I compagni della passione: Il Cireneo.

GESU’ DA SOLO

E NOI SOLIDALI CON LUI

Nelle ore del dolore e delle brutalità, Gesù appare solo. Nessuno dei suoi è con lui, se non Maria, Giovanni e le donne sotto la croce. Il suo grido nello spasimo delle sofferenze fisiche si eleva al cielo, che sembra ancora più opaco, più cupo, più vuoto, e da cui non arriva nessun segnale, come invece era successo in altre circostanze: nessuna voce del Padre si fa sentire ad incoraggiamento e sostegno, nessun gesto dell’Onnipotente arriva a farlo uscire da tanto male. È talmente solo che deve gridare a Dio: “ … perché mi hai abbandonato?”. Sente già di essere lasciato solo in simili frangenti e proprio da Colui che egli continua ad invocare: “Dio mio, Dio mio …”. Lo considera ancora suo, mentre il Padre sembra non degnarlo più neppure di uno sguardo compassionevole. Sembra … e tut-tavia Gesù non è proprio solo totalmente, perché accanto a lui si vedono persone, che noi potremmo definire suoi compagni, coloro che assumono la sua stessa condizione, prendendo la croce come il cireneo, finendo in croce come il ladro pentito, stando sotto la croce a difenderlo come il centurione. Sono i suoi compagni, nel vero senso della parola, perché condividono quel pane amaro che è la sua sofferenza, perché gli stanno vicino, condividendo la medesima situazione, compreso il centurione con la sua dichiarazione che lo fa stare dalla parte del condannato. Questa compagnia vogliamo cercare di considerare, perché noi pure dobbiamo muoverci sulla medesima strada e portare la stessa croce.

IL CIRENEO:  SE QUALCUNO VUOL VENIRE DIETRO A ME …

Il primo compagno di questa “Via Crucis” è il cosiddetto cireneo, che, da allora, è divenuto sinonimo di chi si sobbarca i pesi degli altri o fa da spalla in aiuto a chi è nel bisogno. Proprio perché cammina nella medesima direzione e condivide gli oneri con chi è meno fortunato è da considerarsi un vero compagno, uno che patisce insieme, uno che fa la stessa strada. Quello che più colpisce è il fatto che egli debba prendere la croce di Gesù, sia costretto a farlo, si pretenda da lui che lo accompagni fino al Calvario, portando il patibolo che non è suo. E per quella strada la deve portare lui al posto di Gesù, il quale, evidentemente, non la saprebbe portare da solo, anche perché rischia di non reggere la salita al patibolo, di non arrivare fino in fondo a bere l’amaro calice.

Lo consideriamo per quello che ci dicono i vangeli e per il modo con cui è stato rappresentato e interpretato nei secoli, vera icona di colui che, per Gesù, dovrebbe essere ogni uomo, soprattutto se ha intenzione di seguire il suo esempio: “Se qualcuno vuol venire dietro a me …”. Il discorso fatto è molto chiaro ed è rivolto alla folla, cioè a tutti: uno che ha preso la decisione di seguire quel Maestro non deve far altro che prendere la croce, ognuno la sua e, secondo la versione di Luca, portarsela “ogni giorno”, perché essa è una realtà quotidiana. Non è dunque uno strumento di morte e neppure va considerato un mezzo di patimento secondo l’immagine che se ne può avere, considerando quel patibolo infamante; è piuttosto la scelta deliberata di amare anche a non essere amati, di proseguire il cammino anche a dover affrontare ostacoli che sembrano insormontabili, di continuare a dare di sé anche a rimanere soli in questo atteggiamento. Qui però, con il cireneo, viene chiesto di prendere anche la croce dell’altro, o di portarla insieme ad altri …

CANTO

Ti saluto, o croce santa, che portasti il Redentor.

Gloria, lode, onor ti canta ogni lingua ed ogni cuor.

Sei vessillo glorioso di Cristo, sua vittoria e segno d’amor:

il suo sangue innocente fu visto come fiamma sgorgare dal cuor.

SALUTO

Avviamo il cammino della croce

nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo.

Amen.

Dio Padre sacrifica suo Figlio per noi:

e noi accogliamo il suo dono d’amore!

Gesù porta su di sé il peso del peccato del mondo:

e noi riconosciamo il suo sconfinato amore!

Lo Spirito sorregge l’uomo nella sua debolezza:

e noi apprezziamo il suo sostegno nel vivere l’amore!

Mostrandoci la figura del Cireneo

che prende su di sé la croce e la porta anche a nome nostro,

tu, o Signore, ci ricordi che noi siamo chiamati da te

a seguirti in questo modo;

fa’ che possiamo reggere nelle fatiche e nelle prove della vita,

donando sempre noi stessi con la forza del tuo Spirito,

per essere da te benedetti nei secoli dei secoli.

Amen..

IL VANGELO DEL CIRENEO 

I sinottici accennano brevemente a quest’uomo: lo definiscono tutti con il suo nome e la sua provenienza. Cirene è una città di origine greca in territorio libico, capoluogo oggi della regione chiamata Cirenaica. Facendolo provenire dai campi, si vuole sottolineare che era un contadino, uno abituato alla fatica di un lavoro pesante. Quello che viene chiamato a fare è di fatto una costrizione, qualcosa che è dunque obbligato a sostenere e che forse fa anche di malavoglia. 

In Matteo 27,32, come pure negli altri, l’incontro di Simone con il condannato è casuale, senza l’accenno al fatto che provenisse dai campi.

Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce.

In Marco 15,21 si dà rilievo ai figli: c’è da supporre che essi fossero noti al tempo in cui scrive e che dunque facessero parte della comunità cristiana.

Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo.

In Luca 23,26 non vi è accenno alla costrizione, anche se la croce gli viene caricata sulle spalle …

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù.

 

Anche il vangelo apocrifo di Nicodemo nella versione greca riporta questa notizia, con l’annotazione che non c’è pietà alcuna verso Gesù, ma solo la preoccupazione di fare più in fretta.

Gesù, camminando e portando anche la croce, giunse fin presso la porta della città di Gerusalemme. Ma, siccome a causa delle molte percosse e del peso della croce, non poteva più andare aventi, i Giudei, per il desiderio che avevano di crocifiggerlo al più presto possibile, gli tolsero la croce e la diedero a un tale, che per caso si era imbattuto in loro, mentre tornava dai campi, di nome Simone, il quale aveva anche due figli, Alessandro e Rufo, ed era della città di Cirene. Diedero dunque la croce a costui, non per compassione di Gesù e per alleggerirlo del peso, ma desiderando, come si è detto, giustiziarlo più in fretta. Costrinsero dunque questo cireneo a prendergli la croce, e menarono lui al luogo detto Golgotha, il che, interpretato, vuol dire il luogo del teschio.

Riflessione

È ben diverso ciò che il Signore chiede nel vangelo a chi lo vuol seguire. Per quanto la sua proposta sia indicata a tutti, non solo ai Dodici o al gruppo dei discepoli che era associato agli apostoli, non c’è alcun proposito di “angariare”, come invece si dice qui a riguardo del cireneo. Costui viene come requisito, se stiamo sempre alla parola usata dagli evangelisti, perché, evidentemente, i soldati incaricati di condurre i condannati, devono assicurarsi che ci arrivino e, come dice l’apocrifo, che ci arrivino in tempo per l’esecuzione con l’inevitabile conclusione della loro morte, in modo tale che “giustizia sia fatta”. Se è così, se davvero non può esimersi dalla pretesa dei soldati, Simone deve aver fatto il suo lavoro non certo di buon volere, anche perché veniva coinvolto in una situazione spiacevole e sporca. Ma delle sue reazioni non si dice niente. Così come non si dice più nulla di lui e di ciò che ne può essere seguito. Eppure c’è da supporre che i suoi figli siano ben noti ai cristiani e che dunque il suo gesto non sia passato sotto silenzio, se gli evangelisti ce ne parlano, ricordando addirittura il nome. E poi, oltre al fatto che i discepoli ricorderanno sempre il chiaro invito del Maestro di assumere la propria croce, di seguire lui portandola, come l’ha portata il cireneo, va ricordato che fino ai nostri giorni quel nome rimane associato a tutti coloro che si danno da fare per soccorrere chi è in difficoltà, soprattutto chi è gravato da pesi e da situazioni insostenibili. Questa figura ci ricorda chi, coinvolto dai drammi che fanno tribolare, anche a voler spesso sfuggire ai fastidi, sa comunque affrontare quello che spesso noi vorremmo evitare. E ci ricorda pure che anche noi potremmo trovarci in mezzo a gente debole, disperata, angosciata, travolta da tanti mali e bisognosa di una parola e di un gesto d’amore che dica non solo la vicinanza momentanea, ma anche la comprensione e la partecipazione solidale al male: lì si deve vedere l’animo di chi non volta la faccia, di chi non si tira indietro, di chi non fa finta di niente, ma ha piuttosto il coraggio e la forza di sostenere fino in fondo anche ciò che sembra disperato. Le occasioni, soprattutto oggi, non mancano; non dobbiamo far mancare i cirenei, che, senza essere costretti dalle circostanze, si dimostrano veri compagni di viaggio nel sostenere il cammino faticoso, i passaggi pericolosi, le sofferenze più acute. E come Gesù è stato aiutato qui, così dobbiamo sentirlo sempre al nostro fianco, come il vero Cireneo, che è davvero accanto a noi per affrontare il male e per saperlo superare, anche a sembrare di soccombere.

Preghiera

Hai lasciato la tua croce, Signore, sulle spalle di un uomo;

hai condiviso con lui il peso di una pena dura e dolorosa;

hai camminato poi al suo fianco, perché la croce era tua, non sua,

anche a non aver colpa, tu, e ad avere molte colpe, noi!

Il cireneo fu costretto a quell’incombenza, non l’ha fatto di sua volontà!

Come noi, quando abbiamo un peso da portare,

spesso scaricato e ancora più spesso lasciato a noi, incolpevoli:

non lo portiamo volentieri, non vogliamo condividerlo con chi soffre,

perché ci sembra un fastidio in più, un fastidio da cui liberarci.

Facciamo fatica a metterci dalla parte di chi soffre, di chi piange,

di chi è gravato da una pena terribile, che non sappiamo affrontare;

facciamo fatica a condividere quello che non ci appartiene,

a sostenere quello che non è dovuto a noi, non ci può essere addebitato;

facciamo fatica a portare un peso che invece è di altri,

qualcosa che giustamente altri dovrebbero accollarsi come colpa loro.

Eppure, se ci pensiamo, tu hai preso su di te le nostre colpe,

tu, innocente, ti sei gravato dei nostri peccati e delle loro conseguenze,

tu hai insegnato che la croce è per tutti strumento di vita,

perché lì ci si apre all’amore, lì si dona, lì la vita viene spesa bene.

Chissà se il Cireneo ha capito in quel momento la lezione di vita;

fa’ che la comprendiamo noi, perché diventiamo dei cirenei,

pronti a fare la nostra parte, a dare il nostro contributo, volentieri,

perché nella solidarietà questo mondo diventi più fraterno,

perché nella condivisione del soffrire si abbia più speranza per tutti,

perché nel considerare il morire la vita sia vissuta meglio.

Grazie, Signore, per essere divenuto il cireneo di noi tutti.

Grazie, perché ci aiuti a diventarlo per tanti altri nel loro dolore.

 

Canto

È giunta l’ora, Padre per me: i miei amici affido a te.

La vera vita, o Padre sei tu col Figlio tuo, Cristo Gesù.

Erano tuoi, li hai dati a me, ed ora sanno che torno a te.

Hanno creduto: conservali tu nel tuo amore, nell’unità.

LA FISIONOMIA UMANA DEL CIRENEO

Ciò che il vangelo dice di quest’uomo è per noi insufficiente. Vogliamo conoscere anche qualche altro aspetto che ci permetta di definire meglio i lineamenti, soprattutto interiori di questo uomo, che appare di sfuggita nel vangelo e che poi invece assume un certo rilievo nella devozione popolare e nella considerazione di quei gesti di carità, che spesso vengono descritti come simili a quello del Buon Samaritano o simili a quello del Cireneo. Quest’ultimo sembra naturalmente colpire di più per il fatto che sostenendo Gesù in quel frangente, gli prende la croce, mostrando come debba essere il vero discepolo che vuole seguire Gesù.

Lo troviamo segnalato in quegli scritti che vogliono aggiungere annotazioni non presenti nel vangelo.

DON PRIMO MAZZOLARI (1890-1959)

Il prete cremonese dà risalto alla figura di un “povero cristo”, come è Simone, che è costretto a prendere la croce di Gesù, come sempre succede ai poveri, angariati dai prepotenti, che non sono solo quelli del potere, ma anche quelli che vi arrivano o diventano prepotenti. E la prepotenza viene annotata come se fosse un atto di legalità, come dunque una cosa giusta. E poi ancora fa notare che quest’uomo c’è mentre gli altri che dovrebbero esserci sono assenti, così come poi lui scompare, come dimenticato, neppure fatto santo per quello che ha saputo fare per il Signore. 

Da “LA VIA CRUCIS DEL POVERO”   (p. 87)

Hanno preferito costringere, commettere un sopruso. Quando l’uomo si crede dispensato “dal fare agli altri ciò che vorrebbe fosse fatto a sé”, si pone con impegno a trovar ragioni perché qualcuno faccia per lui. Le ragioni per angariare sono infinite come quelle del lupo esopiano. I codici sono compiacenti verso i privilegi e le soperchierie dei prepotenti tanto più che gli stessi poveri sono poco solidali fra loro. Muore un ricco, i poveri ci son tutti: muore un povero, non ci vien nessuno. Appena uno ha messo fuori la testa dalla bolgia della miseria e si è fatto una “posizione”, non si volta neanche indietro; anzi, cerca di distruggere ogni solidarietà verso gli uomini del suo passato. Per portare la croce di Gesù, una croce “fatta di tutte le sofferenze umane, perché egli è in verità il Dio dei poveri e degli infelici” (Anatole France) hanno angariato un povero. È sempre il povero che porta la soma. Lasciata cadere da chi dovrebbe portarla, essa finisce sulle spalle del povero. Un uomo stanco: ha tirato tutta la giornata … sotto ancora. I soldati devono aver compilato un verbale di requisizione regolare: segnato in margine anche il compenso dovuto al requisito per un’operazione di polizia. La meticolosità della procedura è sempre stata osservata. Perisca il  mondo, ma la legalità sia salva. Nessuno si era offerto per il Maestro: anche Simone, divenuto pietra, aveva ceduto. Ecco che un nuovo Simone, un povero Simone venuto da Cirene, impresta le sue spalle a Cristo, in luogo di Simone, l’eletto. Certe nostre falle, la Provvidenza le chiude col cuore dell’ultimo, perché questa è la verità: “gli ultimi saranno i primi”, perché soffrire per la chiesa è gloria serbata a tutti. Pietro, cioè la chiesa, ha conservato gelosamente il nome di questo discepolo che ha servito il Maestro quando nessuno gli sapeva provare che gli voleva bene. Qualcuno si domanda se Simone di Cirene abbia portato volentieri o suo malgrado. Io so che ha portato la croce, sollevato Gesù, dato un respiro al Morente. Non per nulla è nominato come padre di Rufo e di Alessandro. Forse vide nel Condannato la faccia di uno de’ suoi figli e vi si accostò con paterna pietà. Strano che non sia nominato tra i Santi, che nessuno gli abbia dedicato una cappella o un altare! È un santo troppo paradossale, di un’esemplarità che non ammette sofisticherie né compromessi. C’è da portare, come dietro a Gesù. Ma Rufo e Alessandro, i figliuoli di Simone di Cirene, hanno un po-sto nel Vangelo e un posto d’onore come tutti cirenei che da venti secoli sulla via crucis di Cristo-povero, si sono meravigliosamente moltiplicati a testimoniare il divino contagio di un gesto di carità, che Dio ha segnato nel libro della vita e della storia. “In verità io vi dico che per tutto il mondo, dovunque sarà predicato questo evangelo, anche quello che costui ha fatto sarà raccontato in memoria di lui”. Gli annali della carità la vincono, in durata e splendore, sugli annali della gloria.

LUIGI SANTUCCI (1918-1999)

Anche lo scrittore milanese punta sulla figura poco nota, sull’azione che poi sembra come caduta nel dimenticatoio, allo stesso modo con cui quest’uomo si è affacciato alla grande storia di Cristo e poi ne è uscito. Così come sembra uscito alla fine dei suoi giorni dimenticato, neppure santo, neppure degno di una menzione di rilievo, per un gesto che in realtà dovrebbe essere di grande risalto se poi deve diventare il vivere del cristiano, di colui, cioè che deve seguire il Maestro portando la croce! 

Da “VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?” (p. 238)

Chi è quest’uomo scuro con un solco rosso sulla spalla? Uno che viene dalla direzione opposta a quella del corteo. Tutto è opposto in lui, dal colore della pelle al colore dei pensieri che nulla sanno né vogliono immaginare: perché Simone di Cirene ignora di profezie di messia e di redenzione. È il più estraneo a questa faccenda di ebrei, a questa storia del Regno. Il suo solo regno, grande poco più di un lenzuolo, è il suo poderuccio. Egli viene di là. Torna dai campi, dove la sera ha dato alle zolle e a lui il suo primo brivido; ed egli si distingue dal suo campo, è uomo, soltanto perché a quest’ora non rimane sotto la luna con le biche ammucchiate, fa questo lungo tratto e rientra in una casa. Ha addosso la sera, che per lui non ha languori poetici, e un’immensa stanchezza; e questa voglia senza dolcezze di spingere l’uscio, sedersi davanti a una minestra fumante, avvertire nel suo taciturno cenare l’odore dei figli e del letto come l’unico possesso, l’unico opaco premio alla sua giornata che è uguale a tutte le altre giornate. No, non è uguale. Stasera questa sorte strepitosa coglie proprio lui, il contadino nero, fra i miliardi di uomini chiamati a camminare sulla terra d’Adamo nell’ultimo giorno. È l’uomo più anonimo nell’ora più anonima, il Mistero lo costringe a essere per un poco la controfigura di Cristo. Adesso Simone lavora ancora, e sperava che la giornata fosse chiusa. Lavora gratis. Non fa parola, come sempre, ma ringhia sotto la croce. Eppure, a suo dispetto, c’è una congiura di carità, se non nel cuore del cireneo, in quel suo corpo che si fa cariatide, nel torace che gli si riga di sudore.  È arrivato in cima. Si è pulito le mani al grembiule di zappatore e se n’è andato senza voltarsi indietro, affrettando il passo più che s’allontana, fino a mettersi a correre. Nel letto dove si caccia subito saltando la cena, la spalla gli duole. Da domani, per rincasare prenderà un’altra strada, farà un giro più lungo. Simone di Cirene, sei tu il più solitario e maltrattato fratello del Vangelo? Pei compagni di Cristo, per la gentaglia di Palestina, parabole, miracoli, beatitudini, lunghi incantevoli ammaestramenti. Per te questa ignoranza bruta, questa cecità di bue, che ara la terra del calvario con la coda della croce. A casa, questa grossa paura che non si scioglie nemmeno nel sonno, la scapola dolente. A te però il sublime privilegio: quello capovolto di Giovanni che ha appoggiato la testa sulla spalla di Cristo, mentre sulla sua spalla … Come sei morto al tuo giorno, Simone? Non sapevi, non hai mai saputo. Sull’ultimo letto hai invocato i tuoi idoli africani, il dio Baal; o solo Rufo e Alessandro, i figli che l’evangelista misteriosamente conosce per nome, perché ti girassero sui cuscini. Ma subito sei entrato nel Regno, senza battesimo, senza preghiere. Le mani sono vuote, ma sulla spalla quel livido segna quante once di pena hai portato via al Signore. La regina delle reliquie, le cui schegge sono sbriciolate chissà dove pel mondo e una sola ci farebbe felici per sempre, tu l’hai maneggiata senza commuoverti, senza benedirla, con le tue grosse mani piene di rancore. Eppure ti ha fatto soffrire. Avanti tu allora, primo svogliato martire.

Riflessione

Le aggiunte degli scrittori, a ciò che in maniera un po’ avara ci dicono i vangeli, permettono di avere la fisionomia umana di questo cireneo, che, proprio per essere angariato, appare come un povero su cui esercitare la prepotenza, proprio per essere un padre di famiglia, appare come uno che cerca di scansare i problemi e di starsene sulle sue, avendone già abbastanza. Così emerge quel lato umano che lo fa diventare uno di noi, perché noi dobbiamo cercare una sorta di identificazione, in quanto noi pure possiamo trovarci in frangenti simili, necessitati dalle circostanze che sembrano congiurare contro e desiderosi nello stesso tempo di starcene fuori per non avere fastidi. Ma così non è; così non può essere: i problemi degli altri sono anche nostri; i dolori altrui non ci possono vedere indifferenti; le situazioni più drammatiche e tragiche chiedono alla nostra coscienza l’assunzione di responsabilità, piccole o grandi, perché i disagi di altri siano affrontati insieme e, se possibile, superati con quella carità che ci fa portare i pesi gli uni degli altri. L’uomo diventa davvero più umano nella misura in cui in simili circostanze sa far uscire il meglio di sé, quello Spirito di Dio che impegna lui per noi e impegna ciascuno di noi per gli altri.

Preghiera

Valorizzando il gesto di quest’uomo, Signore,

tu ci vuoi insegnare che noi pure siamo chiamati ad aiutare altri:

quello che siamo chiamati a fare non sia affatto una costrizione,

ma diventi sempre più una scelta deliberata, un atto d’amore,

che ci fa essere solidali nel dolore e più consapevoli dei mali,

in modo tale  da vivere, come te e con te,

la solidarietà di Dio Padre con l’uomo peccatore,

per essere sempre più dalla parte di Dio, sorgente dell’amore.

Apri la mente e il cuore di noi tutti all’amore vero,

quello che tu vivi per noi e con noi in ogni momento e per ogni uomo.

Canto

Tu mi hai mandato ai figli tuoi: la tua parola è verità.

E il loro cuore sia pieno di gioia: la gioia vera viene da te.

Io sono in loro e tu in me: che sian perfetti nell’unità

e il mondo creda che tu mi hai mandato, li hai amati come ami me.

L’IMMAGINE DEL CIRENEO 

Comparendo nelle stazioni della classica Via Crucis, è stato necessario dare anche una raffigurazione a quest’uomo, immaginarlo e descriverlo, per quanto egli risulti appena abbozzato nel vangelo. Solitamente lo si vede mentre porta la croce al fianco di Gesù, che è invece libero dal suo peso. Essendo stato costretto o angariato a fare questo c’è da supporre che in effetti abbia lui portato la croce. Ma questa immagine non risulta nelle grandi opere artistiche, mentre risulta più frequente che le riproduzioni popolari nelle chiese mostrino un Simone curvo sotto la croce con accanto il Signore Gesù nell’atto di seguirlo. Dovremmo, forse, immaginarlo più evangelicamente come colui che cerca di sorreggere il Signore che non rinuncia a portare la sua croce, visto che nel suo insegnamento in vista della Passione egli ha esplicitamente chiesto ai discepoli di portare ciascuno la propria croce e di portarla ogni giorno. 

TIZIANO VECELLIO (1488-1576) propone due versioni molto simili, in cui il Cireneo sta come per prendere la croce, quasi a voler dare un momento di ristoro al condannato che ne è gravato.  – 1560 – MUSEO DEL PRADO – MADRID

Nella versione che si trova a Madrid Gesù è a terra per una delle cadute che si immaginano avvenute nel percorso lungo la strada che porta al Calvario. Su di lui si china il vecchio Simone, con la barba canuta che appare ancora più bianca, come il viso, per l’illuminazione diffusa dal volto di Cristo, la cui testa emana raggi. Gesù si volta a guardare negli occhi chi gli sta sollevando la grossa croce come per togliere il peso: il volto è dolente per le pene e per la fatica, ma è anche sereno, come se volesse ringraziare l’uomo che l’aiuta. La mano destra è ancora attaccata alla croce fra i due pali che si incontrano, mentre la sinistra è poggiata su un sasso, come se stesse per rialzarsi. Il Cireneo sta già afferrando la croce nel palo verticale, come se volesse toglierlo al corpo di Gesù su cui grava. Se nel gesto si riconosce tutta la sua forza, pur da vecchio, nel volto si coglie la delicatezza dell’uomo che vuole essere d’aiuto. – 1563 – MUSEO DELL’HERMITAGE – SANPIETROBURGO

Nella versione che sta all’Hermitage di Pietroburgo troviamo ancora la focalizzazione dell’artista sui due, i quali restano divisi dalla pesante croce di legno. I due volti non si incontrano, perché Gesù sembra guardare con un occhio arrossato e dolente lo spettatore della scena. Il vecchio emerge invece dal di dietro su uno sfondo oscuro, che dà ancor più risalto al chiarore sulla parte destra del viso e ai capelli bianca che proseguono nella barba canuta. Con la mano destra sta tentando di sollevare la croce. Sul dito grosso porta un anello, segno che non è poi così povero come si vorrebbe pensando al fatto che venga dal lavoro dei campi. Le pennellate di colore cominciano ad essere più sfumate secondo i moduli espressivi dell’ultima stagione di Tiziano.

In entrambi i casi abbiamo la concentrazione sui due protagonisti che hanno in comune la croce divenuto strumento simbolico che Gesù vuol condividere con l’uomo. Se quest’ultimo sembra volerla portare da sé per sottrarre il condannato a quel peso, di fatto costui deve comprendere che Gesù la porta fino in fondo, proprio perché lui vi è condannato. Ma certamente la vuol anche condividere con l’uomo, perché alla croce nessuno si può sottrarre: essa è in effetti lo strumento simbolico di un vivere, che anche ad essere pesante si deve caratterizzare dall’impegno di ciascuno per dare di sé all’altro, dall’impegno di portarsi i pesi gli uni degli altri, dall’impegno di un aiuto che è soprattutto “compassione”, cioè il sobbarcarsi la passione altrui perché divenga propria.

 

Più recentemente abbiamo un altro modo di vedere la scena evangelica che ha come protagonista il Cireneo. Questa volta i due non sono posti avendo in mezzo la croce, ma sono entrambi sottoposti alla croce e francamente si ha come la sensazione che non si stia comprendendo chi davvero stia aiutando l’altro.

SIEGER KODER (1925-2015) propone una visione molto originale, perché, invece di mettere il Cireneo da solo a portare la croce o accanto a Gesù per togliere dalle sue spalle il peso del suo patibolo, affianca i due, fino quasi a unirli in un solo corpo, perché insieme portino la lunga trave. Sono mostrati nei loro volti, come se ciascuno di noi, a guardarli, sia costretto a rispecchiarsi e quindi ad aggregarsi a questo cammino che ci coinvolge … Così appaiati, sembrano due fratelli, distinti nei volti e nei vestiti, ma non divisi, abbracciati, quasi a sostenersi a vicenda nel cammino, e comunque ben decisi ad andare fino in fondo, con lo sguardo che sembra protendersi all’infinito e insieme cercare nello spettatore una sorta di coinvolgimento, che lo faccia partecipe di quel percorso.

La fusione è totale, al punto che quasi non si comprende neppure come siano disposte le mani. Si riconosce Gesù dal viso ormai esangue, come se già avesse versato tanto sangue, che compare sulle mani grosse, aduse al lavoro, del Cireneo, dal volto abbronzato per il lavoro sotto il sole. Che siano sue si comprende dal fatto che hanno le maniche color celeste, quello del vestito. I due corpi, i due colori si uniscono come a fare un corpo solo, mentre le mani sovrastanti sul palo orizzontale che grava sulle loro spalle, non si comprende bene a chi possano appartenere. Tutto questo serve a creare una perfetta simbiosi dei due, uniti dalla croce che essi stessi insieme si tengono, ormai divenuti una cosa sola nel vivere insieme la croce, il cammino doloroso, la passione della vita. I due colori, che solitamente appaiono simbolici per rappresentare l’amore (il rosso) e la morte (il blu), dicono che in effetti amore e morte sono congiunti perché nella morte del Signore c’è l’amore che dà la vita a colui che è segnato dalla mortalità.

 

Riflessione

L’immagine che ci viene data del Cireneo tende a mostrare la perfetta solidarietà con Gesù, per quanto il vangelo voglia sottolineare che fucostretto a fare quello che da allora è divenuto il gesto evocativo della vera carità, quella che arriva fino alla condivisione del male altrui, della passione altrui. Rispecchiandoci in questo genere di immagine, che non combacia con le informazioni desunte dal vangelo, evidentemente si vuole spingere  all’assunzione di una simile fisionomia, sia come fedeltà al testo evangelico che dice di prendere ogni giorno la croce per seguire lo stesso maestro, sia come fedeltà allo spirito del vangelo che chiede la carità stessa di Dio, quella cioè di mettersi al fianco e perfino di immergersi, identificandosi, nella condizione del povero e del sofferente, in cui Dio si trova e vuole essere riconosciuto.

Preghiera

Coinvolgi anche noi, Signore, in questo abbraccio che ci avvince a te,

perché sia possibile anche noi portare la croce,

che non fa soffrire fisicamente,

ma nel dolore chiede la forza di reagire con l’amore,

affinché il male sia vinto dal bene e l’odio sia superato dal perdono.

Fa’ che resi sempre più vicini ai sofferenti,

essi possano trovare la speranza e la forza per continuare,

e noi possiamo guardare alla vita con più coraggio.

Aiuta tutti ad essere più solidali con chi soffre

e aiuta i sofferenti ad essere più generosi nella loro testimonianza.

Canto

Con la mia morte mi offro a te e la mia vita consacro a te:

questo è l’amore che insieme viviamo: per ogni uomo noi lo doniam.

Ai miei amici la pace do; coi miei amici io resterò;

e il nostro amore sia sempre con loro e li conduca all’eternità.

I CIRENEI DI SEMPRE Se la figura di Simone, appena accennata nel vangelo, presto scompare nell’anonimato e ne rimane solo la descrizione fatta nella stazione della Via Crucis, poi però se ne usa il nome, derivato dal luogo di provenienza, come richiamo al gesto di condivisione della sofferenza che spesso dobbiamo registrare tra chi soffre e chi si fa vicino, si fa “prossimo” fino a prendersi sulle spalle il medesimo peso.  In effetti dire oggi “cireneo” non è più l’indicazione di una località geografica, ma è la segnalazione di una persona che si dedica agli altri, volendo sollevarli da un peso angoscioso, volendo far qualcosa per alleviare le loro sofferenze, volendo assumere su di sé il carico del male con un gesto di pietà che, se non toglie il male, almeno lo rende un po’ più sopportabile. Proprio questo essere “cireneo”, sollievo per chi è debole, aiuto per chi non ce la fa, compassionevole fino a prendere su di sé la medesima sofferenza, noi lo vediamo realizzato in tutti coloro che arrivano a vivere in sé il male di coloro a cui si sono avvicinati per dare conforto nelle pene, per combattere insieme le malattie. Si ripete così il gesto di Simone e si ritrova il Cristo immerso nella sofferenza e si registra quella carità che è vero dono di sé fino al sacrificio nella totale gratuità.

Come esempio di “cireneo” che si prende sulle spalle il peso della responsabilità di seguire gente abbandonata da tutti e nella pelle la stessa malattia, che è una vera croce, sia per i dolori, sia soprattutto per l’abbandono e la solitudine a cui uno resta condannato, consideriamo la testimonianza di un uomo, che, sia in vita e sia dopo la morte, ha pure avuto dei detrattori, che l’hanno accusato e umiliato, nonostante la sua dedizione totale a gente votata all’abbandono e tenuta alla larga dal consorzio civile. Eppure non ha esitato a prendere su di sé la malattia per condividere tutto con quelli che nessuno più voleva accostare.

  1. DAMIANO DE VESTEUR (1840-1889)

È considerato l’apostolo dei lebbrosi. Nato nel Belgio fiammingo il 13 gennaio 1840, a 19 anni entrò nella congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria a Parigi. Non ancora sacerdote nel 1863, in luogo del fratello Pamphile, Damiano partì in missione per le Isole Sandwitch (le attuali Hawaii), che raggiunse dopo circa 140 giorni di navigazione. Qui completò gli studi e nel 1864, finalmente, fu ordinato sacerdote. Imparò la lingua degli indigeni, evangelizzò tra loro, li istruì e insegnò loro ad allevare le bestie e coltivare la terra. Nel 1873 Padre Damiano venne trasferito a Molokai per assistere i malati di lebbra, che il governo hawaiano confinava a migliaia in questa isola lazzaretto. Con pazienza e abnegazione Damiano si prese cura degli ammalati, restituendo loro il senso della dignità, sino alla scoperta del contagio, nel 1885.

Durante la malattia, che affrontò con pacata rassegnazione, compì studi sulla lebbra, anche sperimentando nuovi farmaci su se stesso. Morì il 15 aprile 1889 e fu seppellito ai piedi di un albero.

Padre Damiano non è rigido nelle precauzioni igieniche. Nell’isola dei lebbrosi è impossibile applicare le regole osservate in un ospedale. Come essere padre di questa povera gente senza avvicinarsi a loro, toccarli, accettare il loro invito, prendere il cibo con le mani nel piatto familiare? In una parola, ha scelto di vivere con loro per salvarli. “Si espose alla malattia della quale essi soffrivano – disse Benedetto XVI in occasione della canonizzazione – Con loro si sentì a casa. Il servitore della Parola divenne così servitore sofferente, lebbroso con i lebbrosi, durante gli ultimi quattro anni della sua vita”. Il pensiero della morte non gli fa paura: di stanza alla frontiera della sua terra d’esilio, vive a contatto con l’eternità beata. «Il cimitero e la capanna dei morenti, dice, sono i miei più bei libri di meditazione.» Nel 1885, ha già seppellito 1800 dei suoi fratelli lebbrosi, vale a dire in media tre alla settimana. Li aveva curati, confessati, assistiti nella loro agonia come suoi propri figli. Padre Damiano scopre allora sul suo corpo i primi sintomi della lebbra. Nel mese di ottobre, ne informa il suo Provinciale: «Non vi è più dubbio per me, sono lebbroso: che il Buon Dio sia benedetto!» Al suo vescovo, scrive: «Ho sfidato il pericolo di contrarre questa terribile malattia facendo il mio dovere qui e cercando di morire sempre di più a me stesso. A mano a mano che la malattia progredisce, mi trovo contento e felice.» Padre Damiano era diventato ‘lebbroso’. Se ne era accorto per caso una sera che, tornando stanco dal suo solito giro apostolico, soprappensiero, aveva immerso i piedi in una bacinella d’acqua calda. Aveva visto immediatamente arrossarsi la pelle e formarsi delle vesciche. Stupito aveva toccato l’acqua con la mano: era bollente e non se n’era accorto! Aveva perso la sen-sibilità agli arti inferiori e seppe così inequivocabilmente d’aver contratto la lebbra. Scrisse umilmente ai suoi superiori: ‘…Sono diventato lebbroso. Penso che non tarderò ad essere sfigurato. Non avendo alcun dubbio sul vero carattere della mia malattia, io resto calmo, rassegnato e felicissimo in mezzo al mio popolo. Il Buon Dio sa bene ciò che vi è di meglio per la mia santificazione, e ogni volta ripeto con tutto il cuore: Sia fatta la tua volontà!‘. In un quaderno personale che aveva preso a scrivere in quel tempo si leggono questi consigli che egli dava a se stesso: ‘Prega di ottenere lo spirito di umiltà, in modo da desiderare il disprezzo. Se vieni schernito, devi gioirne. Non lasciamoci incantare dalle lodi degli uomini, non siamo soddisfatti di noi stessi, siamo grati a chi ci causa dolore o ci tratta con disprezzo e preghiamo Dio per loro. Per fare questo c’è bisogno, oltre che della grazia, di una grande abnegazione e di una costante mortificazione, grazie alla quale veniamo trasformati in Cristo Crocifisso.

Quando, al termine della Quaresima del 1889, padre Damiano s’accorse che le piaghe si chiudevano e la crosta si anneriva, capì che stava per morire. Ne aveva assistiti tanti che aveva imparato a riconoscere bene quei segni infallibili di una fine prossima. Era contento di andare a celebrare la Pasqua in cielo. Quando morì, il lunedì santo, aveva 49 anni e ne aveva passati 16 tra i suoi lebbrosi.

Riflessione

Possiamo a questo punto dire che il Cireneo non è solo colui che temporaneamente si prende sulle spalle la croce e poi, una volta espletato il suo incarico, si eclissa e se ne va, lasciando il povero malcapitato da solo. A Simone, di fatto succede così; ma così non è per coloro che, volendo assumere la sua fisionomia, arrivano fino al punto di continuare a portare la croce fino in fondo, fino ad accompagnare il condannato a morte al suo destino. E in effetti c’è sempre qualcuno, come il caso del missionario qui descritto, che non si accontenta di farsi vicino ai malati, ai disgraziati, a coloro a cui la vita non riserva che male; c’è chi arriva a condividere fino in fondo il male altrui, che diventa così il suo stesso male: l’eroismo arriva fino a questo estremo, analogamente a quello che Gesù fa con noi, assumendo il dolore e perfino la morte. Ecco, lui è il vero Cireneo, che ci fa compagnia nel dolore, anche quando noi abbiamo la sensazione di non sentirlo più, di essere come abbandonati a noi stessi, di portare un peso insopportabile che ci schiaccia, ci umilia, ci mortifica. Lui è con noi, sempre; lui è dentro il nostro male e il nostro morire fino all’ultimo; lui impegna se stesso perché possiamo risorgere con lui e come lui.

Preghiera

Quanti cirenei, Signore, ci sono anche oggi a sollevare i miseri.

Quanti, Signore, si chinano sulle piaghe umane per sanarle;

quanti si curvano sotto i pesi altrui per risollevarli,

quanti si accostano ai disperati per ridare loro fiducia nella vita.

Da te viene l’insegnamento vero della vita che ci fa solidali con i poveri

e ci fa benevoli con chi è afflitto dalle tante traversie,

e ci mette alla ricerca degli infelici che hanno bisogno di tutto.

Fa’ che il loro dolore diventi pure il nostro,

perché vi portiamo il sostegno, la cura, la ricarica necessaria,

per ritrovare speranza e per risollevarsi a proseguire il cammino.

Ritrovandoti in loro, ancora crocifisso e offeso dal male,

fa’ che essi trovino in noi il Samaritano che ridona vita, pace, gioia.

Canto

Ed ora vengo, Padre, da te: la mia vita affido a te:

la croce sia la gloria più grande, che voglio dare al mondo inter.

È giunta l’ora, Padre, per me: io rendo gloria al tuo voler.

Ed ora accogli chi viene a te, avendo amato, come ami tu!

CONCLUSIONE 

Tenuto conto che Simone di Cirene, dovrebbe provenire dall’Africa, ecco la testimonianza di un uomo d’oggi del Cameroun che si sente identificato con lui. È P. Engelbert Mveng, gesuita, teologo, poeta ed artista, assassinato nel 1995, a 65 anni. Si identifica con il Cireneo, assumendo la croce che redime! 

Un povero uomo stanco; ritorna dai campi; è un uomo d’Africa!

E dentro la sua testa, la stanchezza del giorno imbastisce un lungo ritornello,

l’oppressione del giorno pesa come un bolide sui suoi passi vacillanti,

sulle sue labbra che si agitano,

sull’affanno del suo cuore che non ne può più…

Un povero uomo d’Africa… Non è Deputato; non è Consigliere;

non è un Notabile ascoltato negli ambienti tradizionali,

e i soldati, di fronte a lui, non scatteranno sull’attenti!

Né i passanti gli diranno: «Buonasera, Signore!»…

È un povero uomo d’Africa, il cui passo è timido,

e che porta su di sé quasi un firmamento di mistero…

Uno di quegli uomini che nessuno capisce, che non si capiscono neppure loro,

che si portano addosso un groppo di silenzio

dove Dio canta melodie sconosciute agli altri uomini…

Ed ecco che gli mettono le mani addosso, che lo scuotono, lo trascinano,

ecco che l’obbligano a portare la Croce del Condannato…

E Gesù, in piedi, l’aspettava come un fratello…

Questo povero uomo d’Africa che non capiva troppo bene,

che era stanco e non voleva saperne della Croce di un condannato…

Gesù l’aspettava come un fratello,

e nel suo cuore tutto sanguinante di fatica e di amore,

la sua mano firmava il grande patto dell’Appello

all’incrocio delle loro due vite…

All’orizzonte dello sguardo di Simone, uomo di Cirene, uomo d’Africa,

saliva l’alba della redenzione del mondo.

Mio Gesù, Tu attendi anche me: con Simone, l’uomo di Cirene, eccomi qui»

Invocazioni

Accostiamoci anche noi al Signore Gesù, che porta la sua croce, per imparare da lui a portarla, sollevando chi soffre maggiormente dai suoi mali e condividendo con i più poveri le loro pene.

Diciamo: Ricompensa, Signore, con la tua grazia!

Coloro che si impegnano per i poveri con la generosità del cuore …

Coloro che si dedicano alla cura dei malati terminali …

Coloro che si dimostrano accoglienti verso chi cerca rifugio e conforto …

Coloro che si fanno vicini a chi nessuno aiuta e incoraggia al bene …

Coloro che sono fraternamente accanto ai carcerati e ai migranti …

Diciamo: Rinnova, Signore, nel cuore!

Quanti si rivelano duri e insensibili ai problemi altrui …

Quanti non sanno perdonare il male ricevuto e meditano vendetta …

Quanti hanno circuito con l’inganno i piccoli, gli anziani, quelli soli …

Quanti non vogliono vedere i problemi altrui o sono indifferenti …

Quanti non hanno a cuore il bene comune e i diritti dei più deboli …

Diciamo: Solleva, Signore, con il tuo amore!

Chi cerca giustizia, pace, serenità e non le trova …

Chi domanda aiuto e non lo riceve; chi bussa e trova chiuso …

Chi ha bisogno di soccorso, di amicizia, di conforto e gli è negato …

Chi è stato tradito nell’amicizia, chi è stato lasciato da solo nei guai …

Chi è immerso nel dolore più acuto e chi è sul limitare della morte …

Al Padre che ci manda suo Figlio, perché, assumendo le nostre miserie, ci liberi dal male, diciamo: Padre nostro …

Benedizione

Anche in presenza del male che ci circonda, Dio ci rende liberi, ci dà la possibilità di avere un cuore puro, che sa comprendere il male altrui e ci stimola a farci accanto per risollevare chi è veramente avvilito.

A Dio consolatore degli afflitti e speranza dei derelitti ci affidiamo,

promettendo il nostro impegno di essere come lui accanto ai deboli!

Ci benedica Dio onnipotente, PADRE, FIGLIO e SPIRITO SANTO.

AMEN. 

Canto finale

Nella memoria di questa Passione noi ti chiediamo perdono, Signore,

per ogni volta che abbiamo lasciato il tuo fratello soffrire da solo.

Noi ti preghiamo, Uomo della croce: figlio e fratello, noi speriamo in te.