MEGHILLOT
In questi anni nella giornata per la conoscenza, il rispetto e il dialogo con il mondo religioso ebraico siamo invitati ad entrare più da vicino nei libri definiti MEGHILLOT, cioè “rotoli”, che risultano 5, come lo sono i testi di fondamento posti all’inizio della Scrittura Sacra, e cioè il Pentateuco. Questi rotoli sono usati in occasione di feste considerate “sinagogali”, perché appartengono al periodo in cui le celebrazioni religiose vengono vissute nelle sinagoghe, essendo venuto meno il tempio di Gerusalemme.
Meghillà (pl. meghillot): Rotolo. Trattato della Mishnà che si occupa della lettura del libro di Ester durante Purim, varie letture sinagogali per lo shabbat o per altre festività e digiuni, e norme per la cura della sinagoga e degli oggetti rituali. Al plurale designa i cinque libri biblici del Cantico dei cantici, di Rut, delle Lamentazioni, di Qohelet e di Ester. Nel linguaggio popolare, “Non farne una meghillà” significa “Risparmiami i dettagli, vieni al sodo”.
Con l’espressione Meghillot o Megillot sono definiti in ebraico i seguenti cinque libri della Bibbia: il libro di Ruth, il Cantico dei Cantici, il Qohèleth, le Lamentazioni, ed il libro di Ester. Si trattava di rotoli, quindi il loro nome deriva dalla funzione che essi prendevano nelle feste. Essi infatti venivano presi in considerazione separati dagli altri libri, e venivano recitati durante le grandi feste della sinagoga.
INTRODUZIONE AL TESTO DI ESTER
Il Libro di Ester viene presentato come un libro “storico” perché racconta una vicenda ambientata in Persia con personaggi che appartengono ai ranghi di potere. In realtà esso contiene una “storia” che appare di pura invenzione, per quanto ambientata in un territorio particolare e in un contesto che fa pensare all’epoca dell’esilio degli Ebrei in territorio della Media e della Persia. Proprio per lo sviluppo delle vicende narrate bisogna riconoscere che si tratta di pura
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fantasia con un preciso messaggio etico – spirituale che deve servire, nel mondo ebraico, a dare ragione di una festa molto popolare, quella dei PURIM, corrispondente, per le modalità celebrative, al nostro Carnevale, con la conseguente esibizione in maschera e soprattutto con un pasto in cui è lecito pure un’abbondante bevuta fino al limite della ebbrezza!
Ci sono due versioni del testo: una ebraica, seguita naturalmente in ambiente ebraico, e una greca (in realtà ci sono in questa lingua due testi differenti), che viene utilizzata in ambiente cristiano. Entrambe comunque raccontano la medesima vicenda, con integrazioni che arricchiscono e vivacizzano ulteriormente la narrazione.
Per gli Ebrei e per i protestanti il testo ritenuto ispirato è quello “masoretico”, dove però non compare mai il nome di Dio e la vicenda serve a giustificare la festa ebraica dei Purim. Per la Chiesa cattolica è ispirato anche il testo greco, dove la vicenda che vede protagonisti gli uomini è comunque diretta da un Dio Provvidente che conduce a buon fine la situazione, rovesciando le sorti (Purim).
Il testo viene fatto risalire al II secolo, quando era in corso in Israele la grande resistenza al potere politico che voleva estirpare le tradizioni religiose ebraiche, anche se i personaggi e la vicenda sono inquadrati in un periodo precedente con nomi che non appartengono propriamente al mondo ebraico, ma a quello assirobabilonese (Ester corrisponde alla dea Astarte e Mardocheo corrisponde al Dio babilonese Marduk).
Anche questo è considerato nel mondo ebraico un “meghillà”, cioè un rotolo, uno dei cinque corrispondenti ai primi cinque libri che compongono la Torah, la base della Scrittura ebraica. Come tale, è utilizzato dalla liturgia ebraica nella festa dei Purim, quando viene letto, per spiegare il significato di questa festa: tutto viene cambiato, anche quello che sembrava ineluttabile, tutto si rovescia per far emergere il bene che diventa per il popolo ebraico una esperienza di liberazione, come succede spesso nella sua storia, quando esso è sottoposto alla probabile decimazione, all’olocausto, e comunque ne esce liberato, grazie al fatto che ci sono in esso dei giusti, i quali coltivano la speranza e che sono pronti a sacrificarsi per un bene più grande del bene personale.
Così il testo è di fatto una bella storia che vuole esaltare la capacità di resistenza al male del popolo ebraico, non ricorrendo alle violenze, ma a quella fiducia nelle forze del bene, e ultimamente in Dio, che consente di rovesciare le sorti, che sembravano destinate allo sfacelo. Il testo masoretico mette l’accento sul valore delle persone che resistono al male, mentre il testo greco mette in campo Dio, perché solo con lui è possibile vincere il male senza ricorrere ad altro male.
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LA LETTURA RABBINICA
RAV RICCARDO DI SEGNI
Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma
Scopo di queste note è di spiegare l’importanza del rotolo di Ester nella spiritualità ebraica, e dare alcune indicazioni su come venga studiato e interpretato. La storia raccontata nel rotolo di Ester è alla base di una festa ebraica molto partecipata, la festa del Purìm. Il 14 del mese di Adàr, un mese prima della festa di Pèsach, la Pasqua ebraica, in corrispondenza della luna piena, si ricorda con gioia la data in cui il primo ministro Hamàn aveva deciso che il popolo ebraico vivente nell’impero persiano dovesse essere massacrato e distrutto.
Un piano di genocidio diretto alle vite delle persone, senza possibilità di scampo. Il progetto di Haman fu però sventato dalla regina Ester e da suo zio Mordekhài (Mardocheo) e si trasformò nella rovina dei persecutori. A ricordo di quei fatti si celebra per un giorno la festa del Purìm che si caratterizza per una serie di norme: obbligo di lettura del rotolo di Ester, la sera d’inizio e la mattina dopo; scambio di doni alimentari; offerte ai poveri; ricco pasto festivo, con obbligo specifico di indulgere nel vino (semel in anno licet insanire) fino a dimenticare che Hamàn era il cattivo e Mordekhài il buono.
È una festa che coinvolge soprattutto i bambini, che in questa occasione (forse per influsso del carnevale italiano) si mascherano. La fisicità delle manifestazioni di allegria è una sorta di compenso del ricordo della minaccia fisica di distruzione. La storia del Purìm rappresenta nelle vicende ebraiche millenarie il prototipo di un clichè drammatico, quello di un popolo disperso nel mondo, sottoposto al capriccio dei governi, che da un momento all’altro rischia di essere massacrato; il lieto fine della storia (raro nelle vicende reali) dà un po’ di speranza, e tutto questo spiega la radicalità del coinvolgimento e dell’identificazione popolare intorno a questo ricordo, in apparenza tutto allegro, in sostanza dolce-amaro.
Quindi il rotolo di Ester assume nell’ebraismo un ruolo liturgico e istituzionale ben preciso e se è vero che anche gli altri quattro rotoli (sono cinque i meghillot) sono legati ciascuno ad una ricorrenza del calendario ebraico, nel caso di Ester il legame è più forte, attestato da un obbligo preciso di lettura ripetuta e preceduta da una formula di benedizione (Benedetto il Signore che ci ha comandato di leggere il rotolo … Benedetto il Signore che ha fatto miracoli ai nostri padri in quei giorni, in questo tempo).
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Nell’interpretazione tradizionale del rotolo di Ester vale come un principio essenziale quello di una lettura su diversi piani: quello letterale del racconto dei fatti, e quelli alla ricerca di significati nascosti. E di significati nascosti questo piccolo-grande rotolo è un tesoro tutto da scoprire.
A cominciare dai nome dei protagonisti: Ester e Mordekhài non sembrano nomi ebraici, anzi sembrano collegati ai nomi di due divinità dell’universo babilonese-persiano: Astarte e Marduk. Il nome di Ester è collegato a una divinità stellare, con una trasmissione nelle lingue europee: aster-astro, star, stern. Il messaggio che deriva da questi nomi è quello della integrazione e assimilazione originaria degli ebrei persiani alla cultura locale, fino ad assumerne i nomi delle divinità; una delle linee esegetiche del rotolo è quello del recupero forzato in una identità originaria da parte di un popolo che, disperso tra le nazioni, aveva dimenticato chi fosse. Ma l’esegesi rabbinica va oltre, ragionando sul significato della radice s-t-r nell’ebraico biblico: è la radice che indica il nascondere e il nascondersi (in qualche modo come la parola mistero, attraverso percorsi complicati). La storia del rotolo sta tutta nella dinamica tra ciò che appare e ciò che si nasconde, sta dietro ma tira le fila. Nel tipico modo dell’esegesi rabbinica si domanda paradossalmente dove esista un’allusione ad Ester nella Torà, e la risposta è nel versetto di Deuteronomio 31,18: “Io nasconderò (astèr hastìr) il mio volto da loro”; è una profezia terribile, nella quale si dice che a seguito della colpe del popolo il Signore, metaforicamente, si ritrarrà da lui, si renderà inaccessibile. È in qualche modo la chiave per l’interpretazione del negativo e del male nella storia, in cui la provvidenza divina smette di agire direttamente e lascia il corso degli eventi al caso. Ma rispetto alla disperazione che potrebbe cogliere davanti a questo messaggio allarmante, è il nome di Ester a fornire una chiave consolatoria; perché se è vero che il volto si nasconde, questo non significa però che scompare dalla storia. La provvidenza continuerà ad agire, ma in modo nascosto. Tutta la storia del rotolo di Ester lo dimostra. In apparenza c’è l’esercizio del potere statale arbitrario. In realtà tutti i disegni perversi vengono smantellati, con una concatenazione di eventi che sistematicamente li distrugge. È stato notato che nel libro di Ester non compare mai esplicitamente un nome divino, solo una volta con una tenue allusione (“la salvezza arriverà da un altro luogo” Ester 4,14, con riferimento all’idea che Dio è il “Luogo” del mondo). La prima spiegazione è che il rotolo era destinato a circolazione pubblica con rischio di profa-nazione, per cui era bene evitare che vi fosse iscritto il nome divino, che rende un testo sacro e da custodire con particolare attenzione; ma la spiegazione vera è che ciò rappresenta l’apparente invisibilità e assenza divina nella storia, in contrasto con quella prepotente del potere umano:
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nel rotolo di Ester la radice di mèlekh, re, compare ben 251 volte; ma tutto per dimostrare che, benché onnipresente, il re è solo una marionetta gover-nata da fili invisibili.
Sempre nella ricerca di allusioni nella Torà, la domanda viene fatta anche a proposito del nome di Hamàn. E qui la risposta è ancora più sorprendente. Come è noto, nei rotoli manoscritti della Torà non ci sono alcune vocali; la sequenza delle tre consonanti di Hamàn, h-m-n, la si trova già in Genesi 3,11, nella frase hamin (scritto h-m-n) ha’ètz, “forse dall’albero”, la domanda che fa Dio ad Adamo dopo la colpa, hai forse mangiato dall’albero che ti avevo proibito? Il primo senso di questo accostamento è il legame del male, incarnato da Hamàn, con la colpa primordiale, e il ruolo dell’albero: è su un albero che Hamàn chiede che Mordekhài sia impiccato, e sullo stesso albero finirà lui impiccato. Da qui nasce una serie di narrazioni leggendarie che in modi strani si intersecheranno con narrazioni cristiane.
Un altro filone fondamentale di lettura, riprendendo da Hamàn, è quello delle sue origini. Un breve accenno (Ester 3,1) collega Hamàn ad Agàg, che è il nome del re amalecita catturato e risparmiato dal re Saul, che per questo atto di discutibile misericordia perse il regno (1 Samuele 15). D’altra parte Mordekhài ed Ester sono della tribù di Beniamino (Ester 2,5). Il senso di questi accostamenti dà una chiave di lettura all’intera storia. Gli Amaleciti rappresentano la malvagità gratuita che si scatena contro il popolo di Israele, che in diversi momenti della storia deve affrontare e combattere; questo ruolo spetta a una discendenza regale nell’ambito del popolo ebraico che risale a una delle due mogli principali del patriarca Giacobbe, Leà e Rachèl. Da Leà nasce Yehudà, che sarà il capostipite di David e della stirpe messianica, da Rachèl (moglie più amata da Giacobbe) derivano Yosèf (primo re, nel senso di vicerè di Egitto) e Beniamino, capostipite della sfortunata linea regale di Saul. Ma proprio a questa linea spetta il compito storico di combattere Amalèq, e la storia del rotolo di Ester non è che l’ultima puntata biblica. A prova dello stretto legame tra Ester e la sua ascendenza materna, e Yosèf in particolare, sta il fatto che numerose espressioni del rotolo di Ester sono la riproduzione letterale delle espressioni usate nella storia di Yosèf negli ultimi capitoli della Genesi.
Un ultimo accenno a questioni femminili, visto che di donne nel rotolo si parla molto. Un primo accostamento è quello tra Ester e Sara. Ne è prova (dato che i messaggi biblici si fanno per allusioni) il fatto che all’inizio del rotolo di dice che l’impero persiano era fatto di 127 stati o province. A proposito di Sara (unica tra le matriarche) è detto che visse 127 anni.
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Il legame tra Ester e Sara non si ferma qui, di entrambe si parla con aspre-sioni analoghe della straordinaria bellezza, e di entrambe che furono portate via a forza alla casa del re (Sara due volte, dal Faraone e Avimelekh, Ester da Assuero). Vite coincidenti, con una serie di implicazioni da scoprire. Sempre sul piano femminile non può passare inosservata la vicenda della prima regina, Washtì, che viene ripudiata per aver disobbedito all’ordine del marito di comparire davanti ai suoi notabili ubriachi. Questo rifiuto ne fa una eroina femminista, al confronto di Ester che gioca la sua femminilità con un sistema assai più tradizionale e sottomesso. Ma le apparenze ingannano. Per questo la tradizione rabbinica spiega i retroscena: Washtì non è la santerella virtuosa che vorrebbe far credere, era una regina altezzosa che trattava le sue ancelle come il marito trattava lei, esponendole a ogni sorta di vergogna e umiliazione; e soprattutto era la discendente della dinastia babilonese, che era stata sconfitta dai persiani. Il rifiuto di Washtì sarebbe stato solo un’espressione di orgoglio di una dinastia che non si voleva sottomettere ai vincitori, e il ripudio l’occasione per Assuero, una volta ben saldo al potere, di liberarsi di un fardello non più necessario. Insomma, anche da questi brevi accenni, emerge la ricchezza di un testo tutto da esplorare.
LA INTERPRETAZIONE
DEL MONDO CATTOLICO
DON DIONISIO CANDIDO
Responsabile settore apostolato biblico
ufficio catechistico Nazionale CEI
Il libro di Ester è un unicum nel panorama biblico per varie ragioni: per la complessità della condizione dei testi antichi, per il suo ricco messaggio teologico, per la storia della interpretazione nelle tradizioni e nelle liturgie ebraica e cristiana. Il lettore italiano che prende in mano la Bibbia CEI del 2008 individua facilmente il libro di Ester nella sezione dei libri cosiddetti Storici. Quando apre le pagine interessate, si trova però di fronte ad una situazione inedita: nella stessa pagina sono stampati due testi, il testo greco nella parte superiore e il testo ebraico nella parte inferiore. La Nota editoriale ne dà conto così: «Poiché è convinzione generale della Chiesa che tutte e due le forme testuali del libro di Ester, la greca e l’ebraica, sono ispirate, è parso opportuno conservare, assieme al testo greco, quello ebraico, conosciuto e letto con amore dai fedeli per tanti secoli fino ad oggi. Il testo greco di Ester è stampato nella parte superiore della pagina per segnalare la sua preminenza nella liturgia della Chiesa cattolica».
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Per spiegare una tale situazione, unica nella Bibbia italiana, bisogna tornare indietro ai testi antichi in nostro possesso. La tradizione testuale ebraica presenta un testo in dieci capitoli, che contiene una storia ben definita con i personaggi di Ester e Mardocheo come protagonisti. La tradizione testuale greca, invece, offre un testo più ampio di ben sei capitoli. Tra questi c’è la celebre preghiera di Ester (Ester 4,17k-u), che la liturgia cattolica offre alla meditazione dei fedeli il giovedì della I settimana di Quaresima (rito romano). Quando san Girolamo (347-420) tradusse il libro di Ester in latino, pur volendo dare la priorità al testo ebraico, non poté trascurare queste ulteriori sezioni di testo in greco. La Vulgata, cioè la traduzione di san Girolamo che divenne nei secoli autorevole per i cattolici di rito romano, contiene quindi di fatto le sensibilità di entrambi i testi antichi: ebraico e greco. Chi considera in parallelo questi due testi antichi riconosce facilmente le somiglianze e le differenze nelle rispettive trame.
Il racconto ebraico è dinamico e ricco di suspense.
Esordisce nel clima sfarzoso della corte persiana, quando il re Assuero depone la moglie Vasti dalla carica di regina (Ester 1).
Allora Ester, una giovane giudea allevata dal cugino Mardocheo, conquista il cuore del re che decide di sposarla, senza che questi conosca le sue origini giudaiche (Ester 2).
A corte fa capolino però la sinistra figura del primo ministro Aman, che cova una spietata vendetta contro Mardocheo, reo di non prostrarsi ai suoi piedi. Trama pertanto di uccidere Mardocheo e di sterminare tutti gli ebrei residenti nel regno di Persia e tira a sorte il giorno per lo sterminio: il 13 del mese di Adar (Ester 3).
Mardocheo trasmette la notizia alla regina, che decide di incontrare il marito per intercedere a favore dei giudei (Ester 4).
Ester chiede al re di poter dare un primo banchetto per lui e per Aman (Ester 5,1-8). Tornato a casa euforico per l’invito, Aman fa innalzare un palo nel cortile di casa con l’intento di chiedere l’indomani al re di farvi impiccare Mardocheo (Ester 5,9-14).
Nella notte, però, Assuero apprende che Mardocheo ha sventato una congiura ai suoi danni (Ester 6,1-3; cfr. 2,19-23): il mattino successivo, comanda quindi che Mardocheo sia portato in trionfo per la città proprio da Aman (Ester 6,4-14).
Durante il nuovo banchetto Ester chiede al re di fermare il piano perverso di Aman, che minaccia ingiustamente la vita sua e del popolo giudaico. Assuero la asseconda e comanda che il primo ministro sia impiccato al palo che egli stesso aveva fatto innalzare nel suo giardino (Ester 7).
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Tutti i poteri di Aman vengono trasferiti a Mardocheo, mentre ai giudei viene consentito di rivalersi sui nemici (Ester 8). Così, in ricordo di questi eventi, si celebrerà annualmente una festa: Purim (Ester 9).
Il racconto ebraico si chiude con un ultimo elogio di Mardocheo (Ester 10).
Il racconto greco, oltre a questo racconto condiviso con il testo ebraico, presenta sei cosiddette aggiunte (Ester 1,1m-r; 3,13a-g; 4,17a-z; 5,1a-f; 8,12a-v; 10,3a-k), che ne arricchiscono la trama.
Ad esempio, la prima aggiunta (Ester 1,1m-r) offre subito una determinata chiave di lettura all’intera narrazione: Mardocheo vede in sogno uno sconvolgimento cosmico e la lotta tra due draghi spaventosi.
A questa visione corrisponderà l’ultima aggiunta (Ester 10,3ak), con l’interpretazione del sogno. Il caos e la violenza verranno trasformati in pace e nel trionfo dei giusti: così, i giorni inizialmente destinati allo sterminio diventeranno giorni di festa, nei quali celebrare la salvezza divina. La terza aggiunta poi contiene due raffinate preghiere: di Ester (Ester 4,17a-i) e di Mardocheo (Ester 4,17k-z). Mardocheo esalta la potenza insuperabile del Creatore e Signore della storia: la terribile minaccia che il popolo si trova a fronteggiare in definitiva è la conseguenza della volontà di non adorare altri dèi (Ester 4,17d-17e). La preghiera di Ester costituisce probabilmente il vertice teologico dell’intero libro greco: qui Dio è l’unico in grado di comprendere il dolore dei suoi e di trasformarlo in gioia (Ester 4,17k-l). Anche Ester, come Mardocheo, rivendica di essersi mantenuta fedele e di non essersi compiaciuta del suo ruolo di prestigio (Ester 4,17r-y). A nome dei giudei, potrà quindi elevare la sua ultima supplica: «O Dio, che su tutti eserciti la forza, ascolta la voce dei disperati, liberaci dalla mano dei malvagi e libera me dalla mia angoscia» (4,17z).
Se il messaggio fondamentale del libro si può ricondurre alla massima sapienziale secondo cui l’empio cade nella fossa approntata per il giusto (Proverbi 26,7), in realtà il racconto è gravido di molti spunti tematici. La narrazione è ad esempio attraversata dalla delicata dialettica tra obbedienza e disobbedienza all’autorità e alle leggi umane: la lesa maestà di Vasti (Ester 1,12-22), l’ascolto di Ester delle direttive di Mardocheo (Ester 2,10.20), il rifiuto di Mardocheo di prostrarsi ad Aman (Ester 3,2; cfr. Ester greco 4,17d-e), l’eccezione di Ester alle regole di corte (cfr. Ester 4,11; 5,1-2), l’arrendevolezza del re alle richieste della regina (Ester 5,3.6; 7,2), l’osservanza dei giudei della celebrazione annuale di Purim (Ester 9,23; cfr. Ester greco 9,20). Nel contesto del regno di Persia, i protagonisti si muovono poi in un clima segnato da serpeggiante sensualità e violenza: l’avvenenza di Vasti e di Ester (cfr. Ester 1,11; 2,17) si affianca all’indole vendicativa di Aman (cfr. Ester 3,5) e all’esercizio del potere di un re troppo facilmente manipolabile.
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Affiora qua e là anche la questione della valutazione morale degli attori. Per via della sua ribellione al sopruso maschile, Vasti può essere considerata un personaggio positivo: la vera “femminista” del libro. Nella stessa ottica, ad Ester andrebbe riconosciuto il merito di aver saputo convincere il re per il bene del popolo, conquistandosi a ragione il titolo di mediatrice del suo popolo. Ma resta aperta la domanda sulla vendetta dei vincitori sui vinti (cfr. Ester 8-9). Il libro di Ester si attesta così come uno spaccato di vita precaria, ma non impossibile né detestabile, nella diaspora. A differenza di altri scritti biblici del post-esilio, non propone il recupero delle istituzioni classiche quali il sacerdozio, la Torah, la Terra, la Città santa di Gerusalemme (cfr. Esdra 1,2-5; 6,1-18; Aggeo 1,2-11; Zaccaria 5,1-5). Nel solco di altri libri come Rut e Giona, sviluppa piuttosto l’idea di un’appartenenza al popolo d’Israele anche in terra straniera, senza ripiegamenti o rigidi nazionalismi. In questo senso, il libro di Ester può essere definito “politico”. Se la vita dei credenti in mezzo alle nazioni pagane è incerta, fino al rischio del pogrom (cfr. Ester greco 3,3a-3g), questo libro biblico propone una sorta di pro-gramma di vita realistico: non serve sognare il ritorno alla Terra promessa, perché si può costruire un presente felice anche in terra d’esilio (cfr. Geremia 29,1-23). Così, mentre lo sguardo sulla storia e sui potenti di turno è disincantato e persino sarcastico, si fa clemente il giudizio sulla moralità di quanti nei contesti di crisi si assumono la difficile responsabilità di agire per il bene. Una tale visione dell’identità giudaica nella diaspora e di ogni co-munità credente che viva in un contesto pagano ne coinvolge quindi anche la religiosità. In particolare, la natura religiosa del libro ebraico dipende anche dall’assenza di Dio, oltre che di atti cultuali. Tuttavia, la sua azione può essere riconosciuta in alcune “coincidenze salvifiche”. Il termine stesso “pur” lo suggerisce: Purim è la festa che celebra non un caso fortuito, ma l’inatteso sovvertimento della sorte compiuto da Dio. A Purim la gioia si fa irrefrenabile: non a caso già il Talmud prescriveva che durante la festa si bevesse fino a non distinguere più il bene dal male, il “benedetto Mardo-cheo” dal “maledetto Aman” (b. Megh. 7b). Il libro di Ester suggerisce di non accontentarsi della superficie degli eventi, ma di imparare ad andare oltre, fino a scorgere la creatività d’amore del Dio provvidente. Accorda inoltre ai personaggi concreti un ruolo decisivo: i benefici divini sono cioè stretta-mente legati alla responsabilità umana. Il Dio biblico non abbandona i suoi che scelgono con coraggio la giustizia e la vita: l’opera salvifica divina si co-niuga con la collaborazione da parte dell’uomo. Qui il silenzio divino solleci-ta ed amplifica la voce umana: Dio arretra per lasciare che emergano le scel-te umane di fronte alle variabili della storia. D’altro canto, il racconto greco acquisisce una chiara coloritura teologica grazie soprattutto alle 6 aggiunte.
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Sin dal sogno di Mardocheo in avvio (cfr. Ester 1,1d-l), il lettore viene educato a leggere gli eventi della vita secondo un doppio registro: storico e metafisico. All’interno della storia degli uomini è assicurata non solo la presenza esplicita di Dio, ma soprattutto la sua cura amorevole (Ester 1,1h; cfr. 4,17i; Esodo 3,7-9). Inoltre, la dimensione religiosa del libro greco traspare chiaramente dalle preghiere di Mardocheo e Ester (Ester 4,17ka-17z): la fede dei protagonisti e la storia della fedeltà del Dio della Bibbia sono la certezza che la salvezza prima o poi arriverà.
RIFLESSIONI CONCLUSIVE
La riflessione che ricaviamo dall’interpretazione che se ne fa in ambiente ebraico riguarda in particolare il tema del nascondimento di Dio in presenza di un male, considerato addirittura assoluto, come è stato quello del recente Olocausto, in cui tante vite umane sono sacrificate senza alcun senso e senza che si manifesti un segno inconfondibile dell’agire di Dio a favore del suo popolo, a favore dell’umanità stessa, mettendo fine alla malvagità diabolica che pur si scatena con il concorso umano. Qualcuno ha ipotizzato la morte di Dio proprio a partire dai campi di concentramento nazisti, nei quali il popolo ebraico stava per essere decimato e fatto sparire dalla faccia della terra. Eppure proprio in si-mili circostanze si potrebbe dire che in maniera misteriosa si rivela la mano na-scosta di Dio, la quale conduce gli eventi in modo tale che chi è sacrificato riemerga e chi invece opera il male sprofondi nell’abisso senza riuscire a portare a termine il suo progetto criminoso. In fondo è stato così anche per il disegno criminale del nazismo, sconfitto e comunque sempre da sconfiggere, anche quando tenta di risorgere dalle sue ceneri. La vicenda di Ester, che appare effet-tivamente come una storia ideale, assume così la forza di un simbolo, che richiede di volta in volta nel corso della storia una sua attualizzazione: il Dio nascosto, che sembra sparito dall’orizzonte non solo di un popolo che lo rico-nosce, si rende presente con figure analoghe a quella di Ester, le quali, soprat-tutto a partire dalla preghiera, consentono quella salvezza che non esime dal sacrificio, anzi, lo richiede, facendo sì che le situazioni si capovolgano, per cui la vita si afferma con il morire, per cui in mezzo al male affiora un bene che poteva sembrare sepolto e che invece va davvero disseppellito. Entrambe le figure qui ricordate, richiamano nel nome e nella vicenda vissuta proprio l’eroina del libro e della storia ebraica: è il segno che la Bibbia continua ad incarnarsi nelle di-verse epoche storiche, dove Dio stesso continua a guidare il suo popolo in maniera misteriosa e sempre efficace. Così la parola continua ad essere viva.
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ETTY HILLESUM (1914-1943)
Si tratta di un’ebrea olandese dal cui DIARIO possiamo ricavare che la vicenda delle regina Ester si rinnova, si ripropone, si incarna. Tante pagine del suo diario, come del resto tutta la sua vicenda personale, si prestano per ritrovare lo spirito del libro biblico e la fisionomia spirituale di Ester.
Ne bastano alcuni scampoli
15 luglio 1942, mercoledì mattina
Sono le dieci e mezzo. Mi sono or ora inginocchiata dinanzi alla mia poltrona, pregando fervorosamente e in ardente silenzio. Chiedendo aiuto e soccorso per tutti gli impauriti, gli impreparati interiormente, la povera gente che ora sta passando le sue ultime ore nella sua casa. Ah, soffro moltissimo per loro, il mio cuore è così pesante e così colmo di amore, vorrei poter abbracciare tutti e consolarli come una madre consola un figlio.
In serata
Quando prego, non prego mai per me stessa; prego sempre per gli altri oppure conduco uno sciocco, ingenuo, o terribilmente serio, dialogo con quanto vi è di più profondo in me stessa che, per convenienza chiamo Dio. Pregare Dio per ottenere qualche cosa per se stessi mi colpisce come qualcosa di troppo infantile da esprimere in parole. Domani chiederò a S. (Julius Spier)se egli non prega mai per se stesso. Pregare per il benessere di qualcun altro è qualche cosa che ritengo pure infantile; si dovrebbe pregare solo perché un altro abbia sufficiente forza per portare sulle spalle il proprio fardello. Se si fa così, gli si trasmette qualche cosa della propria forza.
EDITH STEIN (1891-1942)
Analoga immagine può essere raccolta nella figura parallela di S. Teresa Benedetta della Croce, la carmelitana uccisa nel lager nazista il 9 agosto 1942, nel cui nome ancora si ravvisa il richiamo all’eroina ebraica. Essa prende coscienza della sua missione sacrificale nel grande Olocausto, divenuta ogni giorno più unita al sacrificio di Cristo e nello stesso tempo partecipe del grande sacrificio dei fratelli di razza, come dei fratelli della comune famiglia umana. Non solo nell’imminenza degli eventi che la travolgono, Edith Stein sente di poter assumere la fisionomia e la missione di Ester, sempre più partecipe nell’offerta di Cristo all’olocausto in atto della sua gente. In questa coscienza, sempre più chiara, possiamo vedere realizzata la fisionomia dell’Ester biblica che qui si rinnova.
Così la descrive suor Maria Cecilia del Volto Santo:
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Già negli anni del suo insegnamento in Spira, Teresa Benedetta, con il suo sguardo lungimirante, aveva previsto nel Furher l’anticristo sin dalle prime avvisaglie contro gli ebrei e aveva messo in guardia i suoi amici e conoscenti circa le intenzioni di Hitler, perché non lo appoggiassero. Una grande tenebra minacciosa avvolge la storia di quegli anni e penetra, quale spada, nell’intimo di Teresa Benedetta. Come la regina Ester che offrì la propria vita per la salvezza della sua razza, anche Teresa Benedetta si sente spinta ad offrirsi, il 26 marzo 1939, quale vittima di espiazione per gli ebrei in particolare e, quale consorte di Cristo, per la Chiesa intera in generale. Sa che il suo popolo sta per essere sommerso da una marea indicibile di sofferenze inaudite. La sua offerta è la stessa offerta di Gesù al Padre … Teresa si rende Kippur (non per nulla è nata il giorno di tale festa): prende su di sé i peccati del suo popolo …
Antecedentemente a questa data, Teresa Benedetta si era offerta, anche se non ancora esplicitamente. Il 31 ottobre 1938 aveva scritto:
Sono certa … che il Signore ha accettato la mia vita per tutti. Penso sempre alla regina Ester che è stata scelta tra il suo popolo proprio per intercedere davanti al re per il suo popolo. Io sono una piccola Ester povera e impotente ma il re che mi ha scelto è infinitamente grande e misericordioso. E questa è una grande consolazione.
Così la storia di Ester si ripropone, in modi che sono certamente molto più drammatici di una storia di fatto romanzata. E tuttavia, anche se dobbiamo constatare che sul rotolo compare qualcosa di verosimile, qualcosa che si avvicina molto alla realtà amara, spesso ricorrente nella vicenda del popolo ebraico, è proprio nei momenti più tenebrosi, come quelli del recente conflitto e dei rigurgiti antisemiti, che si deve riconoscere il messaggio del libro di Ester: nella storia ricorrono questi momenti drammatici e tuttavia da questi momenti si può uscire, vedendo mutate le sorti, come si celebra nell’essenza della festa dei Purim. Così il Dio “nascosto” conserva la sua fedeltà e dimostra il suo grande amore, passando concretamente da figure umane che sanno alimentare, non solo per sé, la speranza di una rinascita sempre possibile.
È un messaggio che rende grande il popolo d’Israele e che offre a tutti risorse sempre vive per non sentirsi depressi nell’oppressione e saper attendere, con la forza dello Spirito, la mano provvidente di Dio che “non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande” (A. Manzoni).
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