alla luce. Morte e rinascita sono in fondo le due facce dello stesso cambiamento di stato, e si ritiene che il passaggio da uno stato all’altro si debba sempre compiere nell’oscurità. La grotta iniziatica, luogo della “seconda nascita”, nel caso del Natale, significa la rinascita dell’umanità in Cristo. (…) Sembra del tutto naturale che gli iconografi bizantini introducano l’immagine della montagna e della grotta nella composizione del Natale come importanti simboli concepiti a sottolineare la grandezza dell’evento e a introdurre l’idea del rinnovamento dell’umanità in Cristo. Il raggio di luce che discende dal cielo nelle icone di Natale segna l’asse di comunicazione fra le tre regioni cosmiche che si verifica nel momento della nascita di Gesù: la grotta (l’entrata nel mondo sotterraneo), la montagna (la terra) e il cielo che ospita la stella. In tal modo tutto il cosmo viene coinvolto nel cambiamento che comporta la natività di Cristo. Il raggio di luce segna la direzione spirituale da seguire per giungere alla salvezza. L’espressione più intensa della mistica unione fra cielo e terra all’arco della nascita di Cristo echeggia nelle parole di Giovanni Damasceno, il teologo bizantino del VIII secolo e l’autore di molti inni:

Cielo e terra oggi si incontrano davanti a Cristo nato:

Dio è sceso sulla terra, e l’uomo è salito al cielo,

oggi è divenuto visibile nella carne, per amore dell’uomo,

Colui che per natura è invisibile. (Gukova, p. 35-38)

La spiegazione che è necessaria per meglio comprendere l’icona russa e soprattutto la sua funzione nella vita del credente, non può limitarsi alla descrizione e alla evocazione dei diversi significati che può avere nel suo ricco simbolismo, perché essa non è fatta solo per l’ammirazione e per la decantazione dell’evento con il corollario della riflessione. L’icona viene sempre offerta a quel genere di meditazione che deve animare la preghiera, accompagnare la divina liturgia, quella che si compie sull’altare, oltre l’iconostasi, sottratta agli occhi umani, perché già comunicante con l’Altissimo.

Il credente che presenza al rito in chiesa, ha davanti a sé l’icona, sente le preghiere che si innalzano e vedendo l’icona può partecipare alla divina liturgia che lo innalza così al mondo divino. Perciò l’icona deve servire a questa elevazione della mente umana a Dio e questa operazione deve essere accompagnata da un ricco antifonario, in cui è possibile trovare accanto all’immagine sacra, la parola altrettanto sacra che eleva a Dio e al suo mistero. Così la particolare immagine che si ha davanti agli occhi, con tutta la ricchezza del suo simbolismo, avvolge il credente che sente di partecipare all’unico mistero di Cristo. Esso si rivela nella sua Incarnazione e contemporaneamente nella sua Passione, due momenti dell’unica realtà che è il Cristo stesso, uomo e Salvatore, colui che si abbassa nella nostra mortalità per elevarci alla sua divinità.

I testi liturgici sono carichi di figure retoriche di gran fascino. Le fasce di Gesù neonato, per esempio, sono paragonate alle catene che Cristo spezzerà:

O Verbo di Dio senza principio,

che, oltre ogni comprensione, assumi un principio:

tu vieni infatti a sciogliere l’irrazionalità

a cui sono sottostato per l’invidia del serpente;

sarai avvolto in fasce per spezzare le fasce e le catene delle mie colpe.

(Gukova, p. 44)

In questo modo l’immagine viene decantata dal testo liturgico e la liturgia aiuta il credente a proclamare la sua fede nella forma della preghiera che riconosce Dio e lo sente sempre chinato sull’uomo per vincere la sua miseria e innalzarlo al mondo divino. La liturgia ortodossa sorregge il credente nella sua fede e gli dona la capacità di giungere alla contemplazione, più che alla comprensione, del mistero: le parole che il fedele dice trovano il riscontro nell’immagine e questa si chiarisce nelle parole della liturgia.

Il tropario (nella liturgia bizantina è una breve preghiera ritmica composta di pochissime frasi. È l’elemento costitutivo dell’innografia greca cristiana. Se ne hanno diverse forme) della domenica che precede il Natale così canta:

La tua divina discesa nell’Ade, o Cristo Dio, è divenuta vita per i morti: poiché laggiù hai incatenato i nemici, o buono,

e hai aperto agli uomini il sentiero dei cieli”.

In tal modo i testi liturgici valorizzano l’immagine dell’icona, diventando un perfetto esempio della prolessi della Passione e proclamando la fede pasquale già nel momento della nascita di Gesù.

(Gukova, p. 45)

Così dunque si può raggiungere in modo mistico, e non per via razionale, la piena comprensione e illuminazione del grande mistero: la liturgia deve servire a questo e non solo ad appagare i sensi e a far raggiungere il compimento soddisfacente dei desideri umani. Abbiamo bisogno anche noi di raggiungere questo spirito e di vivere questa esperienza di preghiera addentrandoci nel mistero natalizio, che non può essere limitato a quelle raffigurazioni, a volte anche un po’ mielose, che toccano i soli sentimenti; indubbiamente il presepe evangelico parla di povertà e tuttavia l’evangelista non si abbandona, né qui, né in situazioni ancora più drammatiche, a toccare le corde dei buoni sentimenti, come se si trattasse di una storia pietosa, da descrivere con gli ingredienti che suscitano tene-rezza e pietà. Vangelo, icona, testo liturgico devono invece avviare alla contemplazione del mistero, che è sempre “pasquale”, perché ci deve immergere nell’azione di salvezza operata da Gesù secondo il disegno del Padre. Ecco perché la culla di Betlemme assume l’aspetto del sarcofago di Gerusalemme e nel contempo il mistero natalizio viene vissuto dentro la celebrazione eucaristica che rimanda alla morte e risurrezione, vero centro della vita di Cristo e del cristiano.

La figura della mangiatoia ricorda non solo un sepolcro, è anche l’immagine di un altare, come segno metaforico della dottrina eucaristica della Chiesa d’Oriente, in cui il corpo generato dalla Vergine, il corpo dell’eucaristia e il corpo del Cristo celeste formano un’unità. Non per caso un inno paragona la mangiatoia a un trono di fuoco.

Preparati per il Re universale, (…) tu, greppia, come trono di fuoco

in cui la Vergine Maria lo deporrà bambino, secondo il suo beneplacito,

perché egli richiami a sé la sua creatura”.

La nascita di Gesù è intesa, dunque, come inizio della liberazione, una preparazione del rinnovamento del mondo:

Preparati, Betlemme, perché l’Eden è stato aperto;

preparati, Efrata, perché Adamo viene rinnovato ed Eva con lui;

è sciolta infatti la maledizione;

la salvezza è fiorita nel mondo, e le anime dei giusti si preparano,

presentando l’inno in luogo di unguento profumato,

come dono in offerta,

e ricevendo la salvezza dell’anima e l’incorruttibilità”.

L’immagine liturgica, allarga la dimensione dell’immagine visibile dell’icona, comunicando alla rappresentazione figurativa un principio teologico. L’efficacia dell’interagire fra il rito e l’immagine viene intensificata dall’uso dell’antitesi fra presente e passato, nascita e morte, gioia e dolore, descritti a forti tinte narrative caratteristiche della retorica bizantina. (Gukova, p. 45-47)

LA SINASSI DELLA THEOTOKOS

ICONA UCRAINA DEL XVI SECOLO

A LEOPOLI

Una particolarità della liturgia bizantina, sviluppata soprattutto nel mondo slavo, russo e ucraino, è la festa della maternità di Maria che si celebra il giorno dopo il Natale, il 26 dicembre, per chi segue il calendario gregoriano, e l’8 gennaio, per chi continua a seguire il calendario giuliano.

Questa celebrazione è definita “Sinassi della Theotokos”: è la riunione dell’assemblea cristiana che vuole glorificare Maria come madre di Dio, riconosciuta con questo termine nel Concilio di Efeso del 431. L’icona di riferimento per poter contemplare il mistero è quella che propone la figura ieratica della Madre di Dio, seduta in trono e con un piedestallo sotto i piedi per tenerla elevata sul terreno circostante. Sovente ha in braccio il bambino che mostra all’adorazione. I primi a presentarsi sono i Magi: costoro mostrano i doni e il primo di loro è inginocchiato davanti al bambino per la “Proskynesis”, la prostrazione e il bacio del piede. Anche in questo caso la contemplazione dell’Icona porta alla partecipazione della Sinassi stessa, durante la quale l’assemblea eleva la sua voce nella lode della Madre di Dio, con diverse forme espressive …

Purissima Madre di Dio, Madre di Dio! 

La tua sacra assemblea è adorna di molteplici bellezze; 

Molte persone del mondo ti portano doni, Signora. 

Spezza i nostri legami peccaminosi 

con la Tua misericordia e salva le nostre anime.

(Troparion della Sinassi della Santissima Madre di Dio, voce 4) 

Venite ed esaltate la Madre del Salvatore,

che rimase Vergine dopo Natale.

Rallegrati, o città vivente del Re e di Dio,

in cui Cristo, essendo creato, concluse pienamente la salvezza.

Lodiamo con Gabriele e lodiamo con i pastori, dicendo:

“Madonna, prega che tu sia incarnato per la nostra salvezza”

(Cantico della festa).

Nato dalla destra del Padre senza la madre,

sulla terra oggi il corpo riceve da Te senza padre.

Questo ai Magi la stella proclama.

Gli angeli con i pastori cantano il Natale indicibile, o Piena di Grazia!

(Stykhyra mattutino)

E’ ancora una festa natalizia: anche se al centro dell’icona e della liturgia vediamo la figura solenne e grandiosa di Maria, ella però mette in risalto il bambino che porta in braccio e che vuol mostrare all’adorazione dei fedeli. Davanti a lei noi dobbiamo rispecchiarci ed esaltare il Figlio di Dio che si è degnato di farsi uomo e di venire presso di noi. Ancora una volta la celebrazione deve esprimersi nelle parole della liturgia che sono la preghiera del fedele e dell’assemblea nel suo insieme; esse però sono pronunciate davanti all’icona, perché siano l’espressione dello stupore che l’uomo ha davanti all’immagine, evocatrice della preghiera e dunque dell’incontro fra la divinità e l’umanità.

Così si esprimono le antifone usate in quel giorno, come quella che ricaviamo dall’inno natalizio composto dal Patriarca di Costantinopoli, S. Germano dell’VIII secolo.

Che cosa ti offriremo, o Cristo?

Tu per noi sei apparso, uomo, sulla terra!

Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie:

gli angeli, l’inno; i cieli, la stella; i magi, i doni; i pastori, lo stupore;

la terra, la grotta; il deserto, la mangiatoia:

ma noi ti offriamo la Vergine Maria.

O Dio, che sei prima dei secoli, abbi pietà di noi!

Analogamente a quella icona che Kiev venera da quando è diventata espressione della sua secolare fede, troviamo altre sinassi della Theotokos in altre città russe e tutte con i medesimi elementi di contorno che vogliono suggerire al popolo adorante e supplice le espressioni più consone a dare gloria al neonato e alla sua madre divina. Questa tradizione rimane sempre viva e porta il singolo e il popolo fedele a dire le sue lodi che eleva al Bambino, rispecchiandosi in coloro che abitano l’icona ad incoraggiare la preghiera supplichevole di chi si prostra innanzi. A Pskov, una delle città russe, insieme con Novgorod, a contatto con il mondo occidentale soprattutto già in pieno Medioevo per i commerci, custodisce una sinassi antica da venerare soprattutto nella festa della Theotokos subito dopo il Natale. In essa si riconoscono le figure più significative per invitare al medesimo atto di adorazione; e non mancano per questo anche i padri della Chiesa, con i loro cartigli a ricordare che le lodi più genuine sono quelle suggerite dai grandi Maestri della spiritualità orientale, che ancora oggi sono le guide con i testi inseriti nella liturgia bizantina.

L’icona fedelmente traduce in immagini le parole dell’inno. Nonostante la Sinassi fosse dedicata a Maria, il canto è rivolto a Cristo, è l’adorazione del Bambino. I protagonisti della Sinassi sono dunque i medesimi: al centro della composizione è raffigurata seduta la Madre di Dio con Gesù sulle ginocchia; nel registro superiore un coro di angeli canta la gloria al Bambino venuto al mondo; a sinistra i Magi offrono i loro doni; a destra i pastori con il loro gregge guardano con stupore e ammirazione il neonato Salvatore. In alto vediamo un lembo di cielo con tre raggi di luce a significare la Trinità.

SINASSI DELLA THEOTOKOS DI PSKOV

(XVII secolo)

Ai piedi della Madre di Dio sono appena visibili all’interno delle rispettive caverne due figure allegoriche, il Deserto e la Terra, che offrono a Cristo la mangiatoia e la grotta. Nel registro inferiore vi è il genere umano, affiancato da due figure di monaci con cartigli in mano: sono gli autori degli inni natalizi Giovanni Damasceno e Cosma di Maiuma. La composizione celebra l’esultanza del creato che reca i suoi doni a Cristo apparso nel mondo. (Gukova, p. 91)

 

CONCLUSIONE

Espressione dell’antica spiritualità bizantina, divenuta propria della cultura religiosa russa, le icone del Natale sono contemplate attraverso i testi liturgici della festa, che sono l’unico modo corretto per capire fino in fondo il loro significato. Le icone vivono la loro vita autentica nel tempio e solo nel rito ci rivelano tutta la loro ricchezza spirituale. Ogni cosa è al suo posto per recitare il grande mistero del Verbo divenuto la carne, ogni elemento assume un significato, niente è superfluo, tutto il creato partecipa all’evento: dalle nature angeliche agli animali. L’arte sacra dell’Oriente cristiano è liturgica per sua natura, non solo perché fa da cornice alla liturgia oppure la completa, ma perché le corrisponda alla perfezione. Essendo un’arte cultuale, l’icona non è mai stata un elemento ausiliario, è un mezzo per conoscere Dio, una delle vie per entrare in contatto con Lui, una professione di fede. un autore bizantino così rifletteva: “Dimmi, o uomo, se qualcuno dei pagani viene a trovarti e ti dice: Mostrami la tua fede, perché anch’io possa credere, che cosa gli mostrerai? Non lo eleverai forse dal sensibile all’invisibile? … Portalo in una chiesa … Mettilo di fronte alle sante icone”. (Gukova, p. 93)

In un Natale reso fortemente drammatico dallo scontro sanguinoso e distruttivo fra Russi e Ucraini, così legati nella storia dalla Rus’ di Kiev, divenuta poi la Russia di Mosca, non possiamo far altro che metterci in contemplazione delle icone di Natale, provenienti dalla grande cultura e dalla forte fede locale, visto che vanno a vuoto tutti i tentativi di mediazione politica e che neppure sul campo si produce una vittoria che metta fine al conflitto. Dedicarci a questo non è sinonimo di arrendevolezza o di impotenza, è piuttosto ricerca di uno strumento che appartiene, del resto, all’animo profondo dei due popoli belligeranti. Il ricorso alla preghiera contemplativa diventa il tentativo di mettersi in sintonia con la cultura e la storia di questa gente, soprattutto con la fede che ha sempre caratterizzato questa popolazione, anche quando sembrava che la fede fosse spenta o addirittura morta. Anche a lasciarsi prendere dal gioco pericoloso delle strategie militari, anche a sentirsi mortificati nelle loro risorse migliori, che anche nei tempi più dolorosi della loro storia millenaria non si sono mai esaurite, dobbiamo fare appello alla spiritualità, che rimane pur sempre lo strumento idoneo per far fronte ai mali più tremendi. Dalla migliore eredità del passato, proviamo ad attingere anche noi ciò che può servire alla riflessione che diventa orante e alla preghiera che si fa sempre più riflessiva.

Inoltre va ricordato che proprio la celebrazione natalizia, letta non solo come richiamo ad un episodio riproposto con le componenti che fanno leva sul sentimento, come è in uso da noi, ma come un fatto “salvifico” nello scambio di vita fra il Creatore e la creatura, serve in questo mo-mento come stimolo a richiamare il messaggio di rinascita e di pace che la liturgia lì non si limita a dire, ma vuole che diventi vita in unione con il Creatore. Nel celebrare il Natale, comune eredità cristiana, che gli orientali vivono con la modalità contemplativa, propria della loro liturgia, possiamo sentirci condotti a considerare che questa umanità è assunta da Dio e che il nostro modo di assumere la divinità passa dallo Spirito attinto nella liturgia, perché diventiamo sempre più capaci di bene in mezzo al male. La contemplazione, a cui noi, occidentali, siamo poco abituati, ci mette davanti al mistero della nascita di Cristo, evento di vita che vuole richiamarci il desiderio che ha Dio di mettersi dalla nostra parte, di vivere con noi, di assumere il nostro vivere doloroso e drammatico, per acquisire il suo, benevolo e benefico. Non veniamo solo investiti dalla bellezza “mistica”, desunta da queste immagini, che sono il prodotto di scuole d’arte notevoli; esse non devono limitarsi a toccare i nostri sensi e ad elevare la nostra sensibilità. La “lettura” e la “visione” delle icone ci fanno passare al mondo divino, a cui siamo ammessi grazie al canto degli inni; essi sono parte integrante di questa contemplazione: non esiste preghiera senza l’icona e senza l’inno che accompagna la visione dell’icona. La liturgia, proprio per questa operazione, non può non essere divina e far arrivare al cospetto del Dio invisibile, davanti al quale le nostre espressioni si effondono nella lode, nell’ammirazione, nell’esaltazione di Dio. Non potremo, certo cambiare le cose in una situazione tanto intricata, quanto deteriorata, e inclinata verso le soluzioni peggiori. Ma proprio per questo dobbiamo mettere in campo quello che può cambiare noi, facendoci respirare lo Spirito stesso del Signore, il quale ci fa reagire al meglio, anche e soprattutto se attorno il peggio vuole trionfare e impe-dire ogni forma di soluzione. Ne abbiamo bisogno anche in un contesto, come il nostro, esso pure segnato da tanto male, da tanta violenza, che non risparmia neppure i giorni natalizi, per noi carichi di buoni sentimenti, di bei ricordi, di dolce poesia. Abbiamo bisogno però di maggior realismo, con la reazione che fa ricorso allo Spirito, acquisendo gli strumenti e le modalità che appartengono alla miglior scuola di spiritualità ortodossa.

Possiamo così imparare dal modo che hanno i due popoli di mettersi davanti al mistero del Natale, che essi sentono come “mistero di rinascita”, dove l’Incarnazione del Verbo dà la facoltà ad essi di ritrovare le parole che sono “spirito e vita”: con esse l’apparizione del Bambino Gesù mette al centro ogni uomo, soprattutto se piccolo e debole, e lo fa essere il punto di forza sul quale costruire il futuro dell’umanità. Davanti a queste immagini e nello stesso tempo ricorrendo ai testi liturgici della tradizione ortodossa ci mettiamo anche noi alla presenza del mistero della nascita di Gesù, che oggi vogliamo divenga stimolo e incoraggiamento a ricostruire, a ricomporre in unità il mondo ortodosso, il mondo europeo, il mondo nel suo insieme. Così la memoria della natività e la nascita oggi di tanti bambini saranno l’elemento di forza con cui guardare al futuro. Nonostante il proliferare del numero dei morti, soprattutto di bambini e di giovani, nonostante il ricorso all’uso della forza fra singoli e fra Stati, nonostante i numerosi segnali di morte e di distruzione, sono sempre operanti anche coloro che continuano a sperare ed operano per il bene di chi soffre, per rendere più fraterno il mondo, per far crescere il bene tra le persone che sempre più riconoscono il bene e il bello nelle persone stesse, nelle nuove creature che vengono al mondo.

INVOCAZIONE ALLA MADONNA DI KAZAN

Alla Madonna di Kazan rivolgiamo la nostra accorata preghiera di Natale. La sua immagine viene fatta risalire all’inizio del II millennio, quando la Russia stessa nasceva attorno a Kiev, legata al patriarcato di Costantinopoli. Scomparsa con l’invasione mongola, ricomparve in occasione della vittoria di Ivan IV, proprio nel Khanato di Kazan. Qui divenne l’icona di riferimento per i Russi, invocata sempre, e soprattutto nei momenti drammatici della storia russa. Sparita un’altra volta con la rivoluzione sovietica, arrivò, dopo una serie di peripezie, e come donativo, nelle mani di Giovanni Paolo II, che nel 2004 la riconsegnò al Patriarca di Russia.

Questa icona, che esperti hanno esaminato per meglio conoscerla, viene fatta risalire al secolo XVIII, con gli evidenti segni di un uso liturgico e devozionale davanti ai ceri accesi, che dimostrano quanto fosse popolare.

Nella decorazione aurea che la ricopre, come segno del riconoscimento che essa richiama qualcosa di divino, appare la figura solenne e materna di Maria che mostra il Bambino tenuto in piedi e con il braccio elevato per la benedizione. Il capo di Maria è teneramente reclinato sul Figlio con il viso rivolto ai fedeli, perché ne assumano la tenerezza.

Madre tenerissima nel tuo viso dolcissimo,

tu ci mostri il Figlio benedicente,

che si erge davanti a noi, abbagliati da tanto fulgore,

perché ci risolleviamo dai nostri mali presenti.

Tu lo introduci in questa realtà segnata dal dolore,

perché sia per noi incoraggiamento a vivere come Lui,

a donare la vita come lui ha fatto.

La sua nascita è divenuta un’immersione nella nostra vita,

e la memoria della sua natività ci fa immergere nella sua:

per lui, povero, siamo arricchiti della sua grazia;

per lui, debole, siamo rafforzati nella speranza;

per lui, uomo, siamo divinizzati.

Con te, o Maria, e come te, o Madre della vita,

invochiamo la pace, la serenità, la rinascita di questo mondo.